Pensavo si sapesse. Sulla carta sono un fautore delle selezioni: ritengo che il numero di atleti italiani di alto livello a disposizione sia troppo scarso per diluirlo su 10 squadre "di vertice". In effetti per mettere su squadre credibili i club integrano le rose con un fortissimo numero di stranieri. Anche i contributi federali, diluiti su 10 squadre "di vertice", incidono poco sui rispettivi bilanci.profetacciato ha scritto:diddi, tutte le tue spiegazioni sono utili, ma nn ho capito bene qual è la tua idea!celtic sì?celtic no?come?super10?selezioni?...
A mio avviso ha senso il ragionamento di raggruppare le forze e le finanze disponibili, in modo da creare delle squadre forti con atleti non dico italianissimi, ma almeno nazionalizzabili. La CL sembra la soluzione ideale: è competitiva ad altissimo livello ed è nata per favorire la crescita di nazioni rugbystiche dalle dimensioni limitate (da noi il mercato è ampio in potenza, ma asfittico nei numeri), per cui prevede NEL SUO STATUTO la valorizzazione del vivaio interno e un limite severo per gli stranieri.
C'è chi obietta giustamente che così si affossa il S10 e numerose piazze storiche del rugby nostrano. Io replico che questo varrebbe sicuramente per il S10 come torneo e la LIRE come consorzio (che già esiste solo in deroga al suo statuto). I club tradizionali continuerebbero a condurre il loro campionato a un livello inferiore, con meno soldi a disposizione, liberandosi quindi degli stranieri con ingaggio più elevato e sfruttando maggiormente i prodotti del vivaio. I giovani migliori avrebbero la possibilità, facendosi notare, di essere inseriti nelle rose delle selezioni, magari anche solo provvisoriamente (come espressamente previsto dallo statuto della CL). Sarebbe una "serie A" dove i rovigotti continuerebbero a sciamare al Battaglini per poter chiamare "onti" i patavini e dove magari la squadra di Treviso non si chiamerebbe più "Benetton" e vestirebbe nuovamente i colori bianco-blu. Ma il pubblico televisivo, che è quello in maggiore crescita in Italia (anche perché il rugby "di vertice" attuale è comunque limitato a 4 regioni) avrebbe da settembre a giugno la disponibilità di uno spettacolo godibile.
Un altro argomento contro le selezioni è: chi le andrebbe a vedere? L'obiezione ha senso, ma non trascurerei la rilevanza di uno dei più grandi paradossi introdotti dai media applicati allo sport: quanti spettatori porti allo stadio conta poco, pochissimo (tant'è vero che le squadre di calcio costruiscono/chiedono stadi sempre meno ampi) dal punto di vista finanziario, conta molto di più quanti spettatori tieni davanti alla TV, perché su quella base puoi trattare con gli sponsor privati, che sono disposti a darti ben più della somma ricavabile dalla vendita dei biglietti.
Mi rendo conto però che l'intera operazione avrebbe senso soltanto se funzionasse da impulso allo sviluppo del rugby domestico soprattutto nei periodi non coperti dall'attività della Nazionale. Si tratterebbe di innescare un circolo virtuoso, in cui il traino della Nazionale trovi riscontro nell'attività "di club" delle selezioni, suscitando un interesse duraturo in più ampi strati della popolazione, in modo da creare un movimento paragonabile a quello inglese o francese per praticanti e per giro economico, come è nelle potenzialità del nostro Paese. Ammetto tuttavia che. trattandosi di un "parto cerebrale" condotto a tavolino, le aspettative possono andare deluse per vari fattori: il disancoramento dal territorio, la natura del soggetto promotore (la FIR con la sua gestione da ente parastatale), l'avversione della parte del movimento che non è d'accordo.
E io? Io sono combattuto tra il sogno e il timore. Ma io sono sempre stato un irresoluto e per fortuna nessuno mi ha mai affidato le sorti di una rivoluzione
