maxs ha scritto:Ciao a tutti,
io comincerei dalla base, cercando di allargare i numeri del minirugby. Lo farei andando nelle scuole, ma soprattutto permettendo a tutti di giocare, ovvero parafrasando un famoso slogan: "più campi per tutti".
Per me i primi 2 punti che la fir dovrebbe sviluppare sono proprio questi: maggiori contributi per le società che vanno nelle scuole e aiutare le società a trovare i campi.
A questo si aggiunge una maggiore differenzazione tra educatore di minirugby e allenatore juiores, magari creando canali formativi diversi.
Questo perchè, condividendo il discorso di Munari sulle abilità tecniche, un educatore di U6, u8,u10 deve insegnare ai bimbi a giocare divertendosi nel rispetto dei principi fondmentali, ma sopratutto deve coltivare le abilità motorie di base; mentre un allenatore juniores U12, u14, u16 deve sviluppare le abilità tecniche.
Come vedete ho diviso le categorie in maniera diversa, questo perchè in u12 occorre cominciare a parlare di tecnica.
Una volta rafforzata questa base sia come quantità che come qualità potremo parlare di come migliorare le accademie..
Ovviamente questo è il mio pensiero.
Buon rugby a tutti
Prendo spunto dall'intervento di maxs per affermare una sensazione che ritengo possa apparire anche in controtendenza rispetto ad una possibile convinzione generale.
Credo, sostanzialmente, che un discreto lavoro di capillare distribuzione sul territorio della pratica giovanile del rugby sia già stata fatta. Intendiamoci, l'Italia è stretta è lunga e non escludo che ci possano essere delle aree geografiche ancora in controtendenza rispetto a questa affermazione che vuole essere di carattere generale. Quello sul quale desideravo porre l'accento è piuttosto sul fatto che servirebbe, ora come ora, più una maggiore attenzione alla qualità della formazione e mi riferisco non solo all'aspetto formativo, ma anche alle strutture necessarie per organizzare un buon programma formativo.
Insomma, campi di rugby in ogni dove, sembra uno slogan indistruttibile, quale appassionate di questo sport non potrebbe appoggiare una simile tesi? Non possiamo, però, non fare i conti, ancora una volta, con il vil denaro

. Un campo da rugby costa realizzarlo e mantenerlo, per non parlare delle strutture aggiuntive necessarie per organizzare l'attività in un ambito di qualità e degno amor proprio. Che senso ha invitare l'avversario di turno (lo so che nel rugby si suole dicre che si gioca con e non contro, ma un sinonimo di avversario me lo passate voi?) nella propria sede di club squallida, impolverata, con evidenti carenze manutentive, triste e , anche all'apparenza, perdente. Quale immagina per il rugby, non certo diuna disciplina in salute. Io credo che si debbano, invece, coniugare le energie e le risorse sul territorio, non servono tanti campi da rugby, ma ne serve uno dove sia possibile mantenerlo adeguatamente, in buona manutenzione, con una quantità di giovani giocatori che permetta di completare le formazioni nelle partite del fine settimana (dove spesso, invece, si arriva anche in numero inferiore) e rappresentare per chi desideri avvicinarsi a questo sport un vero marchio distintivo, una sorta di marketing vivente per il rugby, una vetrina dove ordine, qualità ed eccellenza possano emergere dall'attuale squallore rappresentato da molti campetti di periferia, ahimè.
Il mio slogan; POCA QUANTITA', TANTA QUALITA'
