Hap ha scritto: ↑18 nov 2019, 8:50
Molto interessante, grazie.
P.S. a fine articolo ci sono già i link della parte 2 e 3.
Ho finito adesso di leggere tutte e 3 le parti (stamattina in ufficio cè calma piatta)
Molto interessante e dà corpo a tante cose che in questi lunghi anni ho pensato spesso.
Riporto alcuni passi
Spiegò che l’Irlanda degli anni Novanta, la “sua” Irlanda, aveva sprecato giocatori e potenziale, ma che da quando, dal 2000 in poi, il lavoro a Dublino era diventato professionale e costante, la crescita era stata entusiasmante. Concluse con una promessa che sarebbe diventata uno slogan, un mantra: “vogliamo costruire l’Italia più forte di sempre”.
Mi sembra evidente che non ci è riuscito. Come ribadito in altre parti dell'articolo non sempre ciò che funziona in un posto genera gli stessi risultati altrove. Illuminante il paragone con le ricette crucche del FMI applicate altrove.
La svolta, la prima di tante in questa storia, arrivò in vista di Natale, quando le famiglie O’Shea (moglie e figlie) e Catt (moglie e figlia), a meno di cinque mesi dal trasferimento nel nostro paese, decisero di lasciare l’Italia. Colpa di un feeling mai nato, di oggettive difficoltà nella gestione scolastica delle ragazze, che erano state iscritte alla scuola internazionale di Verona, di una serie di problemi logistici ben noti a noi che da queste parti siamo cresciuti e viviamo.
Questo non lo sapevo. E non escluderei che avesse avuto un ruolo nel demotivare il coach e nel creare una distanza anche fisica con lui, ben evidenziata laddove si racconta di come all'inizio O'Sé fosse una trottola che girava per i vari club italiani e poi si sia successivamente tenuto sempre più lontano dall'Italia.
“I miei ambasciatori saranno gli stessi giocatori – rispose -. Quando verranno in Nazionale capiranno la portata del nostro progetto, lo sposeranno e lo divulgheranno in tutto il territorio, nei club, nelle franchigie, nelle serie minori. Diventerà un passa parola irresistibile, contagioso e globale. L’unica cosa che mi serve è un risultato positivo ogni tanto. Una vittoria qui, una là per far capire a tutti che la strada intrapresa è quella giusta, non ce n’è un’altra”.
Non so, magari ci credeva veramente. E' chiaro che non è successo per niente.
A un certo punto le cose cominciarono ad andare talmente male che qualcuno face trapelare la possibile esclusione delle italiane dal PRO14, a favore delle sudafricane e delle americane. Intanto la Georgia scalava la classifica internazionale e bussava alle porte del Sei Nazioni.
Un bluff chiaramente, che però investì O’Shea di un nuovo ruolo: quello di ambasciatore dell’Italia all’estero.
E non vorrei che questo lo avesse distolto dai suoi compiti. Qui la colpa sarebbe sua solo in minima parte.
Il coach però comincia a rendersi conto che i suoi metodi in Italia non funzionano. Vorrebbe avere tutto sotto controllo, la Nazionale, le franchigie, i permit, le accademie. Combatte però lo fa alla sua maniera: le critiche non sono mai troppo dirette, i messaggi sibillini.
Questa invece è una colpa piuttosto grave: se qualcosa non va lo devi dire. Poi magari può darsi che sul punto tu non abbia ragione, però devi essere chiaro. Ciò che non dici o cui alludi e basta è come se non esistesse.
Tre mesi di intensa preparazione avevano illuso lo staff di aver costruito in vista del Mondiale l’Italia meglio allenata di sempre. Le amichevoli con la Francia e l’Inghilterra hanno riportato tutti con i piedi per terra: la squadra nonostante l’impegno non regge il confronto né fisicamente, né tecnicamente. Si batte ma viene travolta. Conor è deluso, tanto lavoro ma in mano niente.
Se qualcuno nello staff (lo stesso O'Sé?) si era fatta qualche genere di illusione la cosa è molto grave. Non c'era bisogno di essere dei geni per capire quanto grande fosse la distanza fra noi e le squadre appartenenti alla categoria di cui facciamo parte solo formalmente. Io che sono un pirla qualunque non avevo nessuna illusione né aspettativa. Sarebbe molto grave e segno di incapacità di comprendere la realtà se se la fosse fatta lo staff
Dunque il bilancio di questi tre lunghi anni è una separazione finale senza appello. O’Shea ci considera complicati, bizantini, contorti, incapaci di recepire le direttive e agire di conseguenza. Ci descrive all’estero come “tromboni”. L’Italia si aspettava da lui il miracolo, ma l’uomo si è concentrato sul panorama generale, ci ha raccontato aneddoti, ha scritto ricette e non ha ottenuto nemmeno un risultato. E senza risultati la nostra visibilità è arrivata ai minimi termini.
Non saprei cosa aggiungere.
Come scrivo da un pò qua al bar si è diffusa questa secondo me astrusa opinione secondo la quale i risultati non contano.
Contano, invece, ovunque e in qualsiasi ambito. Ammesso e non concesso che tu sia "migliorato" (qualunque cosa ciò significhi) se questo miglioramento non si condensa in qualche risultato tangibile, beh, conta poco.
Viviamo l'era del rugby itagliano che inizia a Treviso e finisce a Mogliano.
Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l'imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile (cit. Woody Allen)