Un po' di tempo fa avevo scritto in questo forum che era nato un nuovo sito riguardante questo meraviglioso sport.
Noi gestori ci siamo dati un traguardo ambizioso ma stimolante: cercare di raccontare il rugby non solo attraverso le notizie più aggiornate, ma anche attraverso storie, momenti particolari visti con la lente d'ingrandimento. In due parole, storia e storie del rugby.
Vi lascio una storia da leggere, sperando Vi appassioni e Vi faccia venir voglia di dare un'occhiata al nostro sito. Siamo all'inizio, la squadra è giovane, e crediamo in una parola a noi molto cara: SOSTEGNO.
A voi: Il duello. Buona lettura!
PS: vi lascio i link che portano al sito (questo racconto lo trovate nella sezione "Storie") e alla pagina Facebook. Se avete qualche critica da fare scrivete pure!

www.rugbystories.it
https://www.facebook.com/#!/pages/Rugby ... 7183144364
Il duello. La sfida del calciatore ai pali della porta, una vecchia storia.
Come ho detto altre volte, il mio non è stato un passato “militante” nel rugby. Cioè, io non ci ho mai giocato, mi ci sono avvicinato solo dopo aver visto qualche partita. Io ho un passato di calciatore, niente di che s’intende, ma mi piaceva troppo, da giocatore delle giovanili di una squadra di Terza Categoria, guardare le partite dalla panchina (perchè se veniva convocato un bocia, se non era un fenomeno, tante volte era per non fargli pagare il biglietto e basta) e respirare l’atmosfera di una domenica pomeriggio autunnale, tra foglie secche fuori dal campo di periferia, col cielo plumbeo ma non piovoso e vedere dei giocatori che davano tutto, anche l’anima, e uscire sudati, sporchi di fango e con l’occhio vitreo dalla fatica, ma consci di aver buttato nell’arena anche l’ultima stilla di energia.
Purtroppo, come tutti sappiamo, l’idea di calcio che passa davanti ai nostri occhi in questi ultimi tempi mi ha fatto capire che il grande amore platonico e romantico (nel senso dell’idea romantica di qualche secolo fa) per il pallone rotondo stava finendo: il calciatore guerriero (di cui restano pochi esemplari) ha cominciato a lasciar spazio al calciatore moderno, tutto urla e urletti al primo contatto e che parla di sè in terza persona ai giornalisti..vorrei presentare io a loro qualche bel centrale di periferia, per vedere se urlano ancora poi..
Battute a parte, qualche tempo dopo sono stato fulminato dal rugby, che in gran parte riproponeva quelle immagini che mi avevano fatto sbandare per il calcio fino ai 15 anni: giocatori fasciati, bendati, rotti, in campo come i guerrieri di un tempo alla ricerca della meta, del loro traguardo personale, nonostante la squadra fosse sotto di 40 punti, anche se ad altri occhi fare o non fare punti non avrebbe cambiato nulla negli equilibri del match. Sì, questo era lo sport “per me”, anche se il ginocchio non mi avrebbe permesso di fare nient’altro che qualche passaggio al parco o al campetto.
Dopo qualche partita di “apprendistato” (ve l’ho già detto, son difficili le regole!), ho cominciato a soffermarmi su un’immagine molto ricorrente, ma che mi colpiva moltissimo, e che per un ex calciatore risulta stridente: mi sorprendeva il momento del calcio, punizione o trasformazione poco importava, il duello tra un calciatore e una grande H. Per un tifoso avvezzo al pallone rotondo e a quel rituale chiamato calcio di rigore, un calcio di punizione nel rugby sembra una cagata pazzesca: non hai un portiere davanti e non hai nessun arbitro che ti sollecita a tirare. Ma è poi vero che è più facile? Secondo me proprio no, ragazzi, no di certo.
Che non sia facile lo si capisce dall’inquadratura televisiva del calciatore prima del gesto: non è come nel calcio in cui molti giocatori guardano solo il pallone per evitare l’ipnosi del portiere, qui il tuo obiettivo lo guardi molto volentieri, lì devi mirare e lì deve arrivare l’ovale. Ma qui allora mi chiedo, è più facile affrontare un altro uomo, come nel calcio (il portiere) o affrontare te stesso, le tue paure, e un angolo di cielo da prendere a pallate? Secondo me è una domanda affascinante, ma sono convinto che il calcio nel rugby non sia proprio così semplice e immediato.
Altra cosa che salta all’occhio: lo sguardo del rugbista verso i pali non è pervaso solo dalla concentrazione, ci puoi vedere varie cose, se sei bravo ci vedi anche tutto il film della partita in corso. Lo vedi se la sua squadra sta lottando per rimanere aggrappata disperatamente al match come un alpinista alla sua bombola o se il suo piede è solo il tocco conclusivo all’opera d’arte confezionata dalla squadra. E poi ci sono tutte le gestualità proprie di ogni calciatore che si rispetti: avete presente Wilkinson? Non ho mai capito se quelle braccia possano essere una preghiera affinchè qualcuno di altolocato lo aiuti o una dichiarazione d’intenti (come se brandisse una spada, più o meno), ma secondo me lo rendono più vicino all’immagine di un guerriero colto nel momento precedente allo scontro decisivo: concentrato, braccia e gambe già pronte all’impatto e “occhio della tigre”. Via. Centrati i pali.
A me piaceva tantissimo il rituale di un giocatore troppe volte dimenticato dalla Nazionale Azzurra, ossia il bellunese Corrado Pilat. Un po’ chino sul pallone, ma non come sir Johnny, il suo sguardo sembrava tracciare da solo la traiettoria della palla e si spostava dal basso verso l’alto. Al suo piede, come una penna su un foglio lucido, bastava ricalcare la traccia segnata dagli occhi per centrare i pali in modo perentorio. Nemmeno i laser a volte sono così precisi e inesorabili. Ma come abbiamo visto, di precisione e freddezza di automi qui non c’è (quasi) traccia, nel duello coi pali c’è spazio solo per l’ennesima lotta dell’uomo contro l’essere di cui ha più paura: se stesso.