Nella maggior parte dei casi, gli annunci erano probabilmente involontari, inseriti da algoritmi su piattaforme di acquisto di annunci programmatici, come DV360 di Google, e non inseriti intenzionalmente dai marchi coinvolti. I dati dimostrano però quanto la pubblicità programmatica stia supportando l’ecosistema della disinformazione online e quanto un’azione decisa da parte di queste aziende potrebbe ridurre notevolmente la portata della disinformazione.
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Da un lato, ciò significa che è improbabile che le aziende da sole possano porre fine al problema della pubblicità sui siti di disinformazione, anche se un impegno da parte dei marchi potrebbe già fare molto.
Dall’altro lato, se le piattaforme pubblicitarie fornissero strumenti per evitare i siti che pubblicano disinformazione quando si inseriscono annunci, potrebbero avere un impatto determinante sul modello di business della disinformazione.
Il giornalista ha un po' di casino in testa, oppure l'articolo è stato tradotto male (non ho recuperato l'originale).
Tu azienda non compri lo spazio sul sito X, compri il target dove apparire (e non esiste il target FEIKNIU' e qualora esistesse nessuno si taggherebbe come tale), target sesso, target età.
Dall'altra parte chi vende lo spazio accetta le aziende pincopallino di tipo tot in base al target del visitatore e alla sua cronologia, ma può "bannare" determinate categorie delle stesse(non vuoi la pubblicità di un carnaccio mentre il bimbo naviga sul sito di topolino per colpa del padre o il fratello maggiore, ad esempio).
Quindi in questo caso:
- o Google e i vari gestori pubblicitari non accettano i feikniussari (quindi crolla il mondo dell'editoria italiano e forse mondiale)
- o i gestori dei siti feikniussari si autoflagellano e non accettano più pubblicità
Dov'è la colpa delle altre aziende francamente non lo so.