roy bish
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Lelacat ha poco sopra fatto riferimento a rugbisti genovesi degli anni settanta poi diventati allenatori o dirigenti. Meglio di me potrebbero scrivere su questi personaggi Sanscrito e soprattutto Lurre, che conosce davvero bene Lorenzo Costa... Loris Salsi, che il prossimo campionato allenerà nella repubblica marinara di Cogoleto cara a lelacat, è stato una colonna del Cus Genova prima e poi di Parma e Brescia. Flanker di vaglia, ha collezionato 28 caps con la maglia azzurra tra il 1971 ed il 1978, venendo allenato in maglia azzurra anche dal "nostro" Roy Bish. Andrea Selvaggio, ala veloce e prestante, assommò sei presenze con la maglia della nazionale italiana, tutte registrate nel corso di quella tournèe del 1973 in Rhodesia e Sudafrica alla quale ha fatto riferimento L3gs parlando di Doro Quaglio. Si trattò del primo vero tour nell'emisfero australe della nostra storia rugbistica, anche se nel 1970 gli azzurri si erano recati in Madagascar per un'esperienza diventata memorabile più per fatti di costume e frenesie goliardiche che per motivi tecnici. Per la cronaca le due partite giocate a Tananarive vennero vinte dalla squadra italiana 17-9 e 9-6. L'esperienza sudafricana fu invece molto più attendibile e probante. La nostra nazionale giocò contro alcune dell province più prestigiose, oltre che contro la Rhodesia ed i Leopards, in pratica la nazionale dei giocatori neri, ai quali non era consentito di mischiarsi agli springbock bianchi. E contro i Leopards, a Porth Elizabeth il 7 luglio, arrivò l'unica vittoria di quell'esperienza, 24-4, con mete di Bollesan e Bonetti e sedici punti al piede dell'apertura petrarchina Lazzarini. Le altre partite si giocarono il 16 giugno a Salisbury contro la forte Rhodesia (ora Zimbabwe), 4-42; il 20 giugno contro West Transvaal, 6-32; il 23 contro Border, 12-25; il 27 contro North East cape, 12-31; il 30 a Durban contro Natal, 3-23; il 4 luglio contro East Transvaal, 12-39; il 9 luglio contro N.O. Free State, 11-12 ed infine l'undici all'Ellis park di Johannesburg contro Transvaal XV, 24-28. Per tutte questa partite la federazione italiana concesse il cap.
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si Bix, volemose bene. Vai vai a meditare su thelonius monk, caro
L3gs: grazie a voi di aver soddisfatto la mia curiosita' nel verso giusto, intendendo il rugby con lo stesso mood ed anca massaaaaa!
Ciao Tombolino, io, purtroppo da queste parti con accanto Grun e Verosqualo devo fare umilmente un ampio passo indietro hehehhehhe
L3gs: grazie a voi di aver soddisfatto la mia curiosita' nel verso giusto, intendendo il rugby con lo stesso mood ed anca massaaaaa!
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Lei non sa chi io mi credo di essere!!!!
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porca boia!!mi dispiace che l'abbiano persa,aspetto la cronaca!!L3gs ha scritto:Purtroppo no, Teodoro. Entro la prossima settimana prometto di trovare il tempo per narrare la "storia" di quella partita storica.teodoro ha scritto:immgino che la RR l'abbia vinta quella partita...
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cari forumisti,ho letto poche pagine di questo thread,mi piace molto,soprattutto ciò che è stato scritto di Doro Quaglio...per questo voglio portarvi una piccola testimonianza su questo personaggio,che ho avuto il piacere di incontrare a distanza di..30 anni in uno spogliatoio di rugby,proprio a rovigo in questa stagione appena finita...L3gs ha scritto:Carissimi amici (non riesco a non considerarvi tali), eccovi come promesso un profilo sul monumento Isidoro "Doro" Quaglio. Non sono riuscito ad essere sintetico, spero mi perdonerete, ma la "statura" (non quella fisica) del personaggio non me l'ha consentito.
A voi.
Isidoro "Doro" Quaglio cresce nel quartiere di Rovigo che è fucina storica del vivaio rossoblu di ogni tempo: SAN BARTOLOMEO. Anche se nessuno lo chiama cosi, oggi come ieri; piuttosto SAN BORTOLO.
In quel periodo, (seconda metà '50) la Rugby Rovigo arranca sotto il peso di un ricambio generazionale che fatica a compiersi; il "reclutamento" di giovani promesse o ragazzi possibili rugbysti avviene nei modi più disparati; sempre ed in ogni dove.
E' proprio Maci Battaglini ad accorgersi di Doro e ad avvicinarlo al rugby, come ben racconta, in un aneddoto che sa di leggenda, Marco Pastonesi nel suo libro dedicato a Maci.
Fin da piccolo Doro ha un fisico che promette bene: longilineo, robusto, nervoso, ma il ragazzo è maldestro e distratto. Maci gli urla: "Bestia de omo, te insegno mì cossa xe el rèbi!"
Nel 1958, a 16 anni, Gino Ganzerla e "Biso" Bordon lo vanno a prendere a casa, mentre Doro sta per avventarsi su un piatto di pastasciutta, per farlo esordire in Serie A contro il Brescia. La maglia gravida di storia ed importanza per una città che non aveva altro per cui gioire o preoccuparsi, l'esordire accanto a vecchi campioni... Doro gioca male quella gara e fa un passo indietro; continua a giocare con la giovanile per due campionati, ma nel frattempo il quartiere San Bortolo inizia a stargli stretto.
Parte volontario, prima ancora della chiamata, per il militare nei Corazzieri, guardia del Presidente; resta a Roma sei anni e sotto le armi pratica con successo il canottaggio, disciplina in cui diventa campione d'italia nell'8 CON, trasferendo qui lo stesso carattere, ardore e sacrificio richiesti dal rugby. Accarezza anche il sogno di poter arrivare alle Olimpiadi.
Gli tornano alla mente i momenti delle serate di alcuni anni prima, tornando a casa dal Bar Luce, in bici accanto a Maci: “Se diventi cattivo sarai la miglior 2° linea d’italia”.
Rovigo, ma soprattutto il rugby, gli mancano; torna vicino a casa, a Bologna, dove ricomincia a giocare nella Viro di Sgorbatti, con meno pressione, meno emotività, più maturità. Le stesse caratteristiche che lo portano a muoversi di nuovo; eccolo in Francia a Burgoin, dove gioca un campionato durissimo che gli schiude la filosofia del gioco del pack ma gli fa soprattutto capire come il rugby sia vissuto in Francia, mentre là tutti gli parlano e chiedono di Maci, di Malosti, di Borsetto.
Nel ’69, a 27 anni, Doro torna a Rovigo e sono anni duri, in cui Maci fatica a mettere assieme un quindici per la domenica. I rossoblu lottano per la salvezza ed attraversano il momento più duro della propria storia; agli allenamenti si ritrovano in pochissimi e la domenica alcuni rossoblu sono costretti ad andare letteralmente a prendere a casa alcuni compagni. Come era successo a Doro, da ragazzino.
Ma quel Rovigo, che si aggrappa con i denti alla permanenza in Serie A, è vivaio per una generazione di futuri campioni, quali P. Ferracin, G. Checchinato, Nino Rossi, Banana Visentin, Elio De Anna e con i fratelli Biscuola, ormai a fine carriera, a fare da traino.
Arrivano le prime convocazioni in nazionale, le tournee in Galles, Scozia, che Doro affronta sacrificando ferie, lavoro e famiglia. Nel frattempo il rugby in italia cambia, arrivano i primi sponsor, Tosi Mobili è il primo per la Rugby Rovigo. Arrivano anche i primi stranieri, come l’estremo rumeno fuoriclasse Alex Penciu, che insegna a tutti l’importanza della preparazione atletica. Con la sua fama ed i primi risultati, il nuovissimo Stadio Battaglini si riempie.
Arrivano anche John Welch, mediano coraggioso e scattante, e Meirion Prosser, dal carattere duro e spigoloso. Doro in una tournee della nazionale nel ’73 in Sud Africa apprende moltissimo in termini di tecnica individuale; partite entusiasmanti e finalmente in nazionale si respira uno spirito ed una condivisione da club. Nel ’74, dopo l’addio di Penciu, a Rovigo c'è Julien Saby, che da subito imposta una sorta di accademia rugbystica ante-litteram. Re-insegna fondamentali, gestualità, impostazioni tattiche e mentali a giocatori già maturi.
Doro ha 32 anni e per la prima volta in carriera sogna lo scudetto. Il primo anno di Saby, il Rovigo ora targato Sanson finisce al 4° posto; l’anno successivo arrivano i sudafricani Os Wiese, Dirk Naudè ed il gallese Bernard Thomas. Il 1975/76 è il campionato dell’8° scudetto rossoblu, che il Rovigo di Doro conquista sul campo della Wuhrer Brescia di Bollesan.
Quel Rovigo è una squadra che gioca un rugby lontanissimo dagli standard italiani: abbozza la seconda fase, perfeziona fisarmoniche in attacco e difesa sui backs. Memorabile in tal senso la meta-scudetto di Nino Rossi su schema di Saby, la “fisarmonica esterna” con Toffoli a dettare l’angolo di passaggio e l’inserimento di Rossi dopo finta e debordaggio esterno.
La carriera di Doro giocatore potrebbe finire nel trionfo di Brescia (squadra contro cui debuttò a 16 anni, ironia della sorte) in cui viene portato dai tifosi rossoblu, a petto nudo ed indossando il cappello piumato da bersagliere. 165 gare e 15 caps in nazionale, con cui quello stesso anno conquista un secondo posto in Coppa Europa.
Invece continua per altri due anni, condivide l’amarezza di un’intera città nello spareggio di Udine con il Petrarca del campionato successivo (76/77) ed un’ultima, appagante esperienza nel primo anno di Carwyn James sulla panchina rossoblu. E’ la stagione 77/78, la sua ultima da giocatore.
A Doro viene immediatamente proposta una nuova ed allettante esperienza, che vivrà con il suo solito spirito goliardico, di gruppo e scanzonato e che forse per questo si rivelerà negativa: quella di commissario tecnico della nazionale. Si rivelerà una parentesi breve e molto amara; la batosta subita dalla Romania a Bucarest, inevitabile per la troppa disorganizzazione, confusione, improvvisazione con cui ad ogni livello viene affrontato quell’impegno, lascerà in lui un segno indelebile.
Anche qui una coincidenza: da giocatore aveva debuttato in nazionale proprio contro la Romania.
Doro ne esce distrutto, sbigottito e deluso, Bucarest diviene la sua croce.
Si allontana dal rugby per alcuni anni, vive da spettatore i bui anni ’80 del Rovigo, sempre in piedi sul primo gradino basso degli spalti, sigaretta alla mano, camminando a destra e sinistra parallelamente al campo per seguire meglio ogni azione. Ancora oggi è lì, con la sigaretta in mano ed i suoi eccentricissimi cappelli, berretti e kefiah.
A fine anni ’80 un’esperienza da allenatore a Villadose, una a Frassinelle; diventa Presidente del Club Atleti Azzurri d’Italia, carica che abbandonerà nel 2002.
Dirigente della Rugby Rovigo non lo diventerà mai, destino tristemente comune ancora oggi a moltissimi ex-rossoblu.
dovevamo affrontare il Benetton in una partita molto dura e importante e i nostri grandissimi allenatori Flaviano Brizzante(anche su di lui penso che ne sia di roba da raccontare,vero L3gs?!)e PAtrizio Zanella hanno pensato di farci fare un in bocca al lupo da alcuni grandi ex giocatori rossoblù..beh,per quella partita chi c'era??un certo Doro Quaglio,con il suo immancabile basco blu e il pon pon rosso...mi ricordo che ci ha detto poche parole,penso come si usasse dire una volta,ovvero,abbiate fiducia in voi stessi e..fuori le palle..credo che negli anni non sia cambiato come atteggiamento..quel giorno è stato veramente piacevole perchè ho potuto incontrare un monumento della Rugby Rovigo ed è stato ugualmente bell o anche se abbiamo perso..
forse non centro molto in questo thread storico,visto che ho solo quasi 20 anni,però mi sono sentito di dire la mia!!ho fatto bene?!
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se posso inoltre permettermi di chiedere un altro favore a L3gs lo faccio volentieri..quando hai tempo e soprattutto voglia,riusciresti a dirmi qualcosa del mio ormai ex allenatore Flaviano Brizzante,il mitico Briz?!ne ho sentite di cotte e di crude su di lui,tutti eventi appassionanti,ma vorrei saperne ancora di più!grazi
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Lo farò volentieri prestissimo, caro Teodorino. Giocavo nella Monti durante le annate delle 4 finali; so che può essere difficile da credere, ma gente come Brizz, Schinca, Naas, il Rava, Bordon per noi erano degli idoli.teodoro ha scritto:se posso inoltre permettermi di chiedere un altro favore a L3gs lo faccio volentieri..quando hai tempo e soprattutto voglia,riusciresti a dirmi qualcosa del mio ormai ex allenatore Flaviano Brizzante,il mitico Briz?!ne ho sentite di cotte e di crude su di lui,tutti eventi appassionanti,ma vorrei saperne ancora di più!grazi
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ah immagino..il Briz è un idolo anche x me!!L3gs ha scritto:Lo farò volentieri prestissimo, caro Teodorino. Giocavo nella Monti durante le annate delle 4 finali; so che può essere difficile da credere, ma gente come Brizz, Schinca, Naas, il Rava, Bordon per noi erano degli idoli.teodoro ha scritto:se posso inoltre permettermi di chiedere un altro favore a L3gs lo faccio volentieri..quando hai tempo e soprattutto voglia,riusciresti a dirmi qualcosa del mio ormai ex allenatore Flaviano Brizzante,il mitico Briz?!ne ho sentite di cotte e di crude su di lui,tutti eventi appassionanti,ma vorrei saperne ancora di più!grazi
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Vecchio Grun, cosa vi posso raccontare di questi rugbisti genovesi come Salsi o Franzone o Selvaggio? Che sono tutti vecchie pellacce, che tutti, più o meno, hanno intrapreso la strada dell'allenatore, credo soprattutto per poter restare ancora in campo con una palla in mano e farsi beffe del tempo che passa. Di Lorenzo Massa ti posso dire che è stato un grande pilone, con un grande padre a cui tutti coloro che hanno giocato nel Cus Genova vogliono un gran bene. E Lorenzo fa il dirigente. Ai miei tempi lo era della giovanile, e io non ho mai capito perché uno così bravo, e preparato e importante per lo spogliatoio non fosse con la prima squadra, che era abbandonata a se stessa. Ma forse, vedendo adesso quanti suoi ragazzi sono (per forza o meno) in prima squadra, è stato bene così. Piuttosto, Grun, levami una curiosità che ora come ora non riesco a soddisfare da solo: quanti del Cus Genova erano in quegli anni in nazionale? Credo fosse un gruppo piuttosto compatto, o no?
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Caro Sanscrito, tu vinci il mio pudore e mi costringi a parlare del rugby genovese. Anche se adesso è difficile crederlo, Genova è stata una delle città "storiche" per lo sviluppo del nostro sport in Italia. La prima palla ovale venne da noi fatta viaggiare in questa città da ragazzi della folta comunità inglese che alla fine dell'ottocento animava la vita sportiva di Genova. Allo stadio carlini
Caro Sanscrito, tu vinci il mio pudore a parlare del rugby genovese porgendomi un bell'assist. Anche se è oggi difficile da credere, Genova è stata una delle città "storiche" per la diffusione e lo sviluppo del rugby in questo paese. I primi passaggi con un pallone ovale eseguiti in Italia videro protagonisti i signori inglesi che, numerosi, animavano alla fine dell'ottocento la vita sportiva della città. Allo stadio della Nafta, ora Carlini, si tenne il 12 maggio del 1929 il primo raduno della nazionale, che si preparava ad affrontare otto giorni dopo a Barcellona la Spagna, contro la quale poi perse per 9-0. L'attività rugbistica cittadina si svolse per anni sotto l'egida del locale Guf, e la squadra diede alla nazionale in quel periodo giocatori come Aloisio e Carraro, che portava uno strepitoso nome di battesimo, Torriglio. Poi altalene tra serie A e B con un buon periodo tra il 1957 ed il 1961, per quello che nel frattempo era diventato Cus Genova. Ritorno in Eccellenza nel 1963 sotto l'egida Italsider, retrocessione nel 1965 e finalmente il riapprodo in serie A, con grandi e giustificate ambizioni, nel 1970. Fu secondo posto dietro al Petrarca, che per altri due anni consecutivi s'impose davanti ai genovesi, che nel nel 1971/72 arrivarono dietro di tre punti e nella stagione successiva persero lo scudetto per un solo punto, con una sconfitta per 18-8 al tre Pini di Padova alla penultima giornata il cui ricordo brucia ancora, qui, nella Superba. Nel 1973/74 la squadra fu ancora capace di giungere quarta, prima che una diaspora facesse andare a Brescia i migliori giocatori ponendo fine, con la retrocessione nel campionato successivo, all'epoca d'oro del Cus Genova. Furono in quel periodo molti i cussini, che in campionato sfoggiavano i colori biancorossi, ad avere la soddisfazione di vestire la casacca della nazionale. senza dimenticare Paolo Pescetto, 3 caps tra il 1956 ed il 1957, sono da ricordare Umberto Conforto, 17 caps tra il 1965 ed il 1973, Edano Cottafava, 1 cap nel 1973, Aldo Caluzzi, 11 caps tra il 1970 ed il 1974, Mario Galletto, tre caps nel 1972, Agostino Puppo, tre quarti capace di assommare 20 presenze tra il 1972 ed il 1977, Pietro Vezzani, 10 caps tra il 1973 ed il 1976, senza dimenticare, oltre a Selvaggio e Salsi, Marco Bollesan, 47 caps, dei quali 37 da capitano, tra il 1963 ed il 1975. Altri importanti giocatori, non genovesi di nascita o di formazione rugbistica, totalizzarono presenze in nazionale mentre erano tesserati per il Cus Genova. Tra questi Luciano Modonesi, 17 caps tra il 1966 ed il 1975, Paolo Paoletti, 20 caps tra il 1972 ed il 1976, ed Ettore "Cubo" Abbiati, bresciano che mise insieme 11 gettoni tra il 1968 ed il 1974. Altri genovesi capaci di vestire la maglia azzurra furono poi Fabrizio Sintich, 6 presenze tra il 1980 ed il 1983 e Marco Rivaro, grande amico di Sanscrito, che giocò quattro volte in azzurro tra il 2000 ed il 2001. Lo stadio che vedeva protagonisti questi giocatori era il Carlini, che meriterebbe un lungo racconto, ma questa è un'altra faccenda...
Caro Sanscrito, tu vinci il mio pudore a parlare del rugby genovese porgendomi un bell'assist. Anche se è oggi difficile da credere, Genova è stata una delle città "storiche" per la diffusione e lo sviluppo del rugby in questo paese. I primi passaggi con un pallone ovale eseguiti in Italia videro protagonisti i signori inglesi che, numerosi, animavano alla fine dell'ottocento la vita sportiva della città. Allo stadio della Nafta, ora Carlini, si tenne il 12 maggio del 1929 il primo raduno della nazionale, che si preparava ad affrontare otto giorni dopo a Barcellona la Spagna, contro la quale poi perse per 9-0. L'attività rugbistica cittadina si svolse per anni sotto l'egida del locale Guf, e la squadra diede alla nazionale in quel periodo giocatori come Aloisio e Carraro, che portava uno strepitoso nome di battesimo, Torriglio. Poi altalene tra serie A e B con un buon periodo tra il 1957 ed il 1961, per quello che nel frattempo era diventato Cus Genova. Ritorno in Eccellenza nel 1963 sotto l'egida Italsider, retrocessione nel 1965 e finalmente il riapprodo in serie A, con grandi e giustificate ambizioni, nel 1970. Fu secondo posto dietro al Petrarca, che per altri due anni consecutivi s'impose davanti ai genovesi, che nel nel 1971/72 arrivarono dietro di tre punti e nella stagione successiva persero lo scudetto per un solo punto, con una sconfitta per 18-8 al tre Pini di Padova alla penultima giornata il cui ricordo brucia ancora, qui, nella Superba. Nel 1973/74 la squadra fu ancora capace di giungere quarta, prima che una diaspora facesse andare a Brescia i migliori giocatori ponendo fine, con la retrocessione nel campionato successivo, all'epoca d'oro del Cus Genova. Furono in quel periodo molti i cussini, che in campionato sfoggiavano i colori biancorossi, ad avere la soddisfazione di vestire la casacca della nazionale. senza dimenticare Paolo Pescetto, 3 caps tra il 1956 ed il 1957, sono da ricordare Umberto Conforto, 17 caps tra il 1965 ed il 1973, Edano Cottafava, 1 cap nel 1973, Aldo Caluzzi, 11 caps tra il 1970 ed il 1974, Mario Galletto, tre caps nel 1972, Agostino Puppo, tre quarti capace di assommare 20 presenze tra il 1972 ed il 1977, Pietro Vezzani, 10 caps tra il 1973 ed il 1976, senza dimenticare, oltre a Selvaggio e Salsi, Marco Bollesan, 47 caps, dei quali 37 da capitano, tra il 1963 ed il 1975. Altri importanti giocatori, non genovesi di nascita o di formazione rugbistica, totalizzarono presenze in nazionale mentre erano tesserati per il Cus Genova. Tra questi Luciano Modonesi, 17 caps tra il 1966 ed il 1975, Paolo Paoletti, 20 caps tra il 1972 ed il 1976, ed Ettore "Cubo" Abbiati, bresciano che mise insieme 11 gettoni tra il 1968 ed il 1974. Altri genovesi capaci di vestire la maglia azzurra furono poi Fabrizio Sintich, 6 presenze tra il 1980 ed il 1983 e Marco Rivaro, grande amico di Sanscrito, che giocò quattro volte in azzurro tra il 2000 ed il 2001. Lo stadio che vedeva protagonisti questi giocatori era il Carlini, che meriterebbe un lungo racconto, ma questa è un'altra faccenda...