l'intervista di gambato a gert small, parla di Irlanda,CL e rovigo
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Arrivano maglie sudafricane e rossoblu da autografare, richieste di foto e qualche minuto in disparte per un’intervista. Tutto nella massima tranquillità.
“Quando qualche giorno fa ho saputo che sarei stato ospite di Paolo Brizzante a Rovigo, dopo nove anni dall’ultimo passaggio qui, mi sono sentito molto carico. E’ come fare visita alla propria famiglia dopo tanto tempo e non potrebbe essere altrimenti, considerato quanto l’esperienza rodigina sia stata fondamentale per la mia crescita. Vedo facce invecchiate bene, vuol dire che lo spirito e l’ambiente continuano ad essere quelli di un tempo e ne sono felice”.
Stride sensibilmente il basso profilo di atteggiamento nell’ex-springbok, con la ribalta internazionale goduta negli ultimi anni.
“Da assistente di Jake White (ex-Ct della nazionale sudafricana, ndr) avevo un accordo che si sarebbe concluso pochi mesi fa, tournee dei British & Irish Lions compresa. I difficili rapporti tra lui e la federazione ci hanno invece portato a dare le dimissioni poco dopo la conquista della Coppa del Mondo 2007”.
Il più importante trofeo ovale del mondo, poco tempo dopo la vittoria della Currie Cup da capoallenatore con Western Province e due esperienze in Super12 con gli Stormers… non è abbastanza per un periodo di meritato riposo?
“Non molto; amo tantissimo il mio lavoro e dopo l’esperienza con i Boks volevo riprovare a misurarmi con il ruolo di capoallenatore. Ero arrivato ad un contatto con Munster, poi il nuovo coach della nazionale irlandese Declan Kidney (ex-Munster, ndr) cercava un assistente per il gioco degli avanti e Jake White, interpellato in merito, ha fatto il mio nome”.
Ardua scelta, non c’è che dire: una delle province rugbysticamente più blasonate al mondo od una nazionale da anni al vertice? Il risultato è che la generazione bella e perdente di Brian O’Driscoll fa finalmente suo il 6 Nazioni dopo 24 anni, con grand slam e triple crown incorporati.
“Opinione pubblica ed addetti ai lavori insistono sulla rivalità tra emisfero nord e sud. Io ho allenato ad alto livello in entrambi e per quanto riguarda il test-rugby, quello che fornisce caps ai giocatori, mi sento più a mio agio dove sono ora. E’ una questione di atmosfera, che ha implicazioni anche geografiche e mi fa dire che il 6 Nazioni è l’esperienza rugbystica ideale per tantissime ragioni. Rispetto al Tri-Nations ha una storia enorme e l’intensità agonistica del campo va di pari passo a quella emotiva. Ciò fa si che il calore dei supporters e la pressione dell’ambiente siano tangibili per un mese intero e palpabili sul terreno di gioco, anche per l’esigua distanza tra le varie nazioni partecipanti. Cosa che permette uno spostamento agevole e la possibilità di assistere facilmente ai vari match. Impensabile per un appassionato sudafricano, neozelandese o australiano, che per seguire la propria squadra ha invece davanti svariate ore di volo”.
Nord contro Sud. Cosa accade quando si forniscono 13 giocatori irlandesi ai Lions britannici per la tournee estiva contro - manco a dirlo - gli Springboks?
“Ho provato emozioni contrastanti. Da sudafricano attendevo questo momento da 12 anni, aspettativa ovviamente accresciuta dalla sconfitta nella serie del ’97. Da membro dello staff irlandese avrei risposto con orgoglio ed entusiasmo ad un’eventuale chiamata da parte del comparto tecnico dei Lions. Considerato il mio incarico attuale e quello precedente, potevo quasi prevedere il comportamento dei giocatori in campo, tantissimi dei quali conosco per forza di cose nel migliore dei modi. L’impegno di Churchill Cup in Canada con la rappresentativa irlandese “A” mi ha tutto sommato ‘evitato’ di vivere questa dissociazione”.
Meno di due anni alla prossima Coppa del Mondo. L’Irlanda rischia di arrivarci da nazionale leader dell’emisfero nord.
“Ma gli All Blacks, che ospiteranno la competizione, saranno come sempre i favoriti, assieme al Sudafrica campione uscente. Ho imparato la specialità di questa esperienza, che per essere vincente richiede di giocare 7 partite sempre in crescendo, una rispetto alla precedente. Il rischio è quello di arrivare alla forma ottimale troppo presto e, considerato il trionfale 6 Nazioni 2009, l’Irlanda questo rischio lo corre. Pertanto cerchiamo di tenere alta la tensione e la competizione per la maglia da titolare; c’è da dire che siamo ‘aiutati’ dai tanti emergenti di qualità desiderosi di affermarsi“.
Veniamo all’Italia. Segui le faccende di casa nostra?
“Rovigo, per l’Italia, è costantemente in cima alla classifica della mia curiosità. Cerco sempre di essere informato sui risultati dei rossoblu e sull’umore della piazza. Ho ovviamente sofferto molto negli ultimi anni, sia per il rischio retrocessione che per la qualificazione alle semifinali, centrata all’ultimo secondo. So che a tenere banco in questo momento è soprattutto la questione Celtic League”.
E’ così. Ma il movimento non risulta compatto nel pensare che l’ingresso in questa competizione possa elevare il livello.
“Bisogna fare dei distinguo. Ovviamente confrontarsi con una competizione in cui si gioca un rugby più continuativo, qualitativo, veloce e dinamico aiuta a crescere. Bisogna però ovviamente vedere come si sceglie di partecipare a questa competizione. Selezioni? Ok, può essere un’idea, ma fatte da chi? Da quello che ho imparato dell’Italia del rugby, le piazze di tradizione come Rovigo sono le colonne portanti del movimento, non tanto o non solo per quanto possono dare in tema di atleti di alto livello, quanto piuttosto di ambiente, visibilità, storia. Di questo bisogna tenere conto”