roy bish
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Carissimi amici (non riesco a non considerarvi tali), eccovi come promesso un profilo sul monumento Isidoro "Doro" Quaglio. Non sono riuscito ad essere sintetico, spero mi perdonerete, ma la "statura" (non quella fisica) del personaggio non me l'ha consentito.
A voi.
Isidoro "Doro" Quaglio cresce nel quartiere di Rovigo che è fucina storica del vivaio rossoblu di ogni tempo: SAN BARTOLOMEO. Anche se nessuno lo chiama cosi, oggi come ieri; piuttosto SAN BORTOLO.
In quel periodo, (seconda metà '50) la Rugby Rovigo arranca sotto il peso di un ricambio generazionale che fatica a compiersi; il "reclutamento" di giovani promesse o ragazzi possibili rugbysti avviene nei modi più disparati; sempre ed in ogni dove.
E' proprio Maci Battaglini ad accorgersi di Doro e ad avvicinarlo al rugby, come ben racconta, in un aneddoto che sa di leggenda, Marco Pastonesi nel suo libro dedicato a Maci.
Fin da piccolo Doro ha un fisico che promette bene: longilineo, robusto, nervoso, ma il ragazzo è maldestro e distratto. Maci gli urla: "Bestia de omo, te insegno mì cossa xe el rèbi!"
Nel 1958, a 16 anni, Gino Ganzerla e "Biso" Bordon lo vanno a prendere a casa, mentre Doro sta per avventarsi su un piatto di pastasciutta, per farlo esordire in Serie A contro il Brescia. La maglia gravida di storia ed importanza per una città che non aveva altro per cui gioire o preoccuparsi, l'esordire accanto a vecchi campioni... Doro gioca male quella gara e fa un passo indietro; continua a giocare con la giovanile per due campionati, ma nel frattempo il quartiere San Bortolo inizia a stargli stretto.
Parte volontario, prima ancora della chiamata, per il militare nei Corazzieri, guardia del Presidente; resta a Roma sei anni e sotto le armi pratica con successo il canottaggio, disciplina in cui diventa campione d'italia nell'8 CON, trasferendo qui lo stesso carattere, ardore e sacrificio richiesti dal rugby. Accarezza anche il sogno di poter arrivare alle Olimpiadi.
Gli tornano alla mente i momenti delle serate di alcuni anni prima, tornando a casa dal Bar Luce, in bici accanto a Maci: “Se diventi cattivo sarai la miglior 2° linea d’italia”.
Rovigo, ma soprattutto il rugby, gli mancano; torna vicino a casa, a Bologna, dove ricomincia a giocare nella Viro di Sgorbatti, con meno pressione, meno emotività, più maturità. Le stesse caratteristiche che lo portano a muoversi di nuovo; eccolo in Francia a Burgoin, dove gioca un campionato durissimo che gli schiude la filosofia del gioco del pack ma gli fa soprattutto capire come il rugby sia vissuto in Francia, mentre là tutti gli parlano e chiedono di Maci, di Malosti, di Borsetto.
Nel ’69, a 27 anni, Doro torna a Rovigo e sono anni duri, in cui Maci fatica a mettere assieme un quindici per la domenica. I rossoblu lottano per la salvezza ed attraversano il momento più duro della propria storia; agli allenamenti si ritrovano in pochissimi e la domenica alcuni rossoblu sono costretti ad andare letteralmente a prendere a casa alcuni compagni. Come era successo a Doro, da ragazzino.
Ma quel Rovigo, che si aggrappa con i denti alla permanenza in Serie A, è vivaio per una generazione di futuri campioni, quali P. Ferracin, G. Checchinato, Nino Rossi, Banana Visentin, Elio De Anna e con i fratelli Biscuola, ormai a fine carriera, a fare da traino.
Arrivano le prime convocazioni in nazionale, le tournee in Galles, Scozia, che Doro affronta sacrificando ferie, lavoro e famiglia. Nel frattempo il rugby in italia cambia, arrivano i primi sponsor, Tosi Mobili è il primo per la Rugby Rovigo. Arrivano anche i primi stranieri, come l’estremo rumeno fuoriclasse Alex Penciu, che insegna a tutti l’importanza della preparazione atletica. Con la sua fama ed i primi risultati, il nuovissimo Stadio Battaglini si riempie.
Arrivano anche John Welch, mediano coraggioso e scattante, e Meirion Prosser, dal carattere duro e spigoloso. Doro in una tournee della nazionale nel ’73 in Sud Africa apprende moltissimo in termini di tecnica individuale; partite entusiasmanti e finalmente in nazionale si respira uno spirito ed una condivisione da club. Nel ’74, dopo l’addio di Penciu, a Rovigo c'è Julien Saby, che da subito imposta una sorta di accademia rugbystica ante-litteram. Re-insegna fondamentali, gestualità, impostazioni tattiche e mentali a giocatori già maturi.
Doro ha 32 anni e per la prima volta in carriera sogna lo scudetto. Il primo anno di Saby, il Rovigo ora targato Sanson finisce al 4° posto; l’anno successivo arrivano i sudafricani Os Wiese, Dirk Naudè ed il gallese Bernard Thomas. Il 1975/76 è il campionato dell’8° scudetto rossoblu, che il Rovigo di Doro conquista sul campo della Wuhrer Brescia di Bollesan.
Quel Rovigo è una squadra che gioca un rugby lontanissimo dagli standard italiani: abbozza la seconda fase, perfeziona fisarmoniche in attacco e difesa sui backs. Memorabile in tal senso la meta-scudetto di Nino Rossi su schema di Saby, la “fisarmonica esterna” con Toffoli a dettare l’angolo di passaggio e l’inserimento di Rossi dopo finta e debordaggio esterno.
La carriera di Doro giocatore potrebbe finire nel trionfo di Brescia (squadra contro cui debuttò a 16 anni, ironia della sorte) in cui viene portato dai tifosi rossoblu, a petto nudo ed indossando il cappello piumato da bersagliere. 165 gare e 15 caps in nazionale, con cui quello stesso anno conquista un secondo posto in Coppa Europa.
Invece continua per altri due anni, condivide l’amarezza di un’intera città nello spareggio di Udine con il Petrarca del campionato successivo (76/77) ed un’ultima, appagante esperienza nel primo anno di Carwyn James sulla panchina rossoblu. E’ la stagione 77/78, la sua ultima da giocatore.
A Doro viene immediatamente proposta una nuova ed allettante esperienza, che vivrà con il suo solito spirito goliardico, di gruppo e scanzonato e che forse per questo si rivelerà negativa: quella di commissario tecnico della nazionale. Si rivelerà una parentesi breve e molto amara; la batosta subita dalla Romania a Bucarest, inevitabile per la troppa disorganizzazione, confusione, improvvisazione con cui ad ogni livello viene affrontato quell’impegno, lascerà in lui un segno indelebile.
Anche qui una coincidenza: da giocatore aveva debuttato in nazionale proprio contro la Romania.
Doro ne esce distrutto, sbigottito e deluso, Bucarest diviene la sua croce.
Si allontana dal rugby per alcuni anni, vive da spettatore i bui anni ’80 del Rovigo, sempre in piedi sul primo gradino basso degli spalti, sigaretta alla mano, camminando a destra e sinistra parallelamente al campo per seguire meglio ogni azione. Ancora oggi è lì, con la sigaretta in mano ed i suoi eccentricissimi cappelli, berretti e kefiah.
A fine anni ’80 un’esperienza da allenatore a Villadose, una a Frassinelle; diventa Presidente del Club Atleti Azzurri d’Italia, carica che abbandonerà nel 2002.
Dirigente della Rugby Rovigo non lo diventerà mai, destino tristemente comune ancora oggi a moltissimi ex-rossoblu.
A voi.
Isidoro "Doro" Quaglio cresce nel quartiere di Rovigo che è fucina storica del vivaio rossoblu di ogni tempo: SAN BARTOLOMEO. Anche se nessuno lo chiama cosi, oggi come ieri; piuttosto SAN BORTOLO.
In quel periodo, (seconda metà '50) la Rugby Rovigo arranca sotto il peso di un ricambio generazionale che fatica a compiersi; il "reclutamento" di giovani promesse o ragazzi possibili rugbysti avviene nei modi più disparati; sempre ed in ogni dove.
E' proprio Maci Battaglini ad accorgersi di Doro e ad avvicinarlo al rugby, come ben racconta, in un aneddoto che sa di leggenda, Marco Pastonesi nel suo libro dedicato a Maci.
Fin da piccolo Doro ha un fisico che promette bene: longilineo, robusto, nervoso, ma il ragazzo è maldestro e distratto. Maci gli urla: "Bestia de omo, te insegno mì cossa xe el rèbi!"
Nel 1958, a 16 anni, Gino Ganzerla e "Biso" Bordon lo vanno a prendere a casa, mentre Doro sta per avventarsi su un piatto di pastasciutta, per farlo esordire in Serie A contro il Brescia. La maglia gravida di storia ed importanza per una città che non aveva altro per cui gioire o preoccuparsi, l'esordire accanto a vecchi campioni... Doro gioca male quella gara e fa un passo indietro; continua a giocare con la giovanile per due campionati, ma nel frattempo il quartiere San Bortolo inizia a stargli stretto.
Parte volontario, prima ancora della chiamata, per il militare nei Corazzieri, guardia del Presidente; resta a Roma sei anni e sotto le armi pratica con successo il canottaggio, disciplina in cui diventa campione d'italia nell'8 CON, trasferendo qui lo stesso carattere, ardore e sacrificio richiesti dal rugby. Accarezza anche il sogno di poter arrivare alle Olimpiadi.
Gli tornano alla mente i momenti delle serate di alcuni anni prima, tornando a casa dal Bar Luce, in bici accanto a Maci: “Se diventi cattivo sarai la miglior 2° linea d’italia”.
Rovigo, ma soprattutto il rugby, gli mancano; torna vicino a casa, a Bologna, dove ricomincia a giocare nella Viro di Sgorbatti, con meno pressione, meno emotività, più maturità. Le stesse caratteristiche che lo portano a muoversi di nuovo; eccolo in Francia a Burgoin, dove gioca un campionato durissimo che gli schiude la filosofia del gioco del pack ma gli fa soprattutto capire come il rugby sia vissuto in Francia, mentre là tutti gli parlano e chiedono di Maci, di Malosti, di Borsetto.
Nel ’69, a 27 anni, Doro torna a Rovigo e sono anni duri, in cui Maci fatica a mettere assieme un quindici per la domenica. I rossoblu lottano per la salvezza ed attraversano il momento più duro della propria storia; agli allenamenti si ritrovano in pochissimi e la domenica alcuni rossoblu sono costretti ad andare letteralmente a prendere a casa alcuni compagni. Come era successo a Doro, da ragazzino.
Ma quel Rovigo, che si aggrappa con i denti alla permanenza in Serie A, è vivaio per una generazione di futuri campioni, quali P. Ferracin, G. Checchinato, Nino Rossi, Banana Visentin, Elio De Anna e con i fratelli Biscuola, ormai a fine carriera, a fare da traino.
Arrivano le prime convocazioni in nazionale, le tournee in Galles, Scozia, che Doro affronta sacrificando ferie, lavoro e famiglia. Nel frattempo il rugby in italia cambia, arrivano i primi sponsor, Tosi Mobili è il primo per la Rugby Rovigo. Arrivano anche i primi stranieri, come l’estremo rumeno fuoriclasse Alex Penciu, che insegna a tutti l’importanza della preparazione atletica. Con la sua fama ed i primi risultati, il nuovissimo Stadio Battaglini si riempie.
Arrivano anche John Welch, mediano coraggioso e scattante, e Meirion Prosser, dal carattere duro e spigoloso. Doro in una tournee della nazionale nel ’73 in Sud Africa apprende moltissimo in termini di tecnica individuale; partite entusiasmanti e finalmente in nazionale si respira uno spirito ed una condivisione da club. Nel ’74, dopo l’addio di Penciu, a Rovigo c'è Julien Saby, che da subito imposta una sorta di accademia rugbystica ante-litteram. Re-insegna fondamentali, gestualità, impostazioni tattiche e mentali a giocatori già maturi.
Doro ha 32 anni e per la prima volta in carriera sogna lo scudetto. Il primo anno di Saby, il Rovigo ora targato Sanson finisce al 4° posto; l’anno successivo arrivano i sudafricani Os Wiese, Dirk Naudè ed il gallese Bernard Thomas. Il 1975/76 è il campionato dell’8° scudetto rossoblu, che il Rovigo di Doro conquista sul campo della Wuhrer Brescia di Bollesan.
Quel Rovigo è una squadra che gioca un rugby lontanissimo dagli standard italiani: abbozza la seconda fase, perfeziona fisarmoniche in attacco e difesa sui backs. Memorabile in tal senso la meta-scudetto di Nino Rossi su schema di Saby, la “fisarmonica esterna” con Toffoli a dettare l’angolo di passaggio e l’inserimento di Rossi dopo finta e debordaggio esterno.
La carriera di Doro giocatore potrebbe finire nel trionfo di Brescia (squadra contro cui debuttò a 16 anni, ironia della sorte) in cui viene portato dai tifosi rossoblu, a petto nudo ed indossando il cappello piumato da bersagliere. 165 gare e 15 caps in nazionale, con cui quello stesso anno conquista un secondo posto in Coppa Europa.
Invece continua per altri due anni, condivide l’amarezza di un’intera città nello spareggio di Udine con il Petrarca del campionato successivo (76/77) ed un’ultima, appagante esperienza nel primo anno di Carwyn James sulla panchina rossoblu. E’ la stagione 77/78, la sua ultima da giocatore.
A Doro viene immediatamente proposta una nuova ed allettante esperienza, che vivrà con il suo solito spirito goliardico, di gruppo e scanzonato e che forse per questo si rivelerà negativa: quella di commissario tecnico della nazionale. Si rivelerà una parentesi breve e molto amara; la batosta subita dalla Romania a Bucarest, inevitabile per la troppa disorganizzazione, confusione, improvvisazione con cui ad ogni livello viene affrontato quell’impegno, lascerà in lui un segno indelebile.
Anche qui una coincidenza: da giocatore aveva debuttato in nazionale proprio contro la Romania.
Doro ne esce distrutto, sbigottito e deluso, Bucarest diviene la sua croce.
Si allontana dal rugby per alcuni anni, vive da spettatore i bui anni ’80 del Rovigo, sempre in piedi sul primo gradino basso degli spalti, sigaretta alla mano, camminando a destra e sinistra parallelamente al campo per seguire meglio ogni azione. Ancora oggi è lì, con la sigaretta in mano ed i suoi eccentricissimi cappelli, berretti e kefiah.
A fine anni ’80 un’esperienza da allenatore a Villadose, una a Frassinelle; diventa Presidente del Club Atleti Azzurri d’Italia, carica che abbandonerà nel 2002.
Dirigente della Rugby Rovigo non lo diventerà mai, destino tristemente comune ancora oggi a moltissimi ex-rossoblu.
Ultima modifica di L3gs il 29 giu 2006, 16:11, modificato 2 volte in totale.
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..ciao Grun, sai dirmi qualcosa di Roberto "Franz" Franzone, Loris Salsi, Lorenzo Massa, Andrea Selvaggio, in riferimento a Roy Bish ?GRUN ha scritto:Grazie dinozocc, grande esperto di luppoli e malti, e supergrazie a L3gs per lo splendido profilo su Doro Quaglio. So che in molti, a partire da Nebelhexe, attendevano queste righe. Sarebbe bello che Quaglio sapesse di questo thread e potesse leggere questo contributo.
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GRUN, VEROSQUALO e NEBELHEXE vi ammiro e siete una delle poche ragioni che ad oggi mi fanno seguire ancora questo sito, i vostri racconti mi accendono uan mia memoria personale in fatto di rugby che neancjhe gli anni affievolisce, fatta di sabati pomeriggi invernali passati a casa a vedere il 5 nazioni in b/n invece di andare a rimorchiare in centro oppure mettermi la sveglia alle 4 di mattina per vedere l'esordio in coppa del mondo con gli all blacks e il giorno dopo essere deriso dagli amici pallonnari ....
Anch'io sono come Voi forgiato dal mai dimenticato Nino Begali e particolarmente triste per quanto accaduto domenica .........
Siete fantastici continuate così abbiamo sete dei vostri racconti.
Anch'io sono come Voi forgiato dal mai dimenticato Nino Begali e particolarmente triste per quanto accaduto domenica .........
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Nebelhexe ha scritto:L3gs ti voglio bene, caro.
Ringrazio voi tutti del vostro calore, ma soprattutto te per avere aperto con questo thread -inconsapevolmente e forse anche per questo più "preziosamente"- un luogo dove si può e riesce a parlare del nostro sport in un modo che professionismo, procuratori, presidenti ladroni e quant'altro sembrano sempre più aver cancellato.