OT Un tributo doveroso
Inviato: 27 giu 2007, 16:42
Due giorni dopo Bologna, Luigi Meneghello, giustamente ci lascia. E dico giustamente perché una persona come lui, a 85 anni, avrà ben avuto il diritto di averne le palle piene di questo mondo.
Inopinatamente l'ho citato nel momento stesso in cui si è diffusa la notizia della sua dipartita....Thiene, finale dipartita, Bologna, finale di partita. È da ieri che penso a questa casualità.
Ho un suo libro a casa autografo "A Giorgio Marrapodi. Lo Yeti, queste cose che surnuotano". Me lo ha portato Nambereit a Monza circa due anni fa. Strani incroci, Nambereit giocava con MenegoBao, credo il nipote più citato in "Libera nos a Malo". Ne parlavo lunedì sera ad alcuni colleghi e conoscenti che stavano ficcando il naso nella mia libreria qui a Saarbrücken. Mi capita in mano "La materia di Reading", e poi "Libera nos a Malo". Leggo il capitolo 30. Martedi mattina poi, aprite la finestra, lasciate volare via l'anima. Sarà un segno del destino? Mi mancano 4 anni per riuscire a scrivere un libro minimamente paragonabile a "Libera nos a malo" o per fondare un istituto in un'università. Altrimenti che senso ha?
A parte gli scherzi.....questo sottile filo rosso che lega Bologna e la morte di Meneghello ha una sua ragion d'essere: pensando a noi, alle nostre relazioni amichevoli, al legame che ci unisce non mi viene niente di meglio, di più solidamente calzante dell'incipit di questo capitolo 30 di "Libera nos a Malo". Meneghello ha parlato di noi, 33 anni prima che ci fossimo, lì a Bologna. Perché un capolavoro non smette mai di parlare agli uomini di tutti i tempi, come fosse stato scritto il giorno prima:
>>Che cosa succede col passare degli anni a una generazione organizzata nelle sue compagnie? Alcuni lasciano il paese, altri si assorbono nel lavoro e nelle famiglie, i nuclei perdono consistenza, l’intero senso della cosa si modifica senza che ce ne accorgiamo. Nel modo come ci andiamo cercando l’un l’altro, si vede ancora quanto erano forti i vincoli di una volta. Poche gioie sono migliori di quella che si prova incontrandosi con gli amici quando si torna chi alla domenica chi una volta al mese chi all’estate chi a caso. In fondo si pensa ancora che gli amici siano le persone più piacevoli che abbiamo conosciuto, quello con cui si starebbe insieme più volentieri; però si sente anche che questo pensiero è quasi solo un’abitudine. A volte pare che siamo amici perché eravamo amici; spesso non abbiamo molto da dirci, tranne parlare di quando eravamo amici. Nasce tutto un culto dei fatti del passato; riuniti alla sera, non siamo mai stanchi di ripetere le storie e gli aneddoti di un repertorio che anche le mogli sanno ormai da molto tempo a memoria.<<
G.
Inopinatamente l'ho citato nel momento stesso in cui si è diffusa la notizia della sua dipartita....Thiene, finale dipartita, Bologna, finale di partita. È da ieri che penso a questa casualità.
Ho un suo libro a casa autografo "A Giorgio Marrapodi. Lo Yeti, queste cose che surnuotano". Me lo ha portato Nambereit a Monza circa due anni fa. Strani incroci, Nambereit giocava con MenegoBao, credo il nipote più citato in "Libera nos a Malo". Ne parlavo lunedì sera ad alcuni colleghi e conoscenti che stavano ficcando il naso nella mia libreria qui a Saarbrücken. Mi capita in mano "La materia di Reading", e poi "Libera nos a Malo". Leggo il capitolo 30. Martedi mattina poi, aprite la finestra, lasciate volare via l'anima. Sarà un segno del destino? Mi mancano 4 anni per riuscire a scrivere un libro minimamente paragonabile a "Libera nos a malo" o per fondare un istituto in un'università. Altrimenti che senso ha?
A parte gli scherzi.....questo sottile filo rosso che lega Bologna e la morte di Meneghello ha una sua ragion d'essere: pensando a noi, alle nostre relazioni amichevoli, al legame che ci unisce non mi viene niente di meglio, di più solidamente calzante dell'incipit di questo capitolo 30 di "Libera nos a Malo". Meneghello ha parlato di noi, 33 anni prima che ci fossimo, lì a Bologna. Perché un capolavoro non smette mai di parlare agli uomini di tutti i tempi, come fosse stato scritto il giorno prima:
>>Che cosa succede col passare degli anni a una generazione organizzata nelle sue compagnie? Alcuni lasciano il paese, altri si assorbono nel lavoro e nelle famiglie, i nuclei perdono consistenza, l’intero senso della cosa si modifica senza che ce ne accorgiamo. Nel modo come ci andiamo cercando l’un l’altro, si vede ancora quanto erano forti i vincoli di una volta. Poche gioie sono migliori di quella che si prova incontrandosi con gli amici quando si torna chi alla domenica chi una volta al mese chi all’estate chi a caso. In fondo si pensa ancora che gli amici siano le persone più piacevoli che abbiamo conosciuto, quello con cui si starebbe insieme più volentieri; però si sente anche che questo pensiero è quasi solo un’abitudine. A volte pare che siamo amici perché eravamo amici; spesso non abbiamo molto da dirci, tranne parlare di quando eravamo amici. Nasce tutto un culto dei fatti del passato; riuniti alla sera, non siamo mai stanchi di ripetere le storie e gli aneddoti di un repertorio che anche le mogli sanno ormai da molto tempo a memoria.<<
G.