Vediamo cosa si può tirar fuori al volo da questi numeri, non che io sia la persona ideale per farlo, dopotutto sono un insegnante di storia e filosofia!
Per quanto riguarda l'Italia
mini rugby - 1638 tesserate
juniores - 999 tesserate
seniores - 445 tesserate
Totale - 3082 tesserate
In Italia caso unico sulle nazioni sopra analizzate l'indice di incremento delle giocatrici è negativo. Mi spiego meglio:
Il 53% delle tesserate sono bambine che giocano fino a 12 anni (poche in verità quelle di 11/12 anni, moltissime tra i 7 ed i 10 anni)
Il 32% delle tesserate appartiene al settore Juniores ripartite tra U.14 (spesso scolastiche) ed U.16.
Il 15% delle tesserate è appartiene al settore senior, diviso tra campionato a XV e Coppa Italia.
Come vedete la percentuale corre al ribasso. Questo può significare alcune cose:
1) Funzionano bene i progetti di reclutamento nella scuola elementare, dove è evidenziata la componente gioco-sport che evidentemente piace ai bambini quanto ai genitori.
2) Il minrugby si appoggia sulle strutture presenti in loco, ovvero, ogni società ha un settore minirugby più o meno sviluppato che non si crea problemi nel gestire le piccole atlete e ad oggi le società almeno nel centro-nord Italia sono presenti sul territorio in maniera abbastanza capillare. Al contrario dei settori femminili, soprattutto juniores.
3) Il passaggio dal minirugby al settore femminile juniores è traumatico, spesso perchè non ci sono sbocchi. Le società che hanno avuto bambine-giocatrici nel minirugby al momento del passaggio (U.14) smettono semplicemente di conosiderarle delle giocatrici e non favoriscono in alcun modo l'approdo a società che hanno un settore Juniores femminile.
4) Per i genitori di tali piccole atlete cambia spesso la percezione del gioco. Da gioco-sport a formazione e costruzione dell'atleta cosa che richiede naturalmente un impegno maggiore da parte dell'atleta e del genitore. Questo unito al fatto che si deve cominciare a spostarsi cercando società con un settore Juniores femminile che spesso non sono proprio nelle immediate vicinanze, uccide letteralmente la possibilità di sviluppo del settore Juniores. Da non trascurare anche la percezione del gioco da parte del genitore (esperienza diretta) che comincia a sviluppare, con l'aumento delle qualità fisiche, una sindrome da infortunio (soprattutto facciale, la rottura del naso è particolarmente temuta). Questo purtroppo è un retaggio culturale che faticheremo ancora molto a superare. Prevalgono ancora le idee che il rugby abbia una percentuale infortunistica molto più alta rispetto ad altri sport, che non favorisca lo sviluppo della femminilità e che il modello di giocatrice sia l'equivalente del pilone anni '80 maschio, brutto con la pancia e inadatto ad altri sport (senza offesa per i piloni degli anni '80... io li adoravo!
![Mr. Green :-]](./images/smilies/icon_mrgreen.gif)
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5) I progetti di reclutamento nella scuola media inferiore e superiore (anche qui esperienza diretta) non sono quasi mai strutturati per il reclutamento femminile e quando ci sono non funzionano. A Firenze atletica e pallavolo dettano legge in ambito scolastico e realtà anche ben più affermate del rugby (vedi pallanuoto femminile, più volte campione d'Italia) hanno serie difficoltà nel reclutamento, cosa che non succede nel volley che addirittura ha la possibilità di scegliere le giocatrici.
6) Per quanto riguarda il settore seniores, in questi anni qualcosa si è mosso ma la Coppa Italia 7's che ha incrementato il numero delle tessarate non ha in pratica prodotto squadre seniores a XV. Perchè? Spesso perchè le società si sono accontentate di fare attività femminile col minimo sforzo (si badi bene non economico, ma logistico e tecnico). Come al solito nessuno è disposto a spostarsi per collaborare con altre realtà più o meno vicine e per finire (fattore determinante) le ragazze non hanno la percezione del rugby come la hanno gli uomini. Di fronte ad impegno fisico e temporale più congruo preferiscono rimanere al 7's che è un rugby light (mischie no-contest e quant'altro) e senza la voglia delle ragazze si va poco lontano. Io ho perso più di una giocatrice quando ho incrementato il numero e l'intensità degli allenamenti ed ho grossi problemi a far passare un messaggio come quello della palestra che diminuisce il numero e la gravità degli infortuni.
7) Purtroppo nell'immaginario collettivo il rugby rimane sport da uomini e questo mi spiace dirlo (a differenza di quanto succede in Francia ed Inghilterra) anche nelle alte sfere del nostro movimento. La FIR salvo rare eccezioni (Cristina ne è la prova) ha manifestato sempre il minimo interesse possibile per il movimento femminile. Basta vedere a livello di nazionale la differenza di trattamento tra le ragazze e la nazionale U.18 e non vado volutamente più su. Cosa che mi ripeto non succede assolutamente in altre federazioni.
Questi sono i problemi (a parer mio del nostro movimento di base... si potrebbe parlare poi del cosiddetto alto livello ma credo non competa a me).
Vediamo se la mia analisi è funzionale oppure ho detto solo un sacco di "bischerate". Che ne dici nambereit?