JosephK. ha scritto:Il viaggio, i tempi stretti tra viaggio e partita, il fatto di giocare in un posto dove magari ai 10 mila persone che tifano contro, giocare in tempi del rugby veri, non in stadi con 5 anni di storia, una posizione mentale - magari inconscia - per cui "in casa possiamo farcela, fuori forse solo con Newport", formazione per l'estero non tipo perché il coach li risparmia per la partita dopo in casa più "abbordabile", statistica del torneo per cui chi gioca fuori comunque perde e noi che perdiamo anche in casa quando ce la giochiamo inevitabilmente perdiamo ancora di più...
Cose di questo genere, forse. Ma è difficile spiegarselo.
Sì, tutte queste cose insieme. La prima tra tutte, però, secondo me è l'attitudine mentale: "Tanto perdiamo; è tutto inutile...". E il placcaggio viene loffio... Io non sono psicologo, ma per quel poco che ne so, al netto del talento e della preparazione fisica che uno può avere...l'attitudine mentale è un carburante potente. Io penso che possa essere equiparato (uh! Che brutta parola mi è venuta...) a una sorta di doping naturale. Come quelli che riescono a passare sulle braci ardenti (ammesso che sia vero che uno possa passare sulle braci ardenti convincendosi di poterlo fare). Anche perchè affrontare una partita - seppur inconsapevolmente - scazzato rende anche meno attenti e concentrati, la posizione cambia, la reattività cambia...e il gap sale. E come dice Caparezza, "non me lo posso permettere"... Di quei 2 minuti del Treviso che ho visto venerdì notte in differita, e mi sono bastati per chiudere il device, mi ricorso una "spolverata" di McLean (sono un suo estimatore, ma a tutti può capitare di avere il momento del grullo) sulla spalla ad un giocatore dell'Edinburgh mentre passava tra lui ed un compagno come una Mercedes con il telepass al casello A1 di Settebagni, per andare bellamente a fare meta...
