Luqa-bis ha scritto:
- voilà guazziniamoci
Non so se é ironico, ma il paradosso tiene. Il "Guazzinarsi" é un'opzione possibile.
Guazzini ha modificato profondamente e definitivamente il rugby francese.
Criticato, vilipeso, preso di mira quanto volete ma se oggi il rugby si é avvicinato al calcio in Francia il merito é in gran parte dovuto a questo "folle" manager.
Fino alla fine degli anni 90 il rugby, con l'eccezione delle partite del 6 nazioni,restava uno sport seguito ma non di massa. Soprattutto per l'assenza appunto delle grandi città.
La storia del rugby francese é una storia di lotta serrata, e centenaria, tra il rugby universitario (elitario, legato agli ambienti universitari o intellettuali soprattutto parigini) e quello più popolare, sanguigno, terreno, dei paesotti arroccati sulle pendici dei Pirenei. Con l'assenza importante di larghissima parte del territorio dove il rugby resta, ancora oggi, uno sport di nicchia (parlo soprattutto del nord, della bretagna, della Normandia ecc...)
In era dilettantistica soltanto il Racing Club alla fine degli anni 80 riusci' a imporsi, li chiamavano la generazione show business, attesi in ogni campaccio di Francia dove erano considerati una vergogna per il rugby francese e spesso aggrediti già alla discesa dal pullman.
Il purista francese considera il vero rugby solo quello giocato tra Castres e Agen, tra Biarritz e Mont de Marsan (paesotti che fanno in totale non più di 100 mila abitanti) .
Questo, per decenni ha limitato il numero di spettatori, quindi l'interesse per il campionato francese.
Poi, appena entrati nell'era professionista, l'arrivo di Max Guazzini ha rivoltato il rugby francese. Riportando in alto un club che sembrava dimenticato e portando sul davanti della scena anche il campionato francese, riempiendo lo Stade de France, o anche solo Charlety. Lo ha fatto in una maniera che é stata, appunto, spesso criticata.
Ma lo ha fatto, ha fatto entrare il rugby nel paesaggio audiovisivo francese, ha portato famiglie intere a vedere la loro prima partita di rugby, ha creato interesse, anche passando per calendari e saltimbanchi. E ha spinto altre realtà a rinascere e a trovare terreno fertile. L'ho già scritto, senza Guazzini, non ci sarebbe stato il Lione, non ci sarebbe stata la rinascita del Racing, del Begles Bordeaux, e quella di Tolone (che spesso e volentieri, con grande scorno dei suoi tifosi avvelenati, preferisce giocare a Marsiglia dove malgrado la presenza ingombrante dell'Olympique de Marseille riempie spesso e volentieri il velodromo).
E anche, va detto, il declino di club storici come Bourgoin, che spesso ha anche lei provato l'ebbrezza di giocare nella vicina Grenoble.
Non so quale sia il futuro sperabile per il rugby italiano, non credo che il calcio sia un buco nero, anzi penso che spesso possa essere più una molla per poter crescere. E' vero che la partita contro gli All Blacks fa storia a parte, pero' é anche il segno che comunque sia, la gente a vedere una partita di rugby importante ci puo' andare, la fame di sport esiste ancora. Ricordo trent'anni fa la febbre per il basket che colpi' Roma durante l'epopea del Bancoroma di Wright e Bianchini, che vinse il campionato e la coppa dei campioni. Riempimmo (c'ero anch'io) per anni il Palaeur anche in concomitanza con le partite di Lazio e di Roma, e si sfidava la grande Milano (nonostante Milan e Inter) di Pittis, Premier, D'antoni e McAdoo. E si andava in diretta televisiva, quando i canali erano molto meno, e in prima serata.
Ora, restando al basket e con tutto il rispetto per la lunga striscia di vittorie di Siena, non si puo' dire che il basket italiano, sconvolga le folle.
Tutto questo per dire, ed é una cosa sulla quale sono arcivonvinto, é che comunque, prima o poi, il rugby italiano, se vuole fare veramente il salto di qualità, dovrà passare per una diffusione maggiore e più capillare sull'intero territorio e dovrà investire sulle grandi agglomerazioni urbane. Parlo, ovviamente, di Roma, Milano, Napoli, Genova, Torino e perché no, anche Palermo.
Il tutto, ça va sans dire, cercando di non distruggere, o di mortificare, le realtà che per anni hanno comunque simbolizzato il cuore pulsante della palla ovale italiana.
Compito arduo, non c'é che dire.