Il rugby mi ha tolto dalla strada
Inviato: 25 mag 2009, 9:45
In un'intervista ad un gionalino locale Franco Bargelli si racconta:
L'unico giocatore ad aver indossato la maglia della Nazionale A giocando con il Rugby Frascati.
Nel percorrere insieme a Franco Bargelli le tappe della sua gloriosa carriera, non posso tacere l'emozione di prendere il testimone dalle mani di Lello Pagnozzi che nel 1978 fu il primo ad intervistare l'atleta tuscolano.
Franco Bargelli, sinonimo di grinta e tenacia, ha un primato dalla sua parte: è stato l'unico giocatore frascatano ad essere convocato in Nazionale A mentre giocava con il rugby Frascati.
Ma passiamogli la parola:
Quando hai iniziato a muovere i primi passi nel mondo del rugby?
Iniziai relativamente tardi, anche se allora era la prassi. Mio fratello Ersilio già praticava questo sport, poi nelle scuole serali ebbi modo di conoscere Guido Porzio (che giocava nel Frascati) e fui letteralmente trascinato fuori dal mondo della strada.
Avevo delle frequentazioni difficili, molti dei miei amici furono arrestati ed altri morirono a causa della droga.
Io ebbi la fortuna di conoscere il rugby, avevo 15 anni, ed iniziai questa esperienza con tanti amici tra i quali Camilli, Gori, Martini e....tanti altri.
Quando hai iniziato ad avere la percezione di essere veramente tagliato per questo sport?
Più che la percezione c'era l'ambizione di emergere, io ce la mettevo tutta, ma ero limitato dalla mia altezza.....comunque decisi di seguire il vecchio detto "dove non ci arrivi ci tiri il cappello". Non immaginavo di poter avere una vita sportiva a così alti livelli, anche se ogni allenatore che ho avuto ha creduto sempre in me da Materazzetti a Paladini, tutti riconoscevano in me un carattere difficile ma grandi dalle qualità.
Quale allenatore è stato fondamentale per la tua formazione?
Pierre Villepreux mi ha insegnato molto, anche Paolo Paladini ha avuto il pregio di sapermi gestire per costruire un programma con una squadra che aveva poche doti fisiche ma in grado di battersi contro tutte le altre squadre di serie A. Comunque è stato il campo il miglior maestro.
Quale è l'emozione che si prova nell'essere considerato tra i migliori flanker del mondo?
La cosa che mi ha dato più soddisfazione è stata la pacca sulle spalle di gente sconosciuta che ha avuto la spontaneità di apprezzare le mie capacità e la mia voglia di combattere.
Nel 1979 debutti con la Nazionale di Pierre Villepreux, l'Italia gioca contro l'Inghilterra U. 21 a Brescia, Disputerai 14 incontri con la maglia azzurra ritirandoti nel 1981 dopo un incontro fuori casa contro la Romania, quali ricordi conservi di questa esperienza?
Molta gente che non vedo da anni ma che tuttavia sento vicina, questa è la sensazione principale.
Ogni tanto alzo la cornetta mi metto in contatto con vecchi compagni di allora e tutto sembra restato a quei tempi; entrare in Nazionale non è stato semplice per me, per un paio di stagioni sono stato il giocatore più squalificato d’Italia, avevo un carattere difficile ed era complesso tenermi in squadra.
Quando arrivai in Nazionale più di qualcuno manifestò il proprio dissenso, ricordo bene gli occhi che diventarono lucidi del nostro capitano Nello Francescano che mi difese dicendo: “Franco gioca in Nazionale perché a due metri dalla linea di meta si è girato e mi ha passato la palla” lui segnò la sua seconda meta agli ALL BLACKS, si trattava della partita Italia – New Zeland il 28 Novembre 1979 giocata a Rovigo (per la cronaca terminata 18 a 12 per i tuttineri).
Qualche anno fa hai donato alla società la maglia di Graham Mourie, storico capitano degli All Blacks…ci puoi raccontare come l’hai ricevuta?
Alla fine della partita giocata a Rovigo si avvicinò il capitano dei neozelandesi Graham Mourie e mi disse qualcosa in lingua inglese, io capii grazie a suoi gesti che voleva fare lo scambio di maglie, per me fu un immenso onore.
Certo non capita tutti i giorni che arrivi il capitano degli All Blacks a complimentarsi con un giocatore italiano. Nel 1980 hai fatto un tour nel Pacifico, il più lungo che la Nazionale abbia mai fatto, ci puoi raccontare qualcosa al riguardo?
Il tour durò 40 giorni, la prima partita la disputammo contro i Grizzlies, una squadra americana di Long Beach (California). Nella seconda partita contro le Fiji, giocata nella capitale Suva, ebbi un grave infortunio al ginocchio che compromise il resto del tour. Tuttavia contro ogni parere medico decisi di giocare l’ultima partita a Papete contro Tahiti, una delle poche vinte. Il ricordo più bello lo ebbi quando arrivammo a Taranaki. C’era la squadra che si allenava ed un giocatore indossava la maglia azzurra…era la mia quello che la indossava era Graham Mourie. Una maglia azzurra sui campi della Nuova Zelanda, l’emozione è ancora molta.
Dopo tanti ricordi rincorsi per terre lontane, se ripensi alla tua esperienza frascatana come la vorresti descrivere?
Per il Frascati ho dato tutto, per indossare la maglia giallo-amaranto della mia città ho rinunciato a giocare in grandi club che mi potevano dare una sicurezza economica, soltanto l’anno della retrocessione in B decisi di andare a Reggio Calabria. Questa società aveva fatto molta pressione perché io ed altri giocatori del Frascati andassimo a giocare per la loro società. Accettai, ma dopo due anni fui di nuovo a Frascati, ancora una volta in massima serie.
Alla fine decisi di ritirarmi, il ginocchio dava problemi, ci fu la prematura scomparsa di mio padre ed avevo conosciuto una ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie. In seguito al ritiro c’è stato anche un rigetto mentale per questo sport e per questa società ai quali avevo dato molto ma che da loro, in cambio, non ho avuto molto…, magari un appartamento in affitto per potermi sposare mentre nel frattempo a giocatori di medio livello, ma con cognome straniero, veniva dato non solo l’appartamento gratis ma anche rimborsi spese. Rimasi un po’ deluso.
Ti senti quindi di criticare questa società?
No, nel bene e nel male è una fortuna che ci sia qualcuno che si impegni a portare avanti un sogno che è stato anche il mio.
Che pensiero ti senti di rivolgere ai ragazzi che si sono avvicinati a questa attività sportiva?
Semplicemente di crederci fino alla fine.
Grazie Franco per la tua disponibilità, ti conosco da tanti anni, abbiamo condiviso una stessa passione, ma sentirti raccontare queste storie è sempre emozionante. Mi auguro solo che la mia penna sia in grado di restituire ai lettori la stessa emozione che oggi mi hai regalato.
Claudio Cerroni da “L’ovale e non solo…” n° 5 10 Maggio 2009
L'unico giocatore ad aver indossato la maglia della Nazionale A giocando con il Rugby Frascati.
Nel percorrere insieme a Franco Bargelli le tappe della sua gloriosa carriera, non posso tacere l'emozione di prendere il testimone dalle mani di Lello Pagnozzi che nel 1978 fu il primo ad intervistare l'atleta tuscolano.
Franco Bargelli, sinonimo di grinta e tenacia, ha un primato dalla sua parte: è stato l'unico giocatore frascatano ad essere convocato in Nazionale A mentre giocava con il rugby Frascati.
Ma passiamogli la parola:
Quando hai iniziato a muovere i primi passi nel mondo del rugby?
Iniziai relativamente tardi, anche se allora era la prassi. Mio fratello Ersilio già praticava questo sport, poi nelle scuole serali ebbi modo di conoscere Guido Porzio (che giocava nel Frascati) e fui letteralmente trascinato fuori dal mondo della strada.
Avevo delle frequentazioni difficili, molti dei miei amici furono arrestati ed altri morirono a causa della droga.
Io ebbi la fortuna di conoscere il rugby, avevo 15 anni, ed iniziai questa esperienza con tanti amici tra i quali Camilli, Gori, Martini e....tanti altri.
Quando hai iniziato ad avere la percezione di essere veramente tagliato per questo sport?
Più che la percezione c'era l'ambizione di emergere, io ce la mettevo tutta, ma ero limitato dalla mia altezza.....comunque decisi di seguire il vecchio detto "dove non ci arrivi ci tiri il cappello". Non immaginavo di poter avere una vita sportiva a così alti livelli, anche se ogni allenatore che ho avuto ha creduto sempre in me da Materazzetti a Paladini, tutti riconoscevano in me un carattere difficile ma grandi dalle qualità.
Quale allenatore è stato fondamentale per la tua formazione?
Pierre Villepreux mi ha insegnato molto, anche Paolo Paladini ha avuto il pregio di sapermi gestire per costruire un programma con una squadra che aveva poche doti fisiche ma in grado di battersi contro tutte le altre squadre di serie A. Comunque è stato il campo il miglior maestro.
Quale è l'emozione che si prova nell'essere considerato tra i migliori flanker del mondo?
La cosa che mi ha dato più soddisfazione è stata la pacca sulle spalle di gente sconosciuta che ha avuto la spontaneità di apprezzare le mie capacità e la mia voglia di combattere.
Nel 1979 debutti con la Nazionale di Pierre Villepreux, l'Italia gioca contro l'Inghilterra U. 21 a Brescia, Disputerai 14 incontri con la maglia azzurra ritirandoti nel 1981 dopo un incontro fuori casa contro la Romania, quali ricordi conservi di questa esperienza?
Molta gente che non vedo da anni ma che tuttavia sento vicina, questa è la sensazione principale.
Ogni tanto alzo la cornetta mi metto in contatto con vecchi compagni di allora e tutto sembra restato a quei tempi; entrare in Nazionale non è stato semplice per me, per un paio di stagioni sono stato il giocatore più squalificato d’Italia, avevo un carattere difficile ed era complesso tenermi in squadra.
Quando arrivai in Nazionale più di qualcuno manifestò il proprio dissenso, ricordo bene gli occhi che diventarono lucidi del nostro capitano Nello Francescano che mi difese dicendo: “Franco gioca in Nazionale perché a due metri dalla linea di meta si è girato e mi ha passato la palla” lui segnò la sua seconda meta agli ALL BLACKS, si trattava della partita Italia – New Zeland il 28 Novembre 1979 giocata a Rovigo (per la cronaca terminata 18 a 12 per i tuttineri).
Qualche anno fa hai donato alla società la maglia di Graham Mourie, storico capitano degli All Blacks…ci puoi raccontare come l’hai ricevuta?
Alla fine della partita giocata a Rovigo si avvicinò il capitano dei neozelandesi Graham Mourie e mi disse qualcosa in lingua inglese, io capii grazie a suoi gesti che voleva fare lo scambio di maglie, per me fu un immenso onore.
Certo non capita tutti i giorni che arrivi il capitano degli All Blacks a complimentarsi con un giocatore italiano. Nel 1980 hai fatto un tour nel Pacifico, il più lungo che la Nazionale abbia mai fatto, ci puoi raccontare qualcosa al riguardo?
Il tour durò 40 giorni, la prima partita la disputammo contro i Grizzlies, una squadra americana di Long Beach (California). Nella seconda partita contro le Fiji, giocata nella capitale Suva, ebbi un grave infortunio al ginocchio che compromise il resto del tour. Tuttavia contro ogni parere medico decisi di giocare l’ultima partita a Papete contro Tahiti, una delle poche vinte. Il ricordo più bello lo ebbi quando arrivammo a Taranaki. C’era la squadra che si allenava ed un giocatore indossava la maglia azzurra…era la mia quello che la indossava era Graham Mourie. Una maglia azzurra sui campi della Nuova Zelanda, l’emozione è ancora molta.
Dopo tanti ricordi rincorsi per terre lontane, se ripensi alla tua esperienza frascatana come la vorresti descrivere?
Per il Frascati ho dato tutto, per indossare la maglia giallo-amaranto della mia città ho rinunciato a giocare in grandi club che mi potevano dare una sicurezza economica, soltanto l’anno della retrocessione in B decisi di andare a Reggio Calabria. Questa società aveva fatto molta pressione perché io ed altri giocatori del Frascati andassimo a giocare per la loro società. Accettai, ma dopo due anni fui di nuovo a Frascati, ancora una volta in massima serie.
Alla fine decisi di ritirarmi, il ginocchio dava problemi, ci fu la prematura scomparsa di mio padre ed avevo conosciuto una ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie. In seguito al ritiro c’è stato anche un rigetto mentale per questo sport e per questa società ai quali avevo dato molto ma che da loro, in cambio, non ho avuto molto…, magari un appartamento in affitto per potermi sposare mentre nel frattempo a giocatori di medio livello, ma con cognome straniero, veniva dato non solo l’appartamento gratis ma anche rimborsi spese. Rimasi un po’ deluso.
Ti senti quindi di criticare questa società?
No, nel bene e nel male è una fortuna che ci sia qualcuno che si impegni a portare avanti un sogno che è stato anche il mio.
Che pensiero ti senti di rivolgere ai ragazzi che si sono avvicinati a questa attività sportiva?
Semplicemente di crederci fino alla fine.
Grazie Franco per la tua disponibilità, ti conosco da tanti anni, abbiamo condiviso una stessa passione, ma sentirti raccontare queste storie è sempre emozionante. Mi auguro solo che la mia penna sia in grado di restituire ai lettori la stessa emozione che oggi mi hai regalato.
Claudio Cerroni da “L’ovale e non solo…” n° 5 10 Maggio 2009