Ma si insomma non proprio, considerazioni un tanto al chilo dettate certamente da qualche pregiudizio, è sport vero + businessjpr williams ha scritto:Se uno volesse trovare un argomento per dire che professionismo e sport sono inconciliabili potrebbe utilizzare questo argomento.doublegauss ha scritto:Su questo, una considerazione che travalica l'ambito squisitamente rugbistico: i campionati con promozioni e retrocessioni sono molto difficili da giustificare nello sport professionistico, in cui un investitore deve poter contare su un orizzonte certo di qualche anno. E infatti, quelli che fanno il professionismo seriamente (gli americani) non ci pensano neanche ad avere ingressi e uscite basate sul merito sportivo. Dal punto di vista strettamente economico, lo sport professionistico è una branca del settore dell'intrattenimento, e con quelle logiche deve funzionare.
In realtà nel più professionistico e globale degli sport, cioè il calcio, vivaddio promozioni e retrocessioni ci sono ancora. Sarebbe il colmo se il rugby fosse più professionistico del calcio.
Gli americani, come dici giustamente, sono un'altra cosa: da tempo il professionismo americano ha ben poco a che vedere col concetto di sport, essendo solo showbusiness con performance atletiche al posto della recitazione o della musica.
Ma poi nel rugby è già così, le uniche leghe create negli ultimi 20 anni sono leghe professionistiche chiuse (Celtic League e Super Rugby), business as usual, nessuno ad oggi creerebbe una lega professionistica con promozioni e retrocessioni, i campionati nazionali mantengono questo sistema perché cambiare è troppo complicato e trova - giustamente - moltissime opposizioni perché gli investimenti, e consistenti, li fanno anche quelli che vogliono salire di categoria e spartirsi la torta più ricca, per cui alla fine rimarrà tutto così anche nella Premiership, sempre per motivi di business. Lo sport non c'entra in queste scelte, quello si fa sul campo, che sia lo Stoop, Ravenhill o il Soldier Field.