22 marzo 1997
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22 marzo 1997
Chi si ricorda cosa successe???
Grenoble la Francia si arrese all'Italia per 32 - 40.
Possibile che in tutta la rete non si trovi una foto, un filmato e neppure la formazione italiana che batte il 15 francese?
Grenoble la Francia si arrese all'Italia per 32 - 40.
Possibile che in tutta la rete non si trovi una foto, un filmato e neppure la formazione italiana che batte il 15 francese?
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RE: 22 marzo 1997
LA META CHE PORTO IL RUGBY IN PARADISO
Grenoble, 22 marzo ’97: l’Italia affronta la Francia. Loro hanno vinto tutto, noi niente. La partita è perfettamente in bilico quando su una palla persa gli azzurri danno il via all’azione più bella, intensa e decisiva della storia della Nazionale. Che quel giorno chiude l’era del dilettantismo, conquista il grande pubblico e trasforma uno sport minore in un fenomeno di massa.
di CORRADO SANNUCCI, Repubblica 10.04.2005.
Questa è la storia delle meta più bella del rugby italiano. Forse ce ne sono state di più belle ma questa è stata anche la più importante perché è quella che ha strappato il rugby italiano dalle parrocchie per consegnarlo alla Bbc. La meta segnata dopo che il pallone era passato per tutte le mani dei giocatori che avevano un sogno: portare l’Italia nel Cinque Nazioni e farlo diventare Sei. Il sogno impossibile di generazioni di giocatori e di spettatori, i quali poi nella storia d’Italia praticamente erano la stessa gente, padri, figli, nipoti, di Rovigo, Padova, Treviso. «Eravamo un gruppo di ragazzi che veniva dal nulla, che aveva il senso delle proprie origini e un obiettivo davanti» racconta Massimo Giovanelli, il capitano di quella squadra, il numero 8. A chi somiglia uno così? A uno Spartaco, un Gattuso o un Braveheart, o un Rivera o Giulio Cesare, tutti insieme, uno di loro a seconda delle battaglie del campo. Ma è il leader e il trascinatore.
È il 22 marzo 1997.Tutto inizia proprio con Giovanelli che si ritrova in mano un pallone da una touche sbagliata. È il 16’ della ripresa, la partita è Francia-Italia, lo stadio è quello di Grenoble, finale di Coppa Europa.
Lo stadio è pieno di italiani, c’è il sole e una lunga fila di pioppi sullo sfondo. La Francia ha appena vinto il Cinque Nazioni facendo anche il Grande Slam. Schiera i suoi maestri, Sadourny, Saint-André, Merle, Pelous, ma certo i festeggiamenti avranno pesato. Andiamo a vedere se hanno ancora le bollicine dello champagne nel sangue, si erano detti gli azzurri.
L’Italia non ha mai battuto la Francia. L’Irlanda sì, ma la Francia non ancora.
Le grandi del Cinque Nazioni la guardano ancora dall’alto in basso. Ma Giovanelli prima del match ha fatto un discorso da far arrampicare sui muri per l’elettricità.
«Ricordatevi delle fatiche degli emigranti. La loro fatica a farsi rispettare. Voi rappresentate questa gente. Avete la responsabilità di questa maglia».
Alla vigilia la squadra era stata nei bar di Grenoble, lì aveva incontrato gli emigranti. In campo si presentarono quindici pazzi scatenati. Giovanelli è sorpreso per il pallone conquistato, i compagni ancora di più e non gli danno supporto, la palla viene strappata dai francesi e ricacciata con un calcio profondo verso l’area dei 22 azzurra. La partita finora è in perfetta parità, 20-20, l’aggressività azzurra ha messo in seria difficoltà i francesi e le loro bollicine. È una partita che attende la sua svolta. «Si sentiva nell’aria che qualcosa sarebbe successo», dice Giovanelli. La vigilia è stata piena di tensione e combattività.
Dalla Panda alla Jaguar.
Il primo giorno del ritiro, vicino al confine francese, Franco Properzi era arrivato in ritardo inscatolato nella sua Panda. Era uno sgarro alle regole, Giovanelli, nel suo ruolo di capitano, lo aveva affrontato, erano volate parole grosse, Franco era incavolato perché si era perso, ci voleva del fegato a mettere a posto quel gigantesco pilone. Poi, dopo avere recitato ognuno la propria parte, si erano calmati e avevano chiarito. Non lo sapevano ma stava per finire l’era delle Panda e cominciava quella delle Jaguar, stavano per lasciare le osterie venete dove si parlava di rugby davanti a un’ombra, il bicchiere di vino bianco, per mettersi il frac ed essere invitati ai party degli anglosassoni. Finiva il dilettantismo, cominciava il professionismo, finiva la passione che non chiede niente, cominciava il lavoro che chiede un salario.
La palla adesso è nelle mani di Vaccari, nel fondo della difesa italiana. S’impappina, gli cade, rischia di perderla, tre francesi gli sono addosso, li evita sfiorando la linea laterale. È il segno della magia in arrivo. Dalla destra il pallone scorre via verso sinistra e lì c’è la seconda scintilla, quando finisce tra le mani di Javier Pertile, l’estremo italo-argentino. Lo chiamano il Gatto, ha il passo che sembra leggero ma un tempo d’entrata devastante.
Crea un buco, fa una finta, poi viene stoppato, libera la palla. Adesso ce l’ha Troncon che la allarga a Diego Dominguez che la allarga ancora a Vaccari. Diego è di Cordoba, porterà per mano l’Italia nel decennio con i suoi calci e la sua saggezza tattica, ringraziando l’Italia per la fiducia in lui che non avevano avuto i suoi connazionali. L’Italia del Duemila, in compenso, quella della pancia piena e dei soldi dei diritti tv, gli userà anche qualche sgarbo, fino a escluderlo di fatto dalla nazionale.
Sugli spalti sventolano le bandiere italiane. È uno strano innesto questo del rugby nel carattere italiano: perché è sport di combattimento, che non ammette sotterfugi, che obbliga alla lealtà, dove non c’è spazio per alibi o bugie. È uno sport dove non puoi sottrarti ai tuoi impegni, perché la mollezza porterebbe a ferite maggiori. Bisogna lottare anche solo per non essere distrutti. È una setta che ha lavorato per cinquant’anni per crescerlo, farlo conoscere, coltivarselo come una religione segreta, e adesso sta venendo il momento della rivelazione.
Adesso la palla è a metà campo, di nuovo nelle mani di Vaccari. «In quei contro ogni nazionale al mondo. Duttile, capace di partire a testa bassa come un pilone, o di fare la terza linea al momento del bisogno», ricorda il vecchio capitano. Vaccari vede un corridoio, ci si infila, lo allarga, prende venti metri, e improvvisamente i francesi sono aperti, senza più difesa, in uno stato di allarme rosso. Lo vanno a placcare ma ormai la linea è frantumata e lui fa in tempo a dare a Marcello Cuttitta, l’ala, che la tocca solo un istante per poi consegnarla a Troncon che adesso può puntare verso la meta, in una Francia ormai
dissolta. In questa squadra che aveva una costola nata dalla provincia, Vaccari da Calvisano, Giovanelli da Noceto, Francescato dalla Tarvisium, i fratelli Cuttitta, Marcello e il pilone Massimo, ci hanno messo la loro infanzia sudafricana, un innesto di rugby d’élite, con una cultura di lavoro profonda. E gli stranieri erano solo tre, Diego, Pertile e Gardner, autore di una meta di forza nel primo tempo. Divertente pensare che la concione sugli emigranti abbia per primo eccitato un italo-australiano.
Già, questa è la meta più bella della storia del rugby italiano e non la segnerà Ivan Francescato, un altro dei geni di questa squadra. «Lo chiamavamo il Giullare per la sua totale mancanza di rispetto nelle situazioni di gioco: oppure l’Animale per la sua capacità di sentire, odorare, quando l’avversario lo sottovalutava».
Francescato era in campo all’inizio e aveva dato il via all’impresa azzurra segnando dopo pochi minuti una meta delle sue, una partenza imprevedibile e una corsa a coltello nella difesa avversaria. Si fa male toccando in meta indicando di avere subito un contraccolpo alla coscia sinistra. Uscirà dal campo piangendo intorno alla metà del primo tempo, ed è il ricordo più struggente di quella partita, perché Francescato sarebbe morto per un arresto cardiaco appena un anno e mezzo dopo, a gennaio ‘99. Ma, al di là di questo, allora nessuno se ne rese conto, usciva dal campo anche il rugby delle stirpi dei giocatori. Non ci saranno più in nazionale quattro Francescato, come Bruno, Nello, Ivan e Rino, né loro né nessun’altra famiglia.
Gli ultimi venti metri Adesso c’è da finire la meraviglia, Troncon è in fuga in quel pomeriggio di otto anni fa, i pali sono a una ventina di metri davanti a lui. Ma pensa di non farcela e allora si guarda intorno.
Incredibilmente c’è ancora un compagno pronto a dargli sostegno, e forse il più inatteso, Giambattista Croci, il lungo numero 4, che avanza con il suo passo da cammello. Chissà quale ispirazione ha seguito per venire a questo appuntamento, finora aveva dominato nella touche, con la sua aria tranquilla, la sua benda bianca intorno alla fronte e le tre magliette che si è messo come glielo avesse raccomandato la mamma in una giornata fredda. È passata una vita da quando l’azione è partita, laggiù nella propria difesa, e la vita sarà diversa adesso che si fa meta. Croci prende il pallone e corre a schiacciarlo a terra, e il suo è quasi un timbrare il modulo d’ammissione al Sei Nazioni. È stata una meta dalla «fine del mondo» come si dice di quelle partite dal fondo della propria difesa, e l’Italia è capace di queste meraviglie.
Croci torna lentamente verso la metà campo, senza esultare, i rugbisti non festeggiano sguaiatamente. «Ma io ero un po’ stanco», racconterà dopo. L’Italia vincerà 40-32, e al fischio finale c’è un’invasione di campo, il ct Coste piangerà come un bambino, un francese che ha battuto la Francia, un francese che ha portato l’Italia tra i grandi del rugby. La partita perfetta è stata giocata, la meta più bella di sempre segnata. Sono passati solo otto anni e quel mondo è così lontano. Tre anni dopo, nel 2000, l’Italia faceva l’esordio nel Sei Nazioni a Roma contro la Scozia. In realtà è già cambiato tutto dal giorno di Grenoble, il ct è un ex pilone sudafricano, c’è lo stupore di tutti per i nuovi riti, gli sponsor, la nuova dimensione dello show planetario alla quale è ammessa l’Italia. Giovanelli non è più il capitano ma viene invitato a tenere il discorso prima della gara.
«C’è gente che ha pianto per vedere l’ingresso dell’Italia nel Sei Nazioni e noi non abbiamo il diritto di buttare via la partita». I compagni assentono. «E poi ricordatevi di Ivan Francescato». I compagni sussultano.
L’Italia vinse, con le energie e la passione che erano di tre anni prima. Massimo Giovanelli giocò la sua ultima partita, in uno scontro di gioco si procurò un distacco della retina, le partite più felici dell’Italia sono state marcate dai segnali di qualcosa che si chiudeva. Il rugby intanto cresce, muta, in maniera rapidissima. Lo stadio canta l’inno di Mameli, c’è un modo di vivere la partita che ha fatto scuola. Le birrerie intorno al Flaminio si arricchiscono con i tifosi anglosassoni e francesi, a modo suo il Sei Nazioni è una festa europea, di guerrieri solidali. Sono arrivati tanti soldi, forse troppi. I giocatori di Grenoble vincendo la partita hanno ucciso il proprio mondo. «Mettimi dove ti pare ma mettimi la maglia azzurra addosso, questa era la mia filosofia», dice Giovanelli. Giambattista Croci è fuori dal rugby e lavora in banca.
http://www.marcopolorugby.com/pagine_st ... atiche=142
Grenoble, 22 marzo ’97: l’Italia affronta la Francia. Loro hanno vinto tutto, noi niente. La partita è perfettamente in bilico quando su una palla persa gli azzurri danno il via all’azione più bella, intensa e decisiva della storia della Nazionale. Che quel giorno chiude l’era del dilettantismo, conquista il grande pubblico e trasforma uno sport minore in un fenomeno di massa.
di CORRADO SANNUCCI, Repubblica 10.04.2005.
Questa è la storia delle meta più bella del rugby italiano. Forse ce ne sono state di più belle ma questa è stata anche la più importante perché è quella che ha strappato il rugby italiano dalle parrocchie per consegnarlo alla Bbc. La meta segnata dopo che il pallone era passato per tutte le mani dei giocatori che avevano un sogno: portare l’Italia nel Cinque Nazioni e farlo diventare Sei. Il sogno impossibile di generazioni di giocatori e di spettatori, i quali poi nella storia d’Italia praticamente erano la stessa gente, padri, figli, nipoti, di Rovigo, Padova, Treviso. «Eravamo un gruppo di ragazzi che veniva dal nulla, che aveva il senso delle proprie origini e un obiettivo davanti» racconta Massimo Giovanelli, il capitano di quella squadra, il numero 8. A chi somiglia uno così? A uno Spartaco, un Gattuso o un Braveheart, o un Rivera o Giulio Cesare, tutti insieme, uno di loro a seconda delle battaglie del campo. Ma è il leader e il trascinatore.
È il 22 marzo 1997.Tutto inizia proprio con Giovanelli che si ritrova in mano un pallone da una touche sbagliata. È il 16’ della ripresa, la partita è Francia-Italia, lo stadio è quello di Grenoble, finale di Coppa Europa.
Lo stadio è pieno di italiani, c’è il sole e una lunga fila di pioppi sullo sfondo. La Francia ha appena vinto il Cinque Nazioni facendo anche il Grande Slam. Schiera i suoi maestri, Sadourny, Saint-André, Merle, Pelous, ma certo i festeggiamenti avranno pesato. Andiamo a vedere se hanno ancora le bollicine dello champagne nel sangue, si erano detti gli azzurri.
L’Italia non ha mai battuto la Francia. L’Irlanda sì, ma la Francia non ancora.
Le grandi del Cinque Nazioni la guardano ancora dall’alto in basso. Ma Giovanelli prima del match ha fatto un discorso da far arrampicare sui muri per l’elettricità.
«Ricordatevi delle fatiche degli emigranti. La loro fatica a farsi rispettare. Voi rappresentate questa gente. Avete la responsabilità di questa maglia».
Alla vigilia la squadra era stata nei bar di Grenoble, lì aveva incontrato gli emigranti. In campo si presentarono quindici pazzi scatenati. Giovanelli è sorpreso per il pallone conquistato, i compagni ancora di più e non gli danno supporto, la palla viene strappata dai francesi e ricacciata con un calcio profondo verso l’area dei 22 azzurra. La partita finora è in perfetta parità, 20-20, l’aggressività azzurra ha messo in seria difficoltà i francesi e le loro bollicine. È una partita che attende la sua svolta. «Si sentiva nell’aria che qualcosa sarebbe successo», dice Giovanelli. La vigilia è stata piena di tensione e combattività.
Dalla Panda alla Jaguar.
Il primo giorno del ritiro, vicino al confine francese, Franco Properzi era arrivato in ritardo inscatolato nella sua Panda. Era uno sgarro alle regole, Giovanelli, nel suo ruolo di capitano, lo aveva affrontato, erano volate parole grosse, Franco era incavolato perché si era perso, ci voleva del fegato a mettere a posto quel gigantesco pilone. Poi, dopo avere recitato ognuno la propria parte, si erano calmati e avevano chiarito. Non lo sapevano ma stava per finire l’era delle Panda e cominciava quella delle Jaguar, stavano per lasciare le osterie venete dove si parlava di rugby davanti a un’ombra, il bicchiere di vino bianco, per mettersi il frac ed essere invitati ai party degli anglosassoni. Finiva il dilettantismo, cominciava il professionismo, finiva la passione che non chiede niente, cominciava il lavoro che chiede un salario.
La palla adesso è nelle mani di Vaccari, nel fondo della difesa italiana. S’impappina, gli cade, rischia di perderla, tre francesi gli sono addosso, li evita sfiorando la linea laterale. È il segno della magia in arrivo. Dalla destra il pallone scorre via verso sinistra e lì c’è la seconda scintilla, quando finisce tra le mani di Javier Pertile, l’estremo italo-argentino. Lo chiamano il Gatto, ha il passo che sembra leggero ma un tempo d’entrata devastante.
Crea un buco, fa una finta, poi viene stoppato, libera la palla. Adesso ce l’ha Troncon che la allarga a Diego Dominguez che la allarga ancora a Vaccari. Diego è di Cordoba, porterà per mano l’Italia nel decennio con i suoi calci e la sua saggezza tattica, ringraziando l’Italia per la fiducia in lui che non avevano avuto i suoi connazionali. L’Italia del Duemila, in compenso, quella della pancia piena e dei soldi dei diritti tv, gli userà anche qualche sgarbo, fino a escluderlo di fatto dalla nazionale.
Sugli spalti sventolano le bandiere italiane. È uno strano innesto questo del rugby nel carattere italiano: perché è sport di combattimento, che non ammette sotterfugi, che obbliga alla lealtà, dove non c’è spazio per alibi o bugie. È uno sport dove non puoi sottrarti ai tuoi impegni, perché la mollezza porterebbe a ferite maggiori. Bisogna lottare anche solo per non essere distrutti. È una setta che ha lavorato per cinquant’anni per crescerlo, farlo conoscere, coltivarselo come una religione segreta, e adesso sta venendo il momento della rivelazione.
Adesso la palla è a metà campo, di nuovo nelle mani di Vaccari. «In quei contro ogni nazionale al mondo. Duttile, capace di partire a testa bassa come un pilone, o di fare la terza linea al momento del bisogno», ricorda il vecchio capitano. Vaccari vede un corridoio, ci si infila, lo allarga, prende venti metri, e improvvisamente i francesi sono aperti, senza più difesa, in uno stato di allarme rosso. Lo vanno a placcare ma ormai la linea è frantumata e lui fa in tempo a dare a Marcello Cuttitta, l’ala, che la tocca solo un istante per poi consegnarla a Troncon che adesso può puntare verso la meta, in una Francia ormai
dissolta. In questa squadra che aveva una costola nata dalla provincia, Vaccari da Calvisano, Giovanelli da Noceto, Francescato dalla Tarvisium, i fratelli Cuttitta, Marcello e il pilone Massimo, ci hanno messo la loro infanzia sudafricana, un innesto di rugby d’élite, con una cultura di lavoro profonda. E gli stranieri erano solo tre, Diego, Pertile e Gardner, autore di una meta di forza nel primo tempo. Divertente pensare che la concione sugli emigranti abbia per primo eccitato un italo-australiano.
Già, questa è la meta più bella della storia del rugby italiano e non la segnerà Ivan Francescato, un altro dei geni di questa squadra. «Lo chiamavamo il Giullare per la sua totale mancanza di rispetto nelle situazioni di gioco: oppure l’Animale per la sua capacità di sentire, odorare, quando l’avversario lo sottovalutava».
Francescato era in campo all’inizio e aveva dato il via all’impresa azzurra segnando dopo pochi minuti una meta delle sue, una partenza imprevedibile e una corsa a coltello nella difesa avversaria. Si fa male toccando in meta indicando di avere subito un contraccolpo alla coscia sinistra. Uscirà dal campo piangendo intorno alla metà del primo tempo, ed è il ricordo più struggente di quella partita, perché Francescato sarebbe morto per un arresto cardiaco appena un anno e mezzo dopo, a gennaio ‘99. Ma, al di là di questo, allora nessuno se ne rese conto, usciva dal campo anche il rugby delle stirpi dei giocatori. Non ci saranno più in nazionale quattro Francescato, come Bruno, Nello, Ivan e Rino, né loro né nessun’altra famiglia.
Gli ultimi venti metri Adesso c’è da finire la meraviglia, Troncon è in fuga in quel pomeriggio di otto anni fa, i pali sono a una ventina di metri davanti a lui. Ma pensa di non farcela e allora si guarda intorno.
Incredibilmente c’è ancora un compagno pronto a dargli sostegno, e forse il più inatteso, Giambattista Croci, il lungo numero 4, che avanza con il suo passo da cammello. Chissà quale ispirazione ha seguito per venire a questo appuntamento, finora aveva dominato nella touche, con la sua aria tranquilla, la sua benda bianca intorno alla fronte e le tre magliette che si è messo come glielo avesse raccomandato la mamma in una giornata fredda. È passata una vita da quando l’azione è partita, laggiù nella propria difesa, e la vita sarà diversa adesso che si fa meta. Croci prende il pallone e corre a schiacciarlo a terra, e il suo è quasi un timbrare il modulo d’ammissione al Sei Nazioni. È stata una meta dalla «fine del mondo» come si dice di quelle partite dal fondo della propria difesa, e l’Italia è capace di queste meraviglie.
Croci torna lentamente verso la metà campo, senza esultare, i rugbisti non festeggiano sguaiatamente. «Ma io ero un po’ stanco», racconterà dopo. L’Italia vincerà 40-32, e al fischio finale c’è un’invasione di campo, il ct Coste piangerà come un bambino, un francese che ha battuto la Francia, un francese che ha portato l’Italia tra i grandi del rugby. La partita perfetta è stata giocata, la meta più bella di sempre segnata. Sono passati solo otto anni e quel mondo è così lontano. Tre anni dopo, nel 2000, l’Italia faceva l’esordio nel Sei Nazioni a Roma contro la Scozia. In realtà è già cambiato tutto dal giorno di Grenoble, il ct è un ex pilone sudafricano, c’è lo stupore di tutti per i nuovi riti, gli sponsor, la nuova dimensione dello show planetario alla quale è ammessa l’Italia. Giovanelli non è più il capitano ma viene invitato a tenere il discorso prima della gara.
«C’è gente che ha pianto per vedere l’ingresso dell’Italia nel Sei Nazioni e noi non abbiamo il diritto di buttare via la partita». I compagni assentono. «E poi ricordatevi di Ivan Francescato». I compagni sussultano.
L’Italia vinse, con le energie e la passione che erano di tre anni prima. Massimo Giovanelli giocò la sua ultima partita, in uno scontro di gioco si procurò un distacco della retina, le partite più felici dell’Italia sono state marcate dai segnali di qualcosa che si chiudeva. Il rugby intanto cresce, muta, in maniera rapidissima. Lo stadio canta l’inno di Mameli, c’è un modo di vivere la partita che ha fatto scuola. Le birrerie intorno al Flaminio si arricchiscono con i tifosi anglosassoni e francesi, a modo suo il Sei Nazioni è una festa europea, di guerrieri solidali. Sono arrivati tanti soldi, forse troppi. I giocatori di Grenoble vincendo la partita hanno ucciso il proprio mondo. «Mettimi dove ti pare ma mettimi la maglia azzurra addosso, questa era la mia filosofia», dice Giovanelli. Giambattista Croci è fuori dal rugby e lavora in banca.
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RE: 22 marzo 1997
Thak sei un mito, ma un filmato o una formazione, possibile che la federazione non abbia memoria di questo avvenimento??
Angelo.
L'ovale ha sempre ragione.
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RE: 22 marzo 1997
La formazione francese l'ho trovata....
Test Match - 1997
Le 22/03/1997 Grenoble (France), France / Italie 32 - 40
Arbitre : M. Mac Hugh (Irlande)
France : 4 essai(s) - 3 transformation(s) - 2 pénalité(s)
Italie : 4 essai(s) - 4 transformation(s) - 4 pénalité(s)
COMPOSITIONS DES EQUIPES
FRANCE : SADOURNY Jean-luc - OUGIER Stéphane , DELAIGUE Yann , BONDOUY Pierre , SAINT ANDRE Philippe - (o) AUCAGNE David - (m) ACCOCEBERRY Guy - COSTES Arnaud , PELOUS Fabien (cap), BENETTON Philippe - MIORIN Hugues , MERLE Olivier - TOURNAIRE Franck , DAL MASO Marc , DE ROUGEMONT Marc
Remplaçant(s) : BETSEN Serge ESSAI COLLECTIF - ) , IBANEZ Raphael ESSAI COLLECTIF - )
Test Match - 1997
Le 22/03/1997 Grenoble (France), France / Italie 32 - 40
Arbitre : M. Mac Hugh (Irlande)
France : 4 essai(s) - 3 transformation(s) - 2 pénalité(s)
Italie : 4 essai(s) - 4 transformation(s) - 4 pénalité(s)
COMPOSITIONS DES EQUIPES
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RE: 22 marzo 1997
Sull'almanacco del rugby edito da Edigrafital di Teramo ci sono tutti i tabellini delle partite azzurre da Spagna-Italia 9-0 (1929) ai giorni nostri, quindi anche quello di Francia-Italia del '97. Se vi interessa posso riportare formazione azzurra e marcatori
PS: lo sapevate che nelgi anni '20-'30 il drop valeva 4 punti e la meta ed i cp solo 3?
PS: lo sapevate che nelgi anni '20-'30 il drop valeva 4 punti e la meta ed i cp solo 3?
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RE: 22 marzo 1997
riporta riporta
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Allordunque:
Grenoble - 22 marzo 1997
FRANCIA - ITALIA 32-40
(finale Coppa Europa)
Francia: ... (l'ha già scritto Gramal)
Italia: Pertile; P.Vaccari, Bordon, I.Francescato (24' Mazzariol), Mar.Cuttitta; Dominguez, Troncon (39'-42' Guidi); Gardner, Giovannelli, Sgorlon; Cristofoletto, Croci; Properzi, Orlandi, Mas.Cuttitta. All.:Coste.
Arbitro: McHugh (Irlanda)
Marcatori: 5' m Francescato tr Dominguez, 14' tecnica Francia tr Aucagne, 17' cp Dominguez, 20' e 24' cp Aucagne, 30' cp Dominguez, 34' m Gardner tr Dominguez, 52' m Bondouy tr Aucagne, 56' m Croci tr Dominguez, 62' e 68' cp Dominguez, 74' m Vaccari tr Dominguez, 79' m sadourny, 82' m Bondouy tr Aucagne
Grenoble - 22 marzo 1997
FRANCIA - ITALIA 32-40
(finale Coppa Europa)
Francia: ... (l'ha già scritto Gramal)
Italia: Pertile; P.Vaccari, Bordon, I.Francescato (24' Mazzariol), Mar.Cuttitta; Dominguez, Troncon (39'-42' Guidi); Gardner, Giovannelli, Sgorlon; Cristofoletto, Croci; Properzi, Orlandi, Mas.Cuttitta. All.:Coste.
Arbitro: McHugh (Irlanda)
Marcatori: 5' m Francescato tr Dominguez, 14' tecnica Francia tr Aucagne, 17' cp Dominguez, 20' e 24' cp Aucagne, 30' cp Dominguez, 34' m Gardner tr Dominguez, 52' m Bondouy tr Aucagne, 56' m Croci tr Dominguez, 62' e 68' cp Dominguez, 74' m Vaccari tr Dominguez, 79' m sadourny, 82' m Bondouy tr Aucagne
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non mi ricordavo che fosse la finale di coppa. Credevo fosse un test match e basta. Ricordo anche che la francia aveva appena vinto da una settimana il grande slam (che se fosse successo a me sarei ancora ubriaco oggi).Ilgorgo ha scritto: Grenoble - 22 marzo 1997
FRANCIA - ITALIA 32-40
(finale Coppa Europa)
che partita, comunque! Studiavo in francia e non avevo il televisore. quando sono entrato in un bar con la maglia azzurra si sono messi a ridere. Poi hanno riso meno. a fine partita non ridevano più.
Sarebbe il caso che le federazioni italiane di qualsiasi disciplina mi pagassero le vacanze in francia: anche il 9 luglio passato ero oltr'alpe . anche li ridevano sempre meno. Poi non hanno riso più
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bravo pedia ricordare un grandissimo come ivan francescato , o come soleva chiamarlo paolo rosi IL GRANDE IVAN
ricordiamo che ai mondiali del 1991 fu insertio dall'equipe nel 15 dei mondiali come mediano di mischia !!!!!!!!!
quando mai succedera' a un altro italiano ?
ho provato un grande dolore per la sua morte !!!!!
lo vidi giocare una delle sue prime partite in nazione come n. 9 a parma contro la spagna e riconobbi nelle sue incredibili finte e nel grande carisma il valore di un numero nove di grande qualita'
mi dispiace che cause di forza maggiore l'abbiano portato a giocare centro , perche' , ne sono assolutamente convinto , sarebbe diventato uno dei piu' forti mediani di mischia del mondo !!!!!!!!!!!!
CIAO IVAN !!!!!!!!!!!!!
ricordiamo che ai mondiali del 1991 fu insertio dall'equipe nel 15 dei mondiali come mediano di mischia !!!!!!!!!
quando mai succedera' a un altro italiano ?
ho provato un grande dolore per la sua morte !!!!!
lo vidi giocare una delle sue prime partite in nazione come n. 9 a parma contro la spagna e riconobbi nelle sue incredibili finte e nel grande carisma il valore di un numero nove di grande qualita'
mi dispiace che cause di forza maggiore l'abbiano portato a giocare centro , perche' , ne sono assolutamente convinto , sarebbe diventato uno dei piu' forti mediani di mischia del mondo !!!!!!!!!!!!
CIAO IVAN !!!!!!!!!!!!!