roy bish

La Storia del Rugby, le sue Tradizioni, le Leggende, attraverso documenti, detti, racconti, aforismi.

Moderatore: Emy77

verosqualo
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Messaggio da verosqualo »

Già l'ho detto in un precedente intervento...sarebbe, a mio avviso, utile trovare confronti più ampi alle considerazioni di questo 3D.
Rinnovo la richiesta agli amministratori del sito ( anche se in realtà ignoro se abbiano la pazienza di leggere tutti i messaggi ) di realizzare un estratto degli interventi più significativi e coerenti sulla crisi d'identità e sulle prospettive future del nostro sport presenti nella discussione Roy Bish per farne una piccola pubblicazione.
Credo che possa essere una ottima base di analisi per molti soggetti che a vario titolo sono interessati alla questione.
Gli argomenti mi sembrano validi anche per un prodotto di qualità che darebbe lustro al sito stesso. Che ne pensate colleghi forumisti? E che ne pensano gli amministratori del sito? :roll: :roll: :roll:
THAKER
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Messaggio da THAKER »

Io la trovo un'idea magnifica.
sanzen
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Messaggio da sanzen »

Forse le vacanze hanno impigrito i partecipanti di questa discussione?
Avevo lamciato alcuni temi di discussione riguardanti la comunicazione, nessuno sembra interessato o voglioso di parlare dell'aspetto economico...eppure altissimi si levano i lamenti per questo sport che perde la "sicurezza" economica.
Speriamo, con i primi temporali, qualcuno superato il caldo e l'arsura voglia meditare su questo aspetto basilare del rugby odierno, magari aprendo un'appropriata discussione.
O vogliamo solamente parlare dell'ultima Haka? :D
GRUN
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Messaggio da GRUN »

Caro sanzen, con colpevole ritardo raccolgo la palla che mi passi, anche se devo ammettere che il caldo è un deterrente non da poco. Partirei proprio dalla tua ultima domanda-provocazione relativa alla Haka, che sembra uno dei chiodi fissi di molti utenti del forum e che in periodo di Tri Nations impazza nelle discussioni degli appassionati, specie dei più giovani. Domenica addirittura Sole 24 Ore ha riportato in prima pagina la notizia della vittoria All Blacks con tanto di foto, dell' ultima Haka, quasi superfluo dirlo. La Fiat ci realizza sopra uno spot, su Rugby.it i ragazzi discettano sulle varie espressioni della danza (e poi magari non sanno nemmeno chi erano Antonio Colella o i fratelli Francescato...), insomma, sembra che sia uno dei pochi elementi rugbistici in grado di fare presa,almeno in Italia, su un pubblico ampio, di appassionati e di persone che solo saltuariamente vengono a contatto con questo sport. Alla nazionale neozelandese, ai suoi rituali, ai suoi apparati simbolici (analizzati spesso in maniera approssimativa e parziale), vengono garantiti attenzioni e credito, quell'universo di segni viene comunque in qualche modo decodificato. Per quali altre espressioni rugbistiche avviene questo, quali altre realtà possiedono un'identità così riconoscibile, così immediatamente tangibile? Poche, pochissime, e purtroppo non certo quella italiana. Che identità ha il rugby di casa nostra? E in che modo può sfuggire alle secche dell'autoreferenzialità, inviando messaggi decrittabili da un pubblico allargato e non formato dai pochi, fedeli, innamorati? Fino ad una ventina di anni fa pure chi conosceva poco la storia e le regole del rugby identificava questa disciplina con alcune realtà geografiche ben delineate, individuava in Rovigo, L'Aquila, Padova, Frascati, Treviso, i cuori pulsanti della pallaovale in Italia, i santuari dove le mischie erano più importanti e pregnanti dei calci d'angolo e dei rigori. Si sapeva che non giravano soldi (anche se esistevano malcelate forme di professionismo) e che quei signori che rotolavano alla domenica sull'erba o nel fango al lunedì sarebbero tornati a servire i clienti in macelleria, come faceva Franco Bargelli, o a preparare la tesi per la laurea in ingegneria, come faceva Giorgio Morelli. Rugby scuola di vita, si diceva, rugby connesso alla vita, quella di tutti e di tutti i giorni si pensava. Dicevi rugby italiano e pensavi ad un mondo di provincia capace di vibrare di passioni forti, spesso sanguigne, ma sempre connesse a piani di valori che tutti potevano decodificare senza problemi... Inoltre, senza le pressioni del professionismo, si potevano accettare le sconfitte con una serenità maggiore, vivendole come passaggi propedeutici, come snodi necessari da affrontare, senza drammi, in un processo di crescita individuale e di gruppo. Oggi è la ricerca del successo ad imperare, tu esisti solo se vinci, annienta per non rimanere annientato, sembrano dirti tutti. Allora che identità può avere il rugby italiano in questa sua fase storica, se le realtà provinciali delle quali abbiamo parlato hanno perso o stanno perdendo quella capacità d'identificarsi col rugby e, più in profondità, si stanno trasformando a livello socio-economico, perdendo ogni giorno che passa i tratti identificativi che fino a pochi anni fa le connotavano? Il rugby italiano allora è costretto ad aggrapparsi alle vittorie della nazionale, ma questa di successi ne miete pochi, ma pochi davvero e oggi di partite perse non vuole più sentire parlare nessuno, dirigenti e sponsor in primis... Un'azienda oggi può investire su omoni destinati al combattimento, ma avvezzi alla debacle? Può parlare ad un potenziale pubblico di compratori o di clienti di processi di formazione connessi alla sconfitta? Certo che no ed allora in attesa che i ragazzoni in maglia azzurra portino a casa qualche trofeo e vengano così santificati dalla comunità, divenendo elementi nei quali identificarsi, vai di haka e di All Blacks...
keis
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Messaggio da keis »

Sono ammirato dall'eleganza della prosa e del rigore dell'argomentare di GRUN (è il mediano belga del Parma ?)

Analisi lucida che mi trova molto d'accordo ma al tempo stesso mi induce ad un digressione per non vedere tutto così fosco.

E' sotto gli occhi di tutti come quelle 6 - 7 realtà che hai enumerato stiano vivendo - chi in un senso chi nell'altro - una metamorfosi e comunque non siano più le isole (felici?) di 25 - 30 anni fa. Rovigo e L'Aquila vivono le difficoltà che sappiamo, Treviso quest'anno ha ringiovanito radicalmente la rosa (riteniamo risparmiando anche un bel po'), il Petrarca non vince niente da un bel po' ed addirittura non arriva più tra le prime 4. Ha una struttura meravigliosa, ma che appare fredda e staccata dalla città e dal rugby circostante. Corre voce che su un bel po' della sua superficie faranno villette. Se è vero non è proprio un progresso....

Pare che dove il rugby fiorì già rigoglioso, si stia regredendo, e comunque si fatichi a restare ai vertici.

Piccola esperienza personale: nel nostro marginale club di serie C (il Vicenza), da 5 anni a questa parte siamo riusciti a portare in campo circa 200 ragazzi dai 9 ai 18 anni, quanto basta per avere formazione completa (panchina compresa) con possibilità di scelta in tutte le categorie , e chi pratica il rugby giovanile come dirigente e/o allenatore sa cosa significa.

I genitori che ce li affidano è ovvio che siano sensibili - da neofiti inclini allo sport guardato con familiare di Peroni a bordo - poltrona - alle sirene del Super 14 e del 3 Nations, all'aura delle superclassiche del 5 (6) Nazioni.

Ma se lavori bene, non snaturi il messaggio e fai apprezzare il valore aggiunto formativo che questo sport può dare , se parli con padri e madri di famiglia come si deve, credetemi che ti seguono sul terreno dove vuoi portarli (terreno periglioso ed aspro, che merita un capitolo a parte).

Non credete che sarebbero nel medio termine più utili 250 tesserati "naif" in ogni capoluogo di provincia sprovvisto - o quasi - di rugby, piuttosto che i soliti abituè ?

E se ci arrivano anche grazie all'Haka e non sanno chi è Colella, non mi pare poi una gran disdetta.

L'importante è il seguito della vicenda, e soprattutto che epilogo immaginiamo/progettiamo.
yary
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Messaggio da yary »

Visto che gli argomenti trattati in questo thread sono principalmente quelli che riguardano i ricordi di qualche vecchiaccio nostalgico (come me), mi pregio di farvi leggere un articolo di Marco Pastonesi, che ho trovato su un mensile, il quale presumo anche lui faccia parte di questa categoria.
Si lo sò lo stesso è stato pubblicato sulla home page di questo sito ma ho voluto inserirlo in questo forum per avere un riscontro diretto da chi ha frequentato quei posti e quei personaggi.

Da “LINUS” agosto 2006 di Marco Pastonesi


Ma vi ricordate la Taverna Mamilio? Stava a Frascati e sovrastava la Fossa dei Leoni, un campo scavato , sepolto, sprofondato, come ci entravi eri già sotto di venti punti e se ne uscivi vivo era un miracolo. Nella Taverna ci lavorava Raimond Bellingan, mediano di mischia sudafricano, che fra una maul e una rack riempiva le bottiglie di Barola, con la ”a” finale e le circondava di Frascati classico. Classico perché, come diceva mister Romano Bonifazi: “con quattro vigne fanno beve tutto il mondo”. Più nella Taverna che nella Fossa è cresciuta una generazione di leoni e beoni, insomma rugbisti, da “Nasone” Camilli a “Focone” Graziani, che prima si distinguevano nelle mischie e poi nelle cucine. Di Camilli si ricorda l’agnello brodettato con contorno di carciofi. Il terzo tempo si chiamava “se vedemo poi a beve” e si trattava di: fave fresche come antipasto, panini con la porchetta come primo e secondo e quell’interminabile vino bianco. Se nel frattempo il pullman della squadra partiva per tornare a casa, tu potevi rimanere lì quanto volevi, anche una settimana, ci sarebbe sempre stato qualcuno disposto ad adottarti.

Ma vi ricordate Pasquini? Negli anni sessanta Alberto Pasquini era uno degli imperatori della Fossa dei Leoni. La Fossa aveva la presunzione di essere un campo: rettangolare, strisce, terra, pali. Ma era una spianata di sabbia, che si si raggrumò in brecciolino, che si materializzò in pietre e accanto fu edificata una tribuna. Più che una tribuna era una muraglia. Un giorno mani pietose stesero alcuni vecchi materassi che poco dopo si ridussero al loro interno in gommapiuma, sugli spuntoni che si proiettavano fuori dalla tribuna verso il campo, quasi attaccati alla linea di touche, mentre dalla parte opposta si ergeva un’altissima rete che proteggeva il giardino di un barone. L’azione partì dalla mischia vinta dal tallonatore Paoletti, protetto dal pilone Tanfani e dal celebre “Pepito “ (al secolo Franco Schiraldi), il pallone volò al largo e fini fra le mani di Pasquini detto “patata” per la sua pelata in testa, trequarti ala che, vistosi chiuso, finse il passaggio al muro, il suo avversario abboccò e lì ci si spiaccicò. L’azione divenne celebre (finta a “muro Mancini”, dal nome del proprietario del giardino sovrastante), almeno quanto il passo dell’oca di David Campese e il doppio passo di Rokocoko. Eppure quella finta di Pasquini era irresistibile e il muro collezionò clavicole, scapole e qualche omero.

Ma vi ricordate Gary Garibaldi? Giocava nel Cus Milano e inventò il trucco del calzettone. Quando il calciatore della squadra avversaria stava per rinviare il pallone dai 22, lui gli si metteva davanti, si genufletteva, fingeva di allacciarsi le scarpe oppure di tirarsi su i calzettoni e mentre quello calciava lui si alzava di scatto e cercava di intercettare il pallone.

Ma vi ricordate Scanavacca? Inghilterra – Italia , a Twickenham. “Pepe” Scanavacca si era allenato a calciare a stadio vuoto. Ma in partita, quando alzò lo sguardo per preparare il calcio vide il muro di gente dietro ai pali e rimase scosso. Allora ribassò lo sguardo, pensò alle prove fatte il giorno prima e quando lo rialzò la gente era sparita. C’erano solo i due pali e la traversa. Fece centro. E Twickenham tremò.

Ma vi ricordate Zibana? Antonio Zibana, Parma. Sempre giocato in mischia. Mischia di quei tempi, anni cinquanta, macchè caschi: al massimo c’era un bel giro di cerotto intorno al cranio per proteggere le orecchie. Non c’era la scusa del sangue per uscire e comunque non c’erano riserve, si stava in campo e basta. Un giorno a Zibana capitò di essere morsicato ad un orecchio così alla fine della partita invece di andare nello spogliatoio fu costretto ad allungare fino ad un Pronto Soccorso. Qui un poliziotto gli chiese come avesse fatto a procurarsi quella ferita e lui rispose che doveva essersi grattato via una crosta un po’ troppo forte.

Ma vi ricordate quell’arbitro toscano? Quello che ci disse: arbitrare una partita di rugby è come vedere la figa ma non poterla toccare, giocare trequarti è come quando si comincia a limonare, giocare in mischia è come starci dentro al caldo.
Amo il rugby non perché è violento, ma perché è intelligente. Françoise Sagan
ko-lanta
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Messaggio da ko-lanta »

Per Grun
Non sono molto pratico per l'invio di questo messaggio,è da poco che uso INTERNET,forsatamente.
Ho saputo da un mio amico che sei delle parti di Genova ho letto molte cose scritte da te e ho visto che sei documentatissimo: la FIR dovrebbe darti un incarico specifico piuttosto che far mangiare alla grande gli incompetenti.
Scrivimi sono (ko-lanta@libero.it) poi scoprirai chi sono,una persona che può aiutarti nelle tue recenzioni con competenza per lo meno per quanto riguarda il mondo del rugby italiano(e mondiale) degli anni che vanno dal 1970 al 1980. Scusami ma non capisco un c4$$o di computer e non so neppure se riceverai questo pezzo
frankye88
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Messaggio da frankye88 »

Sono pienamente d'accordo con verosqualo,un'estratto di questo post sarebbe un'iniziativa fantastica.
ko-lanta
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Iscritto il: 14 ott 2006, 10:51

Messaggio da ko-lanta »

Di Paoletti tallonatore fumantino cui si riferisce "SANZEN"posso solo dire che a quei tempi Paoletti era una realtà che veniva presa di mira da tutti perchè giovanissimo e bravo(a 19 anni era già titolare della nazionale senior e vi rimase per cinque lunghi anni acquisendo 20caps tante considerando che in quei tempi non c'era l'attività di oggi).
Il nostro fumantino era tipo da non lasciarsi intimorire per quello che succedeva in campo dove sapeva farsi rispettare,fregandosene di quello che succedeva fuori(per lui era importante il campo non la platea).
Ho conosciuto molto bene il tipo che assicuro è tranquillissimo per averci giocato insieme.
sanzen
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Messaggio da sanzen »

Leggo con colpevole ritardo le considerazione sul tallonatore "fumantino" Paoletti e ti ringrazio per la descrizione dell'altro lato del nostro uomo, non ho mai pensato egli fosse così anche nella vita di tutti i giorni.
Lo ricorderò sempre per le sue doti di indomito combattente e per loa sua tecnica davvero notevole e lasciamelo dire che per me ha rappresentato il Tallonatore in quegli anni.
Adesso però diciamo la nostra orazione funebre per Roy Bish che è andato a trovare i suoi innumerevoli compatrioti che hanno fatto la storia del rugby...che la terra gli sia lieve.
billingham
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Messaggio da billingham »

BixBeiderbecke ha scritto:No, il poliziotto era Wade Dooley.
<BR>Beaumont non so cosa facesse, ma da quando ha smesso fa il giornalista
era poliziotto anche il suo compagno di reparto Paul Ackford, nello stesso periodo.

ho ripreso in mano questa discussione per lavorare sull'articolo che ho intenzione di inserire su rugbyunion.it circa la scomparsa di Bish. quanti bei ricordi che ci sono.
GRUN
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Messaggio da GRUN »

Ho saputo adesso della morte di Roy Bish, cavolo... Spero che abbia potuto leggere nei mesi scorsi gli interventi di questo 3D, inaugurato per ricordarne il lavoro nel rugby italiano. In Galles ed Inghilterra, come aveva mesi fa sottolineato Yary, era stato quasi dimenticato e cercando su internet materiale che ne delineasse la figura, si trovava pochissimo. Almeno su rugby.it abbiamo provato a colmare la lacuna...
GRUN
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Messaggio da GRUN »

Leggo l'intervento dell'amico Sanzen, che saluto, a proposito del tallonatore Paoletti. Beh, ho avuto l'occasione di conoscerlo e di dialogare spesso con lui. Confermo, è persona di squisita gentilezza e disponibilità. Se solo volesse potrebbe raccontarci un profluvio di storie interessanti... Ricordo solo che esordì giovanissimo in A con la maglia del suo Frascati, giocò due anni nel forte Cus Genova di quei tempi, sfiorando lo scudetto (e proprio tre giorni fa mi ricordava, incazzandosi, il leggendario drop di Babrow nella partita decisiva tra Petrarca e Cus giocata al Tre Pini alla penultima giornata del campionato 1972/73...), passò al Concordia Brescia, dove vinse lo scudetto nel 1974/75. Smise molto presto (non riusciva più a smaltire i colpi presi in partita ed allenamento) ed iniziò ad arbitrare, anche in quel campo ad alto livello, dirigendo per alcuni anni in massima serie. Un uomo di rugby a tutto tondo.
yary
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Messaggio da yary »

Carissimi GRUN, Sanzen, Verosqualo, Nebelexe ecc. (non me ne vogliate voi non menzionati, l'elenco sarebbe troppo lungo),
come voi apprendo solo ora della dipartita di un'uomo che ha dato tanto al rugby italiano.
Amo il rugby non perché è violento, ma perché è intelligente. Françoise Sagan
GRUN
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Messaggio da GRUN »

Caro Yary un saluto. Spero che la FIR sabato trovi il modo, magari con un minuto di silenzio prima del test match, di ricordare Roy Bish. Fino a questo momente sul sito ufficiale della Federazione Italiana non è stata ancora data la notizia della morte dell'allenatore gallese...
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