Il grande problema legato alle Accademie si può riassumere efficacemente in una delle prime frasi dell'intervista a Casagrande: "Il rugby italiano ha bisogno di essere competitivo a livello di Nazionale, perché è dalla Nazionale che deriva la sua ricchezza, e per formare atleti di alto livello la gestione federale è l’unica soluzione". Capiamo come non possa essere utile una struttura costruita interamente con una cecità notevole rispetto al fine per cui è stata fatta. Il problema negli ultimi 10-15 anni del rugby italiano (ma forse ancora prima) è stata proprio la volontà di rivolgere ogni investimento che andava fatto nel movimento italiano solo e solamente alla Nazionale, in maniera diretta o indiretta, invece di privilegiare la base.
Il discorso sarebbe, fatta questa premessa, molto lungo, ma vorrei portare alla luce 4 temi che trovo fondamentali:
1) GIOCATORI FATTI. Partiamo dai giocatori proprio della Nazionale; osserviamo nel XV titolare contro l'Inghilterra la provenienza nella formazione giovanile dei giocatori: De Marchi (San Donà), Ghiraldini (Petrarca), Castrogiovanni (Club Atlético Estudiantes), Biagi (Fettes College ), Bortolami (Petrarca), Minto (Mirano), Bergamasco (Petrarca), Parisse (Club Universitario de La Plata), Gori (ACCADEMIA), Haimona (Whakarewarewa), Venditti (ACCADEMIA), Masi (L'Aquila), Morisi (ACCADEMIA), Sarto (ACCADEMIA), McLean ( St. Laurence's College).
4 giocatori titolari e 2 in panchina provenienti dall'accademia federale; essendo stata creata nella stagione 2006/2007 (questa stagione compie 9 anni) non è un po' pochino? Poi, escludendo i 4 giocatori di formazione straniera

, gli altri sei (4 con anche una GRANDE carriera internazionale) si sono formati in club italiani in un periodo dove, forse, vi erano ancora meno risorse che oggi. Fanno così schifo le giovanili dei club italiani?
2) CLUB. La principale obiezione che si può muovere al punto 1 e alla domanda con cui si chiude è che questi sei giocatori si sono formati prevalentemente in Veneto, principale terra di rugby italiana, e in club dalla grande tradizione rugbystica e giovanile e che l'Accademia serve proprio a valorizzare tutti quei giocatori potenzialmente di "alto livello", ma inseriti in contesti formativi mediocri. A ciò io rispondo chiedendomi perchè non si è partiti proprio da queste realtà, valorizzandole e prendendole come esempio per la crescita dei club nell'ambito dirigenziale e tecnico, ma anche nella loro presenza sul territorio, cioè nella capacità di attirare "futuri giocatori" e pubblico. In Italia ci saranno, si e no, 20 club con un'organizzazione seria e professionistica, come si può pensare di costruire una forte Nazionale su una base così scadente? Tutte le valannghe di soldi investiti in centri federali e accademie non potevano essere investimenti mirati e monitorati nei club?
3) TECNICI. In Italia nel livello giovanile la competenza di quelli che dovrebbero essere i formatori è bassissima; nell'85% delle squadre giovanili non c'è un piano di gioco, non c'è tattica e purtroppo anche i fondamentali (placcaggio,sostegno, fasi statiche, ecc) sono poco sviluppati, le squadre sono costruite intorno al "più grosso" o a quello con maggiore talento che è chiamato in molti casi a prendere totalmente in mano la squadra. Si può in questo modo aspirare all'alto livello? No. Finchè in Italia non si investirà su un'adeguata preparazione dei tecnici di base, la situazione rimarrà sempre la stessa. A ciò è collegato il problema della difficoltà dei giovani giocatori ad adattarsi al rugby dei "grandi", finchè nelle giovanili non ci saranno vere SQUADRE e non somme di giocatori, i mediocri saranno abituati al più forte che fa anche il loro ruolo, i più forti saranno abituati a fare tutto loro. Ricordiamoci che IL RUGBY E' UNO SPORT DI SQUADRA.
4) GIOCATORI FUTURI. Proprio questo egocentrismo è il messaggio sbagliato che danno le Accademie; i giocatori che ne fanno parte sono elevati a futuri salvatori del rugby italiano e così perdono il contatto con l'importanza della squadra: da una parte essi sono come gli dei sull'Olimpo disinteressati dei "comuni mortali" e in un continuo confronto (anche inconscio) di supereghi, dall'altra penso all'estrema importanza per la crescita di un giocatore forte del combattere insieme ai compagni mediocri per il risultato ed essere anche d'esempio per loro giocando bene nel suo ruolo. Non possiamo più pensare e far credere ai giocatori dell'Accademia che essi siano predestinati e quasi sicuramente destinati alla maglia azzurra, per loro è meglio sporcarsi nel fango di un campetto di periferia con dieci persone sugli spalti e fare gavetta per arrivare a giocare con i "grandi". Inoltre più giocatori di qualità distribuiti in più squadre alzano il livello del campionato!
A questo punto rifiuto totalmente le Accademie, come frutto velenoso di questa mala idea italiota che l'alto livello sia altra realtà rispetto alle partite giocate su distese di sabbia in serie C. Il movimento è uno solo e su di esso poggia le basi la Nazionale ed è questo che deve essere sviluppato; non bisogna portare la gente all'Olimpico, ma al campetto di periferia; non bisogna decidere quali sono i giovani forti e crescerli a parte, ma bisogna farli crescere insieme ai loro compagni di club e anch'essi così cresceranno; non servono le accademie dei giocatori, ma dei tecnici; non ci serve l'apertura del futuro, ma una squadra completa, competitiva con le altre squadre e al suo interno, meritocratica e basata su giocatori italiani che giocano in Italia.
Ricordiamoci che anche per costruire le Piramidi si è partiti dalle fondamenta per arrivare alla cima e che ogni masso dal lento e faticoso trasporto le ha elevate ad essa!