rugby e 11 settembre
Inviato: 12 set 2006, 9:41
L'11 settembre di ogni anno prendo in mano questo articolo di Antonio Liviero (pubblicato un mese dopo l'attentato), ho voluto quest'anno condividerlo con voi, magari non tutti sanno che quel giorno i terrosti avevano fatto i conti senza uno di noi.
MARK BINGHAM DORME SULLA COLLINA
Volo United Airlines 93. E' passato un mese dal giorno del terrore e della devastazione, da quell'11 settembre martedi buio della storia. Tra le grida d'aiuto e le disperate telefonate d'amore uscite dalle Torri gemelle di Manhattan in fiamme e dagli aerei dirottati, c'era anche la voce di Mark Bingham il cui atto di coraggio attraverso satelliti della Cnn, ha commosso il mondo.
Mark si trovava sul quarto aereo preso di mira dai terroristi, quello precipitato tra i campi a Sud Ovest della Pennsylvania e presumibilmente diretto a Camp David. Mark era uno di Noi. UNO DEL RUGBY.
Aveva 31 anni giocava nel San Francisco Fog dopo essere stato per sette anni nell'altra squadra di Frisco, l'Olimpic, nella prima divisione Californiana. Mark aveva un lavoro: responsabile delle relazioni pubbliche in una società americana e per questo divideva il suo tempo tra N.Y. e San Francisco. Per questo quella mattina era sul volo United Airlines 93. Ma se il suo destino si è incrociato in modo così eroico con quello dei terroristi di Bin Laden, al punto da farne fallire l'obiettivo, forse era solo perchè Mark Bingham era un giocatore di Rugby.
Quando i tre pirati dell'aria con la bandana rossa e i coltelli in pugno hanno preso il controllo dell'aereo, gridando di avere una boma e di stare calmi altrimenti l'avrebbero fatta esplodere, tra i passeggeri sono cominciate le prime telefonate ad amici e familiari. E c'è voluto poco per intuire quale fosse il loro destino, dopo aver appreso degli altri aerei schiantati contro le Tori gemelle ed il pentagono. A bordo è stato subito panico.
Un passeggero ha perso la calma si è lanciato contro i dirottatori finendo accoltellato. Non è quello che ci vuole deve aver pensato Mark Bingham. Lo schema lui ce l'aveva chiaro in testa. Non cose da public relations ma da partita vera. Deve aver pensato ad una ruck tra le nuvole a quelle mischie compatte, rugose, piene di rabbia che servivano a fermare i panzer dello Standford e del Berkeley in certe torride sfide di campionato. Ma stavolta senza nessun arbitro della baia a fischiare cravatte, stamping e cazzotti da moltiplicare a più non posso. Questo deve aver pensato Mark. Che si è guardato attorno. Ha scelto tre o quattro passeggeri fisicamente ben messi, tra i quali Jeremy Glick, 31 anni come lui seconda linea della Rochester University, conosciuto per caso su quel volo.
Ha parlato a bassa voce come un capitano nello spoglaitoio. Hanno messo ai voti la tattica d'attacco. Solo il tempo di una telefonata d'addio alle persone più care. Mark ha chiamato la madre: "voglio che tu sappia che ti voglio bene". L'ha tranquillizzata: "sono qui con altri due ragazzi grandi e grossi, sopra il metro e novanta. Cercheremo di fermarli. Stai tranquilla torno a casa". Poi è bastato uno sguardo e sono partiti all'attacco. La mischia più dura della loro carriera, a novemila metri per disarmare i terroristi fermati al prezzo della vita.
E' passato un mese. Dove riposano Mark e Jeremy? E gli altri 14 rugbysti scomparsi nell'attentato? Tutti, tutti dormono sulla collina, direbbe Lee Masters. Quella collina in cui riposano Weeb Ellis e Maci Battaglini, Ivan Francescato e i grandi spiriti del rugby.
MARK BINGHAM DORME SULLA COLLINA
Volo United Airlines 93. E' passato un mese dal giorno del terrore e della devastazione, da quell'11 settembre martedi buio della storia. Tra le grida d'aiuto e le disperate telefonate d'amore uscite dalle Torri gemelle di Manhattan in fiamme e dagli aerei dirottati, c'era anche la voce di Mark Bingham il cui atto di coraggio attraverso satelliti della Cnn, ha commosso il mondo.
Mark si trovava sul quarto aereo preso di mira dai terroristi, quello precipitato tra i campi a Sud Ovest della Pennsylvania e presumibilmente diretto a Camp David. Mark era uno di Noi. UNO DEL RUGBY.
Aveva 31 anni giocava nel San Francisco Fog dopo essere stato per sette anni nell'altra squadra di Frisco, l'Olimpic, nella prima divisione Californiana. Mark aveva un lavoro: responsabile delle relazioni pubbliche in una società americana e per questo divideva il suo tempo tra N.Y. e San Francisco. Per questo quella mattina era sul volo United Airlines 93. Ma se il suo destino si è incrociato in modo così eroico con quello dei terroristi di Bin Laden, al punto da farne fallire l'obiettivo, forse era solo perchè Mark Bingham era un giocatore di Rugby.
Quando i tre pirati dell'aria con la bandana rossa e i coltelli in pugno hanno preso il controllo dell'aereo, gridando di avere una boma e di stare calmi altrimenti l'avrebbero fatta esplodere, tra i passeggeri sono cominciate le prime telefonate ad amici e familiari. E c'è voluto poco per intuire quale fosse il loro destino, dopo aver appreso degli altri aerei schiantati contro le Tori gemelle ed il pentagono. A bordo è stato subito panico.
Un passeggero ha perso la calma si è lanciato contro i dirottatori finendo accoltellato. Non è quello che ci vuole deve aver pensato Mark Bingham. Lo schema lui ce l'aveva chiaro in testa. Non cose da public relations ma da partita vera. Deve aver pensato ad una ruck tra le nuvole a quelle mischie compatte, rugose, piene di rabbia che servivano a fermare i panzer dello Standford e del Berkeley in certe torride sfide di campionato. Ma stavolta senza nessun arbitro della baia a fischiare cravatte, stamping e cazzotti da moltiplicare a più non posso. Questo deve aver pensato Mark. Che si è guardato attorno. Ha scelto tre o quattro passeggeri fisicamente ben messi, tra i quali Jeremy Glick, 31 anni come lui seconda linea della Rochester University, conosciuto per caso su quel volo.
Ha parlato a bassa voce come un capitano nello spoglaitoio. Hanno messo ai voti la tattica d'attacco. Solo il tempo di una telefonata d'addio alle persone più care. Mark ha chiamato la madre: "voglio che tu sappia che ti voglio bene". L'ha tranquillizzata: "sono qui con altri due ragazzi grandi e grossi, sopra il metro e novanta. Cercheremo di fermarli. Stai tranquilla torno a casa". Poi è bastato uno sguardo e sono partiti all'attacco. La mischia più dura della loro carriera, a novemila metri per disarmare i terroristi fermati al prezzo della vita.
E' passato un mese. Dove riposano Mark e Jeremy? E gli altri 14 rugbysti scomparsi nell'attentato? Tutti, tutti dormono sulla collina, direbbe Lee Masters. Quella collina in cui riposano Weeb Ellis e Maci Battaglini, Ivan Francescato e i grandi spiriti del rugby.