R.I.P. Marco Bollesan

Discussioni sulla FIR e sulle Nazionali, maggiore e giovanili

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geovale
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Re: R.I.P. Marco Bollesan

Messaggio da geovale » 12 apr 2021, 17:57

A Genova da sempre le parole "Rugby" e "Marco Bollesan" sono non due sinonimi ma proprio la stessa cosa.
Credo che il suo spirito aleggerà per sempre sopra il Carlini e gli altri campi liguri, come del resto è già stato in questi ultimi anni in cui la malattia ne aveva impedito la presenza fisica
tra i tanti ricordi quello di Giorgio Cimbrico, giornalista de Il Secolo XIX:

Era irresistibile. «Vieni, che faccio picchiare i manager». E quando lui diceva «vieni» uno andava e lui li faceva picchiare davvero e il bello è che lo pagavano perché sapeva far affiorare l’aggressività e lo spirito di squadra e alla fine erano tutti sudati e contenti, si davano pacche sulle spalle e le davano anche al loro insegnante,

Anche nelle tenebre in cui era scivolato, anche nella battaglia che aveva ingaggiato e vinto con il virus, anche quando la corazza di muscoli si era disciolta, Marco Bollesan è rimasto l’Implaccabile.

L’unico scontro duro, dal quale non si era rialzato, lo aveva subito quando le alte onde flagellavano il golfo di Genova e si portavano via le barche della piccola insenatura di Boccadasse, quelle dei suoi amici, i suoi vecchietti, li chiamava lui. E così andò a dare una mano, rimase schiacciato tra gli scafi e ci rimise una spalla e per due mesi visse e provò a dormire con una impalcatura che gli stava appesa addosso e naturalmente ne uscì.

Un po’ di anni fa un giovanotto, ex-giocatore, con il cuore gentile e pieno di rugby, andò per una serie di pomeriggi a registrare dalla voce di Marco quel che è abbastanza semplice classificare come un “confesso che ho vissuto”. Ne nacque un bel libro (l’autore se n’è andato giovane, in una notte fatale) e chissà se un giorno se ne potrà ricavare un film, meglio in bianco e nero, tipo “Il Campione” con Richard Harris.

Ne varrebbe la pena perché la vita di Marco è stata una faccenda sospesa tra realtà e leggenda (ogni tanto balena l’interrogativo: nato a Chioggia o a Zagabria?) con un primo personaggio centrale che, come in un romanzo di Guenther Grass, è la nonna. Quella di Guenther aveva ampie gonne, perfette per trovar rifugio; di quella di Marco non è stato tramandato l’abbigliamento. Dei genitori c’è una traccia lieve: madre bellissima e avventuriera (sembra la Venexiana Stevenson di Hugo Pratt), padre dedito a svariati commerci.. Non ci sono mai, ma c’è la nonna.

Poi, come in tutti i miti, c’è un mentore, un centauro che istruisce l’allievo, Tonino Massa. Testimonianza chiave: «Era una delle prime volte che veniva al campo, era brutto tempo e finimmo a lavorare nella palestra del Carlini: lo trovai che litigava con un termosifone». Non è noto chi abbia avuto la peggio.

Oltre che Ercole, Marco è stato anche Giasone, o, perlomeno, un nocchiero di Ulisse: da militare, marinaio a La Spezia, vogava. Nel due senza, con Casagrande, poi trapiantato in Sudafrica e padre del Bart, enorme ragazzo che diede una mano al Cus Genova fine anni Novanta. Da marò, non un modello di disciplina. «Capita quando hai a che fare con sottufficiali s*****i. Uno mi prese di punta e mi fece sbattere in cella: ebbi modo di sistemarlo». Sorriso alla Schwarzenegger::un po’ somigliava.

Coinvolgendo, raccontando, affabulando, affascinando, dava al tempo i suoi ritmi un campione sul campo, un simbolo (il rugby era lui), un campione al banco del bar: Non c’è bar dove non lo conoscessero: “Ho visto Marco, è passato Marco». Dal vecchio angiporto (lì l’obiettivo è la malvasia dei colli piacentini) ai quartieri più eleganti: Marco non beveva Negroni o Martini, era un modestissimo consumatore di birra, era un adepto del gin and tonic e confessava che se Socrate era stato sistemato con la cicuta lui avrebbe voluto chiudere con una flebo di acqua tonica e distillato di ginepro, la miglior mistura per galoppare verso i Campi Elisi. Al Seven della tradizione, nella scozzese Gala, infilò un lungo percorso netto e, dirigendosi verso la cena ufficiale, dimenticò che c’era un ponticello e così, in compagnia di un irlandese che come lui aveva fatto il pieno, guadò un torrente. E così alla cena arrivarono fradici dalla vita in giù: la cravatta era in salvo.

Da giovane aveva le tasche vuote: non lo nascondeva, non lo dimenticava, non se ne vergognava. Con il rugby non è diventato ricco ma ha campato soprattutto facendo quel che gli piaceva. Sembra poco, è tutto. Avrebbe potuto avere di più, giocare in Francia ma qualcuno nascose lettera e offerta e lui non ne ha mai fatto un dramma. È andata così.

In un rugby molto veneto, lui, dotato di nome veneto, finì per portare lo scudetto a Napoli e a Brescia e, tra l’una e l’altra delle imprese, sfiorarlo due volte a Genova con una squadra che aveva costruito pezzo per pezzo, «meno un buon calciatore». Il primo globalizzatore, almeno a livello nazionale.

Era in campo a Grenoble, per la Mala Pasqua del ’63, e ne portava le stigmate («una gomitata all’arcata di quel francese che, per via dei baffi, chiamavano le Mongol: “ti ho insegnato a vivere”, mi ha detto dopo e mi ha regalato la maglia»), è riuscito ad assaggiare il rugby britannico quando quello italiano era lontano miglia e leghe («Avevamo giocato contro un po’ di contee e il sabato ci portarono a Twckenham per Inghilterra-Galles: nel cestino da viaggio, fagiano in gelatina e Moet Chandon. Che roba»), giocò a Llanelli (“mi aprirono la testa come un salvadanaio”) e aggiunse punti alla collezione (“non sono un uomo, sono un tailleur), mise assieme una squadra di “banditi”, i suoi banditi, e nell’estate del ’73, la portò per un mese in Sudafrica rimediando mazzate tremende, creando una coscienza nuova, mettendo assieme incontri memorabili (il vecchio Springbok che aveva ucciso un leone con le sue mani è diventato un classico) e toccando, quando vennero affrontati i Leopards, la realtà dell’apartheid.

Ha fondato le Zebre, i Barbarians d’Italia (“a casa mia sventola sempre la bandiera”), e da commissario tecnico, nell’87, primo Mondiale, è quello che è andato più vicino a portare l’Italia tra i primi otto paesi del mondo. De mortuis nisi bonum, dicono quelli che amano le citazioni latine, ma per lui valeva anche quand’era vivo.

Garry
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Re: R.I.P. Marco Bollesan

Messaggio da Garry » 12 apr 2021, 20:17

Pastonesi su facebook ha messo questo:

(da "La meta più bella della storia", Baldini+Castoldi)
Bollesan, a suo modo, il gallese. Guerriero siderurgico, avrebbe potuto essere anche un guerriero minatore. "Il primo allenamento della mia vita picchiai e picchiai, randellate su randellate. Se mi avessero detto che c’era anche una palla, forse avrei combinato qualcosa di più". "Genova, Sottoripa, zona angiporto, bar del Capitano. Un postaccio, il mio preferito. Gruppo di rugbisti. E uno che dice di giocare a rugby, di essere argentino, anzi, un Puma. Controllo. Prima, però, un boccale di birra. Tutti e due. Poi prendo un melone: questo è il pallone, e adesso placcami. Gli corro incontro, finta a destra, vado a sinistra, e lui mi piazza un terribile placcaggio, precipito sulle piastrelle, pantaloni rotti e gomiti feriti. Mi rialzo e gli dico: non è possibile, rifacciamo. Gli corro incontro, finta a sinistra, finta a destra, vado a sinistra, lo supero, e quando credo di averla fatta franca, lui mi piazza un altro terribile placcaggio, crollo sulle piastrelle, i pantaloni sono già rotti, stavolta mi ferisco al ginocchio. Mi rialzo e gli dico: ok, sei un Puma, domani giochiamo con le Zebre, porta la roba. Il giorno dopo lui, Julio Materazzo, trequarti centro dei Pumas, si presenta con un fagottino, dentro le scarpe. Il resto glielo diamo noi. E Julio sarà il migliore in campo". "Il mio era un altro rugby. Arbitro statico, guardalinee di parte perché portati dalle due squadre, il maggiore rischio era avvicinarsi alle linee di touche, così imparavi a giocartela in mezzo. Era la nostra Accademia".
Anche Beppe Viola rese omaggio a Bollesan dedicandogli un encomio d'autore: “Rivera, Mazzola, Thoeni e Mennea, gente da sessanta chili non di più, gente che se gli dai una sberla pirlano in giro per un quarto d’ora, se ne sono andati incastonati in benemerenze, rappresentanze, ovazioni, giubilei. Lui, sarà che è grande grosso (novantasette chili per un metro e ottantacinque), dopo venticinque anni di botte, ha rimediato una medaglia (non più di trentamila lire) e un grazie tanto tradotto in dieci righe sui quotidiani sportivi di questo Paese di sedentari”.

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Re: R.I.P. Marco Bollesan

Messaggio da pilonepoltrone » 12 apr 2021, 23:10

bello l'articolo di Cimbrico per ricordare un mito della mia giovinezza. rip capitano.
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Re: R.I.P. Marco Bollesan

Messaggio da Leinsterugby » 13 apr 2021, 0:47

Guardate che ho trovato su bollesan

http://rugby.it/viewtopic.php?f=21&t=10345&start=15

Garry
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Re: R.I.P. Marco Bollesan

Messaggio da Garry » 13 apr 2021, 8:31

È lo stesso aneddoto che ha raccontato Pastonesi nel post che ho messo qui sopra.
Mi viene un sospetto. Non è che GRUN fosse per caso Pastonesi?

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Re: R.I.P. Marco Bollesan

Messaggio da metabolik » 14 apr 2021, 14:58

Oggi, sul quotidiano Libertà della mia città, Bertoncini, ex estremo Lyons e allenatore di diverse squadre, ricorda Bollesan nelle numerose occasioni, da giocatore e allenatore, in cui lo ha incontrato.

@geovale: controlla la posta, grazie.

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Re: R.I.P. Marco Bollesan

Messaggio da parisgino » 14 apr 2021, 19:31

Come per Massimo Cuttita ne conoscevo solo la fama. Bruttissima notizia in un brutto periodo.
RIP.

PS : bello l'aneddoto con il giocatore argentino.

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Re: R.I.P. Marco Bollesan

Messaggio da geovale » 14 apr 2021, 22:56

metabolik ha scritto:
14 apr 2021, 14:58

@geovale: controlla la posta, grazie.
Controllato e risposto

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Re: R.I.P. Marco Bollesan

Messaggio da metabolik » 15 apr 2021, 13:51

Anche oggi Bollesan viene ricordato dal quotidiano locale quando venne all'Old Rugby Piacenza l'8 Dicembre 2009, data in cui viene annualmente consegnato il Premio Grigioni* a chi ha favorito la crescita del rugby.
Anche in quella occasione Bollesan lasciò un segno della sua personalità fuori dagli schemi. La cronaca di allora riportava la sua famosa risposta 'Senza il rugby sarei in galera' a chi gli domandava cos'era il rugby per lui.' Il rugby mi ha trasmesso i valori per diventare un uomo per stare assieme agli altri e rispettarli...

*(fondatore del Piacenza rugby 1947)

Garry
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Re: R.I.P. Marco Bollesan

Messaggio da Garry » 16 apr 2021, 18:49

Una chicca.
L'unica occasione in cui Bollesan giocò con la maglia della Rugby Parma in un reparto di terza linea con i controcojoni: Bonetti - Bollesan - Salsi
Notare un giovane Dondi compiaciuto (all'epoca presidente della Rugby Parma)


Immagine

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Re: R.I.P. Marco Bollesan

Messaggio da metabolik » 16 apr 2021, 21:53

Una foto da archivio storico, ma devi spiegarla perchè con Bollesan ci sono anche Abbiati, Salsi, Bonetti, Modonesi, che nel Parma non hanno mai giocato ; cos'era , una mista per qualche occasione speciale ?
Gran bella squadra il Parma di quei tempi; si notano accanto ai 'veterani' Grassi, Pulli, Bersellini, Soncini ... i due giovani (allora) prodotti del vivaio Larini e Banchini.
Spettacoloso il Dondi giovane.

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Re: R.I.P. Marco Bollesan

Messaggio da Garry » 17 apr 2021, 9:11

Sono i primi anni Settanta, non posso ricordare...
Però leggo nella didascalia che era una squadra “mista” con il Brescia per disputare un torneo a Rho. Comunque Bonetti e Salsi hanno giocato nella Rugby Parma anche in campionato, gli altri credo di no

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Re: R.I.P. Marco Bollesan

Messaggio da Garry » 17 apr 2021, 9:15

Ho verificato sull’annuario: anche Modonesi

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Re: R.I.P. Marco Bollesan

Messaggio da metabolik » 17 apr 2021, 14:50

OK

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