Bologna secondo me
Inviato: 25 giu 2007, 14:56
In ossequio alla mia nota superbia da intellettuale postnovantottino e impossibilitato ad inserire new topic nell'apposita sezione (in "eventi del sito" solo gli utenti con accesso speciale possono postare.....e io a questo punto potrei anche offendermi ), posto nella sezione Federazione e Nazionale in ossequio a quel arzillo vecchietto che ha giocato coi bianchi col numero 67.
Qualcuno mi ha chiesto di scrivere qualcosa su Bologna. E sottolineo: mi ha chiesto di scrivere, e non SE avrei scritto. Si dà per scontato che lo faccia, e che lo faccia in un certo modo (ironico, spigliato, divertente), come si dà per scontato che al circo un clown qualunque ci faccia ridere (d'altronde è lì per questo!) e che nella misura in cui ci fa ridere, rida anche lui. È la maledizione di Mercuzio morente, toccato per sbaglio al cuore da Tebaldo: nessuno dei suoi compagni, nemmeno Romeo, lo prende sul serio quando chiede un medico o si torce nel dolore della ferita, la sua agonia viene presa per gioco teatrale sopraffino, al punto che nemmeno lui, Mercuzio riesce a fare a meno di scherzarci sopra e fare messinscena, un'ultima volta ancora.
C'è almeno un mare che avremmo preferito non attraversare, un cassetto o una porta che non avremmo mai voluto aprire, un sentiero sul quale molti abbiamo visto inciampare e cadere e che speravamo ci fosse risparmiato, una guerra cui abbiamo dovuto prendere parte nostro malgrado e nella quale i migliori dei nostri amici e dei nostri nemici sono morti, e dalla quale avremmo voluto chiamarci fuori. Anch'io ci ho sperato ciecamente, con infantile accanimento. Ma non è andata così. Quel dolore che nemmeno avremmo augurato al nostro avversario più odiato ci ha colto di sorpresa, per disattenzione, negligenza, indolenza, indisciplina.
Beati davvero coloro a cui tutto ciò è stato, o sarà risparmiato.
Non so perché ho voluto esserci quest'anno, a Bologna. Soprattutto se penso che esserci o non esserci per me, ora come ora, sarebbe stata la stessa identica cosa. Sono sceso senza attese e senza il desiderio di vedere nessuno in particolare. Ma Bologna viene una volta all'anno come Natale, che io sia d'accordo o meno. E come Natale tutto sommato mi piace e mi piacerà sempre, a volte di più, a volte di meno. Il fatto è che ho trascorso tutta la vita a chiedermi che cosa avrei voluto e che cosa non avrei voluto, e alla fine ho dovuto prendere amaramente atto che l'unica cosa che vorrei ora come ora è essere voluto da qualcuno che non mi vuole più. Ma anche qui, seppelliamo il tutto con una risata, amara, ma pur sempre risata.
Domenica mattina al bar Edo raccontava di come la sua macchina nel viaggio da Roma verso Bologna avesse perso i pezzi per strada, e sembrava che parlasse di me. Ma evidentemente a forza di mangiare gatti crudi (si sono salvati il diffidente felino alla finestra di un primo piano qualunque che ho tentato di adescare con una salamella in una traversa di Piazza Maggiore e quelli ben più scattanti del campeggio, alle quattro di una improbabile notte in cui pare che nessuno avesse ancora cacciato la lingua in bocca a qualcun'altro) ho assunto anch'io nove vite. E per fortuna, pare che me ne sia rimasta ancora qualcuna. E allora diamo fiato alle trombe, anima di Mercuzio, ma non come ha fatto Petolo domenica mattina, sulle orme di Von Karajan, per tener fede al suo nome (è già pronto in esclusiva un contratto per il prossimo festival di Salisburgo).
Sono sceso a Bologna con queste e altre cose che mi giravano nella testa e anche da qualche altra parte. Che le cose sarebbero state diverse per me si è visto subito da alcuni segnali cosmico-atmosferici, da alcune straordinarie manifestazioni naturali che hanno peraltro turbato molti di noi:
- mancava l'abituale afa canicolare preinfarto, nemica giurata del rugbysta asmatico-fumatore-cirrosoepatico, e una leggera brezzolina ci ha accompagnato sia durante il giorno che durante la notte (questa volta Petolo non c'entra).
- Mc Pippus mi ha accolto costernato, con i baffoni spioventi da tricheco equatoriale e quell'aria afflitta che avrebbe Alan Sorrenti se una mattina si svegliasse e scoprisse di essere diventato rauco e baritonale come Sandro Ciotti: “quest'ano z'è l'erba al Baaarca.......non so come sia potuto suzeeedere...”. E cadde, come corpo morto cade.
- Alby non è venuto con la decapottabile.
- Il nostro unico storico spettatore ha dato forfait. Ci siamo sentiti soli, tanto soli.
- Ted è riuscito a dire nove parole di fila in italiano quasi standard senza infilarci un “mona” o una qualche incomprensibile parola valdagnina (Nambereit ci ha confessato che due settimane prima per sbaglio, colto da un attacco di fame chimica per aver ingerito inopinatamente pachini allucinogeni di produzione propria, ha sbranato a morsi un'edizione del Vocabolario della Crusca).
- Giancarlo, il nostro pilone anoressico, schierato all'occorrenza a seconda linea con me (85 anni in due circa e un peso complessivo che è grosso modo 2/3 di quello di Dellapé) ha messo su qualche chilo, complice “il preparatore atletico personale” (“'Sti cazzi”, commentó Er Fregna, citando uno dei più noti e riusciti versi di Petrarca per dimostrarci di aver fatto anche lui le scuole alte - la sua classe all'Istituto Professionale per Fresatori di Tor Pignattara stava al quinto piano -).
Di fronte a queste e tante altre novità non citate per sintesi, che avrebbero potuto minarmi il già instabile senso della mia presenza sul globo terracqueo (quando l'insicurezza compie scorribande attraverso le nostre giornate ci si rifugia o nelle comode menzogne o nelle solide tradizioni) almeno una cosa non è cambiata: il risultato finale della partita. E questo nonostante un arbitraggio a dir poco allucinante (licenza calciofila) e il fatto che tra noi abbia giocato un tipo con il numero 67. Grande, grosso intendiamoci, ma di rugby proprio non ne capisce una fava secca.
Ricordi a caso, scintille del barbecue, vaghe stelle dell'Orsa che mi baluginano qua e là, tra un senso di colpa perché non sto combinando un c4$$o e un'attesa dell'inatteso, una gomitata del destino che rivolti il senso di una giornata come tante altre. Di più non potete pretendere. Allora cominciamo:
- Billie che mi accosta e mi dice “Scusa per il placcaggio alto, ma comunque sono riuscito a mascherarlo bene, scivolando sulla spalla”. Deve essere stato quando ho pensato “mordaci quest'anno le zanzare al Barca”.
- La Malvasia fatta in casa da VecchioUbo e famiglia. Giusto per ricordarsi che il vino è la più antica e gloriosa bevanda del mondo (l'acqua non conta, se non come ingrediente base per misture più interessanti), e che la birra sta al vino come la luna al sole. E si brindò alla poesia cruenta e regale delle guerre e delle battaglie.
- Una touche rubata (una delle tante, peraltro: eh eh eh), con le manone di Kino sulle mie chiappette pallide da chierichetto gesuita.
- Chi è quello s*****o che ha cancellato la linea dei 22? Mi avete fatto confondere e ho dovuto correre fino alla linea di meta, rischiando il collasso cardio-circolatorio, il ginocchio della lavandaia e il prolasso dell'utero. Dopo la volata ho scatarrato le ultime 140 sigarette. Fischio provvidenziale di Cicca, fine primo tempo e salto al concessionario Skoda all'angolo a farmi dare una stretta ai bulloni delle coronarie.
- Una irresistibile penetrazione di McPippus che ha propiziato la terza meta.......avversaria.
- Un placcaggio provvidenziale di non so chi su Jimmi lanciato, che ha salvato una improbabilissima meta che avrebbe segnato la fine della magica leggenda del rugby.
- Orso (quello senza 1967) che zompa come un imbecille tarantolato sulle note di improbabili monodie hard-rock suonando una chitarra fatta d'aria e di scorreggie di Petolo a imitazione di Angus Young. E questo sarebbe un Colonnello dell'Aeronautica (“li mortaacci” commentò Er Fregna, non lasciandosi sfuggire l'occasione per citare abilmente un noto passaggio di Sartre da “La nausea” - il libro preferito di Billie, di cui due anni fa, nella prima storica edizione del Barca, scrisse il seguito, come è noto a tutti).
- L'apparizione di Cane di Pavlov, fulgida e sagace mente del web, l'unica persona del sito che è veramente come tutti ci siamo immaginati.
Ora basta, però. Lasciamo morire in pace Mercuzio. La verità, cari compagni di merende, è che abbiamo ipotecato un paio di deliri anzitempo, e abbiamo creduto che davvero potesse essere così come pensavamo.
Qualcuno mi ha chiesto di scrivere qualcosa su Bologna. E sottolineo: mi ha chiesto di scrivere, e non SE avrei scritto. Si dà per scontato che lo faccia, e che lo faccia in un certo modo (ironico, spigliato, divertente), come si dà per scontato che al circo un clown qualunque ci faccia ridere (d'altronde è lì per questo!) e che nella misura in cui ci fa ridere, rida anche lui. È la maledizione di Mercuzio morente, toccato per sbaglio al cuore da Tebaldo: nessuno dei suoi compagni, nemmeno Romeo, lo prende sul serio quando chiede un medico o si torce nel dolore della ferita, la sua agonia viene presa per gioco teatrale sopraffino, al punto che nemmeno lui, Mercuzio riesce a fare a meno di scherzarci sopra e fare messinscena, un'ultima volta ancora.
C'è almeno un mare che avremmo preferito non attraversare, un cassetto o una porta che non avremmo mai voluto aprire, un sentiero sul quale molti abbiamo visto inciampare e cadere e che speravamo ci fosse risparmiato, una guerra cui abbiamo dovuto prendere parte nostro malgrado e nella quale i migliori dei nostri amici e dei nostri nemici sono morti, e dalla quale avremmo voluto chiamarci fuori. Anch'io ci ho sperato ciecamente, con infantile accanimento. Ma non è andata così. Quel dolore che nemmeno avremmo augurato al nostro avversario più odiato ci ha colto di sorpresa, per disattenzione, negligenza, indolenza, indisciplina.
Beati davvero coloro a cui tutto ciò è stato, o sarà risparmiato.
Non so perché ho voluto esserci quest'anno, a Bologna. Soprattutto se penso che esserci o non esserci per me, ora come ora, sarebbe stata la stessa identica cosa. Sono sceso senza attese e senza il desiderio di vedere nessuno in particolare. Ma Bologna viene una volta all'anno come Natale, che io sia d'accordo o meno. E come Natale tutto sommato mi piace e mi piacerà sempre, a volte di più, a volte di meno. Il fatto è che ho trascorso tutta la vita a chiedermi che cosa avrei voluto e che cosa non avrei voluto, e alla fine ho dovuto prendere amaramente atto che l'unica cosa che vorrei ora come ora è essere voluto da qualcuno che non mi vuole più. Ma anche qui, seppelliamo il tutto con una risata, amara, ma pur sempre risata.
Domenica mattina al bar Edo raccontava di come la sua macchina nel viaggio da Roma verso Bologna avesse perso i pezzi per strada, e sembrava che parlasse di me. Ma evidentemente a forza di mangiare gatti crudi (si sono salvati il diffidente felino alla finestra di un primo piano qualunque che ho tentato di adescare con una salamella in una traversa di Piazza Maggiore e quelli ben più scattanti del campeggio, alle quattro di una improbabile notte in cui pare che nessuno avesse ancora cacciato la lingua in bocca a qualcun'altro) ho assunto anch'io nove vite. E per fortuna, pare che me ne sia rimasta ancora qualcuna. E allora diamo fiato alle trombe, anima di Mercuzio, ma non come ha fatto Petolo domenica mattina, sulle orme di Von Karajan, per tener fede al suo nome (è già pronto in esclusiva un contratto per il prossimo festival di Salisburgo).
Sono sceso a Bologna con queste e altre cose che mi giravano nella testa e anche da qualche altra parte. Che le cose sarebbero state diverse per me si è visto subito da alcuni segnali cosmico-atmosferici, da alcune straordinarie manifestazioni naturali che hanno peraltro turbato molti di noi:
- mancava l'abituale afa canicolare preinfarto, nemica giurata del rugbysta asmatico-fumatore-cirrosoepatico, e una leggera brezzolina ci ha accompagnato sia durante il giorno che durante la notte (questa volta Petolo non c'entra).
- Mc Pippus mi ha accolto costernato, con i baffoni spioventi da tricheco equatoriale e quell'aria afflitta che avrebbe Alan Sorrenti se una mattina si svegliasse e scoprisse di essere diventato rauco e baritonale come Sandro Ciotti: “quest'ano z'è l'erba al Baaarca.......non so come sia potuto suzeeedere...”. E cadde, come corpo morto cade.
- Alby non è venuto con la decapottabile.
- Il nostro unico storico spettatore ha dato forfait. Ci siamo sentiti soli, tanto soli.
- Ted è riuscito a dire nove parole di fila in italiano quasi standard senza infilarci un “mona” o una qualche incomprensibile parola valdagnina (Nambereit ci ha confessato che due settimane prima per sbaglio, colto da un attacco di fame chimica per aver ingerito inopinatamente pachini allucinogeni di produzione propria, ha sbranato a morsi un'edizione del Vocabolario della Crusca).
- Giancarlo, il nostro pilone anoressico, schierato all'occorrenza a seconda linea con me (85 anni in due circa e un peso complessivo che è grosso modo 2/3 di quello di Dellapé) ha messo su qualche chilo, complice “il preparatore atletico personale” (“'Sti cazzi”, commentó Er Fregna, citando uno dei più noti e riusciti versi di Petrarca per dimostrarci di aver fatto anche lui le scuole alte - la sua classe all'Istituto Professionale per Fresatori di Tor Pignattara stava al quinto piano -).
Di fronte a queste e tante altre novità non citate per sintesi, che avrebbero potuto minarmi il già instabile senso della mia presenza sul globo terracqueo (quando l'insicurezza compie scorribande attraverso le nostre giornate ci si rifugia o nelle comode menzogne o nelle solide tradizioni) almeno una cosa non è cambiata: il risultato finale della partita. E questo nonostante un arbitraggio a dir poco allucinante (licenza calciofila) e il fatto che tra noi abbia giocato un tipo con il numero 67. Grande, grosso intendiamoci, ma di rugby proprio non ne capisce una fava secca.
Ricordi a caso, scintille del barbecue, vaghe stelle dell'Orsa che mi baluginano qua e là, tra un senso di colpa perché non sto combinando un c4$$o e un'attesa dell'inatteso, una gomitata del destino che rivolti il senso di una giornata come tante altre. Di più non potete pretendere. Allora cominciamo:
- Billie che mi accosta e mi dice “Scusa per il placcaggio alto, ma comunque sono riuscito a mascherarlo bene, scivolando sulla spalla”. Deve essere stato quando ho pensato “mordaci quest'anno le zanzare al Barca”.
- La Malvasia fatta in casa da VecchioUbo e famiglia. Giusto per ricordarsi che il vino è la più antica e gloriosa bevanda del mondo (l'acqua non conta, se non come ingrediente base per misture più interessanti), e che la birra sta al vino come la luna al sole. E si brindò alla poesia cruenta e regale delle guerre e delle battaglie.
- Una touche rubata (una delle tante, peraltro: eh eh eh), con le manone di Kino sulle mie chiappette pallide da chierichetto gesuita.
- Chi è quello s*****o che ha cancellato la linea dei 22? Mi avete fatto confondere e ho dovuto correre fino alla linea di meta, rischiando il collasso cardio-circolatorio, il ginocchio della lavandaia e il prolasso dell'utero. Dopo la volata ho scatarrato le ultime 140 sigarette. Fischio provvidenziale di Cicca, fine primo tempo e salto al concessionario Skoda all'angolo a farmi dare una stretta ai bulloni delle coronarie.
- Una irresistibile penetrazione di McPippus che ha propiziato la terza meta.......avversaria.
- Un placcaggio provvidenziale di non so chi su Jimmi lanciato, che ha salvato una improbabilissima meta che avrebbe segnato la fine della magica leggenda del rugby.
- Orso (quello senza 1967) che zompa come un imbecille tarantolato sulle note di improbabili monodie hard-rock suonando una chitarra fatta d'aria e di scorreggie di Petolo a imitazione di Angus Young. E questo sarebbe un Colonnello dell'Aeronautica (“li mortaacci” commentò Er Fregna, non lasciandosi sfuggire l'occasione per citare abilmente un noto passaggio di Sartre da “La nausea” - il libro preferito di Billie, di cui due anni fa, nella prima storica edizione del Barca, scrisse il seguito, come è noto a tutti).
- L'apparizione di Cane di Pavlov, fulgida e sagace mente del web, l'unica persona del sito che è veramente come tutti ci siamo immaginati.
Ora basta, però. Lasciamo morire in pace Mercuzio. La verità, cari compagni di merende, è che abbiamo ipotecato un paio di deliri anzitempo, e abbiamo creduto che davvero potesse essere così come pensavamo.