Storia del campionato italiano e del super 10
Moderatore: Emy77
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Approfittando dei legami, invero un pò labili, tra Louis Babrow ed il campionato italiano, comunque sufficienti a restare in tema, non mi faccio sfuggire l'opportunità di scrivere su una degli uomini più importanti della storia del rugby sudafricano e mondiale. Nato il 24 aprile 1915 a Smithfield da padre russo e madre lituana emigrati in Sudafrica, è uno dei soli dieci giocatori di religione ebraica ad aver vestito la maglia della nazionale verdeoro (e tra questi è da ricordare il cugino di Babrow, Morris Zimerman, ala). Fece però le scuole primarie in un istituto cattolico, e il suo primo allenatore fu... una suora, Sister Anthony. Studiò medicina a e giocò per University of Cape Town e poi per Guy's Hospital, il più antico club del paese. Giocò, come centro, poche partite per gli Springboks, ma bastarono per consegnarlo alla leggenda. Infatti fece parte di quella che da molti è considerata la più forte nazionale sudafricana di tutti i tempi, quella che nel 1937 andò in tournée in Australia e Nuova Zelanda, disputando 26 partite, perdendone solo due, contro New South Wales (6-17) e la prima contro gli All Blacks (7-13 a Wellington). Poi tutte vittorie, compresi il secondo e terzo test contro la Nuova Zelanda, che fece degli Springbock la prima nazionale a vincere una serie su suolo neozelandese. Era una squadra piena di talenti, tra i quali spiccavano Phil Nel e Danie Craven. Babrow passò alla leggenda grazie all'incredibile prestazione fornita nel terzo e decisivo test match, che lo vide segnare due delle cinque mete che confezionarono il rotondo 17-6 finale. Babrow rischiò di saltare la prima partita di quella serie: ebreo osservante, non avrebbe né potuto né voluto disattendere gli obblighi previsti dallo Yom Hakkipurim. Riuscì però ad essere in campo perché si accorse che il fuso orario faceva cadere l'avvio del match prima dell'inizio del Yom Hakkipurim in Sudafrica... Il grande AH Carman, uno dei massimi scrittori neozelandesi di rugby rimase tanto ammirato dalle qualità e dalle prestazioni di Babrow da scrivere: "Babrow ha dimostrato di meritare il riconoscimento di miglior tre-quarti, veloce, guizzante ed inafferrabile. Controllo della palla perfetto... nessuno di noi aveva mai visto un giocatore fintare, padroneggiare l'ovale e passarlo così bene, facendo tutto questo ad una tale velocità". Grazie a quelle imprese è stato inserito tra i migliori cinquanta Springboks di tutti i tempi da Colquhon e Dobson, autori di un libro "Tha Chosen", best seller in Sudafrica. Babrow fu anche capitano dei Barbarians. Del suo ruolo di ufficiale dell'Ottava Armata ho scritto sopra. Nel dopoguerra fu membro del Torch Commando, un corpo guidato da Sailor Malan che si oppose al Nationalist Party e all'aparthaid da questo propugnato, fino alla soppressione voluta dal partito stesso. Fu allenatore dell'Università di Città del Capo dal 1949 al 1963 e nel 1949, in qualità di manager e coach della selezione delle Southern Universities, sfiorò una delle più clamorose imprese di tutti i tempi; perse infatti solo 9-11 contro gli All Blacks. Fu uno dei pochi allenatori bianchi ad occuparsi della formazione e della crescita dei giocatori di colore, sempre fortemente convinto della necessità di eliminare la separazione fra le due federazioni, la Sarb, gestita dai bianchi e la Saru, che tesserava i giocatori di colore (la barriera fu abbattuta solo nel 1991, con l'istituzione della Sarb). Louis Babrow, che è morto nel 2004, ebbe due figli che vennero a giocare in Italia; Nelson, del quale abbiamo tanto parlato in altri 3D, che portò luce rugbistica nel Petrarca, nella Roma e nel Frascati. E Peter, meno forte, che fu compagno del fratello nel 1973/74 nella Roma Rugby. Nelson fu tra i tre stranieri selezionati il 22 ottobre 1977 nel XV del Presidente, in pratica la nazionale italiana più Babrow, Pardiés e Naudé, che perse solo 9-17 (a cinque minuti dalla fine un calcio del rodigino Zuin portò il punteggio sul 9-10...) contro gli All Blacks, alla loro prima partita in Italia. Si giocò all'Appiani di Padova, stracolmo di folla e la meta italian fu segnata da Nello Francescato, che due anni dopo si sarebbe ripetuto contro i neozelandesi a Rovigo.
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E quando ce la racconti?GRUN ha scritto:Di altre partite particolari, giocate in condizioni estreme nel corso della seconda guerra mondiale si ha ancora memoria; in particolare si rammenta un torneo giocato nel campo di prigionia di Thorn, in Polonia, la cui storia meriterebbe un capitolo a parte, tanto è emozionante.
Tuck figlio di Thak del Brixiashire
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Grun,
volevo dirti con affetto che non ti sopporto, e la prossima volta che mi inviti a mangiare, cerca di farlo con un po' di anticipo: non posso essere uno utile solo per tappare i buchi. Detto questo, muoviti a raccontare questa storia che hai anticipato, per piacere. Sembri quelli che fanno vedere una bistecca succulenta a un cane e poi gliela nascondono. Ma ricorda che qui siamo tutti rottweiler.
volevo dirti con affetto che non ti sopporto, e la prossima volta che mi inviti a mangiare, cerca di farlo con un po' di anticipo: non posso essere uno utile solo per tappare i buchi. Detto questo, muoviti a raccontare questa storia che hai anticipato, per piacere. Sembri quelli che fanno vedere una bistecca succulenta a un cane e poi gliela nascondono. Ma ricorda che qui siamo tutti rottweiler.
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Saluto il morbido tappabuchi sanscrito e prometto che la prossima volta lo avviserò per tempo, sempre sperando di non incorrere nelle ire funeste della di lui consorte... Per soddisfare la sua curiosità e quella di Tucker, vado un pò fuori tema e parlo del famoso torneo di Thorn (o Torun). Nei pressi di questa città polacca, nota per il centro storico medievale e situata a nord est, più o meno a metà strada tra Danzica e Varsavia, il Comando Tedesco collocò lo Stalag XX A, un campo di prigionia che utilizzava anche una struttura fortificata costruita dai Prussiani nel secolo precedente. Il campo, che inizialmente, nel 1939 e 1940, aveva ospitato prigionieri polacchi, venne ampliato per accogliere, si fa per dire, i soldati inglesi catturati in Norvegia e poi militari di altre nazionalità, tra i quali francesi, cechi, australiani, sudafricani, neozelandesi, russi e dopo l'otto settembre 1943, italiani. Nel 1943 arrivò ad avere più di 10000 presenze. Malgrado le condizioni di prigionia fossero molto dure e molti militari catturati fossero impiegati come mano d'opera a costo zero nelle segherie e nelle industrie della zona, da un rapporto della Croce Rossa si evince che lo stato generale delle strutture era migliore che in altri campi, l'alimentazione e l'igiene venivano minimamente, ma sufficientemente garantite ed ai prigionieri erano consentite attività altrove impensabili. In ambito sportivo vennero organizzati match di pugilato e di calcio, ma fu soprattutto il rugby a scrivere pagine memorabili. Per iniziativa dei soldati sudafricani, che nel 1943 ammontavano ormai a più di quattrocento, si pensò di giocare un torneo che coinvolgesse tutte le nazioni presenti e che avevano tradizione rugbistica. Gli spazi per giocare non mancavano ed in breve tempo vennero costruite con dei pali le H e tracciate, con della sabbia, le linee per demarcare il terreno di gioco. In poche settimane vennero allestite otto squadre e si procedette alla compilazione del calendario. Desiderosi di garantire a se stessi la massima dignità e di dare anche un segnale forte ai tedeschi, i sudafricani s'ingegnarono per scendere in campo con un abbigliamento in qualche modo apparentabile a quello che in tempi più sereni veniva sfoggiato dagli springboks. Per ottenere delle casacche verde oro chiesero aiuto ad un sarto. Questi si fece consegnare dall Croce Rossa dei camici bianchi inutilizzati e li fece bollire con delle divise verdi di militari russi trasferiti altrove. Sottoposte ad ebollizione le giubbe russe scolorirono e tinsero di un verde tenue i camici della Croce Rossa, ottenendo la tinta desiderata. Per ottenere le strisce color oro che sono sulla maglia della nazionale sudafricana arrivarono i suggerimenti di alcuni medici, i quali proposero di fare bollire delle pastiglie anti malaria. La soluzione ottenuta venne distribuita sulle maglie verdi, macchiandole in modo accettabile e credibile. Il dilemma più grande e doloroso si pose al momento di scegliere con quali calzature giocare. Ai prigionieri di guerra veniva infatti consentito di continuare ad usare gli stivali o gli scarponi del proprio esercito, un beneficio fondamentale, specie in una zona fredda con terreni fangosi o ghiacciati quale quella che ospitava il campo di Thorn. Dopo varie discussioni ed accenni di allenamento, si decise che le calzature erano troppo pesanti per per giocare in modo adeguato e troppo preziose in quelle lande desolate. Così i ruggers scelsero l'opzione più... eroica: giocarono, nel tremendo inverno della Polonia settentrionale, a piedi nudi... La formazione sudafricana, che vinse il torneo, era comunque di livello tecnico altissimo: a guidarla dalla panchina c'erano gli ex springbocks Bill Payn e Theo Pienaar. In campo il punto di riferimento era uno dei più grandi rugbisti della storia sudafricana, Okey Geffin, che nel 1949 sarebbe stato il top scorer nella serie contro gli All Blacks. Geffin avrebbe ricordato negli anni seguenti come siano state importanti per lui quelle iniziative nel campo di prigionia: infatti, per mantenersi in allenamento, costringeva, quando trovava tempo e permessi, dei poveri disgraziati a scendere su quello spiazzo fangoso e sconnesso che chiamavano campo da gioco, per esercitarsi sugli "skills". Alla fine di queste sedute, Geffin non si faceva mancare una razione di drop, calci di spostamento e di piazzati, tutti effettuati a piedi nudi, naturalmente...
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Dal 1943 al 1945 non si giocano in Italia partite ufficiali. Solo amichevoli, all'inizio con rappresentative dell'Ottava Armata, poi tra squadre italiane. A Rovigo il tre settembre 1945 i bersaglieri, con Maci Battaglini (che aveva vissuto la drammatica campagna di Russia) in campo, giocano con una selezione del 255° reggimento inglese, che era stanziata a Padova (per la cronaca vittoria dei rodigini per 38-3). Ma è a Roma che si riprende prima a divertirsi con la palla ovale e ad organizzarsi per la ripresa delle attività ufficiali. Dal nulla, già nel 1944, sorgono numerose squadre, che poi diventano società affiliate, anche se è la ricostituita Rugby Roma a proporsi come faro nella capitale, richiamando molti giocatori che l'avevano resa grande negli anni trenta, accogliendo volti nuovi e scegliendo come guida tecnica, da affiancare a Vinci, l'ufficiale sudafricano Hearn, che insegnerà rugby per due anni ai romani. La liberazione e la fine delle ostilità garantiscono la possibilità di riprendere a giocare in tutta Italia, anche se la ripartenza è lenta e difficile. In ogni società si abbassa e si abbruna la bandiera, tutti devono contare morti e dispersi. Giocatori importanti, che avevano fatto la storia del rugby italiano negli anni antecedenti alla guerra, non ci sono più: il nome più noto è quello della terza linea Arturo Re Garbagnati, colonna dell'Amatori Milano e della nazionale. I disagi della ripresa sono quelli di tutte le discipline sportive: il paese è distrutto, le comunicazioni sono problematiche, mancano i soldi per i bisogni primari, figuriamoci se si trovano con facilità per attività ludiche. Lo sport italiano sconta poi una strutturazione ed un'articolazione delle attività formative ed agonistiche che lo condizioneranno pesantemente anche negli anni a venire. Tutte le discipline erano state, specie dal 1930, guidate e gestite da organismi che erano filiazioni del partito fascista, con dirigenti del partito preposti al controllo e all'organizzazione. Dal 1945 in avanti lo sport italiano si deve dotare di nuove strategie, le società sono libere ed affidate al volontariato, ma anche prive, almeno negli anni immediatamente successivi al conflitto, di quei finanziamenti e di quelle attenzioni, anche in ambito di gestione e manutenzione degli impianti, dei quali avevano potuto godere durante il ventennio. Si determina così in quel periodo una sorta di palingenesi culturale che farà dello sport italiano un unicum nel panorama europeo, con conseguenze che perdurano ancora oggi. L'attività di base sarà affidata a società, di ispirazioni ideologiche o di altra natura molto differenziate a seconda dei vari contesti di azione, gestite da volontari ed appassionati e finanziate da dirigenti munifici, talvolta da sponsor, e, dalla fine degli anni quaranta, dai proventi distribuiti alle varie federazioni dal Coni e garantiti dalle entrate del concorso a premi del Totocalcio. Un'altra peculiarità, che in occidente si palesa solo in Italia, è la presenza massiccia di squadre aziendali e di gruppi sportivi facenti capo, specie per discipline olimpiche, ma non solo (e il rugby lo verificherà presto), a gruppi militari. Ma il tratto culturale e sociale che più appare evidente è lo iato che dal dopoguerra in poi si viene a creare nel nostro paese tra scuola e sport. La scuola, quando non ostacola, demanda ad altri il compito di far svolgere attività fisiche connesse a progetti ludico-formativi ed agonistici e non saranno certo le ridicole due ore di educazione fisica settimanali comuni a tutti gli istituti ed i posteriori Giochi della Gioventù a mutare i termini di questo rapporto (o non rapporto).
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Il rugby sconta inoltre una pena che è solo sua e che ne limiterà, in alcune aree geografiche ed in alcuni ambienti sociali, diffusione e credibilità. Sport amato dai gerarchi (specie da Starace), sorta di strumento ideale per la formazione del giovane fascista, "intrepido e virile", per anni disciplina importante dei Littoriali, il rugby verrà per molto tempo e da molti identificato come "gioco fascista", e nell'infuocato dopoguerra questa egida negativa comporterà conseguenze di non poco conto. Inoltre, a rendere il respiro ancora più corto, sarà la non appartenenza al novero degli sport olimpici, con relativi finanziamenti del Coni più ridotti rispetto a quelli garantiti ad altre discipline che godranno della vetrina olimpica e capaci di portare medaglie ed avere, almeno una volta ogni quattro anni, grande e diffuso seguito popolare e prestigio.
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Grun, grazie della tua gentile disponibilità a raccontarci quello che nessuno o quasi sembra ricordarsi, nei piani alti della nostra Federazione.
Spero anche, questo serva a dare radici solide e durature al movimento, dopo questa inopinata e grottesca sbornia di finta "storicità" usata a vanvera e in maniera grottesca da tutti, sia meritevoli (pochi) che ubriachi sul carro del vincitore e vetture aggiunte (moltissimi)
Perdona la rabbia di un vecchio passionale e ti prego continua.
Spero anche, questo serva a dare radici solide e durature al movimento, dopo questa inopinata e grottesca sbornia di finta "storicità" usata a vanvera e in maniera grottesca da tutti, sia meritevoli (pochi) che ubriachi sul carro del vincitore e vetture aggiunte (moltissimi)
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Malgrado tutte le difficoltà, tutti gli impedimenti, tutti i disagi, si riprende. La federazione si ricostituisce ufficialmente nel 1946 ed il 19 marzo si conferma presidente, dopo Assemblea, Furio Cicogna, già massimo dirigente dell'Amatori Milano. Le società iscritte risultano 64 ed il massimo campionato si struttura, per ovviare alle enormi difficoltà economiche e di movimento, con l'organizzazione della Coppa Alta Italia, suddivisa in quattro gironi ed i Campionato del Centro Sud, che prevede il Campionato Romano (per dare un'idea dell'effervescenza nella capitale basti dire che partecipano ben cinque squadre cittadine, la Rugby Roma, l'Olympic '44, la Juventus, la Goliardica e l'Amatori Lazio9 ed il Campionato Campano, al quale però risulta iscritta... una sola squadra, il Napoli (la Partenope verrà fondata alcuni anno dopo).
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Grun volevo ringraziarti per il msg pvt di ieri.
Non sono molti anni che seguo il rugby e perciò i consigli che mi hai dato approposito del thread Roy Bish mi hanno consentito di scoprire e di leggere (per il momento sono arrivato a pag 20) un sacco di cose bellissime che per me, sebbene nato nel 68, sono comunque nuove.
Inoltre mi hai fatto scoprire che vari utenti del forum hanno condiviso con te e contribuito attivamente con i loro ricordi e con le loro esperienze a rendere veramente unici alcuni eventi del rugby del passato.
Infine, volevo aggiungere che i rilevamenti Auditel di questo thread a tua disposizione non sono corretti: so che tu mi capisci .
Tutto qua.
Grazie.
Andrea
Non sono molti anni che seguo il rugby e perciò i consigli che mi hai dato approposito del thread Roy Bish mi hanno consentito di scoprire e di leggere (per il momento sono arrivato a pag 20) un sacco di cose bellissime che per me, sebbene nato nel 68, sono comunque nuove.
Inoltre mi hai fatto scoprire che vari utenti del forum hanno condiviso con te e contribuito attivamente con i loro ricordi e con le loro esperienze a rendere veramente unici alcuni eventi del rugby del passato.
Infine, volevo aggiungere che i rilevamenti Auditel di questo thread a tua disposizione non sono corretti: so che tu mi capisci .
Tutto qua.
Grazie.
Andrea
"I think It's time ..." (Raphaël Ibañez)
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Un grazie a GRUN per questo altro pezzo di storia del rugby italiano che ci ha inviato:
"Al nord i quattro gironi della Coppa Alta Italia sono composti da quattro squadre milanesi (l'Amatori aveva infatti iscritto, in due gironi diversi, due formazioni), tre torinesi, il Rugby Genova, due bolognesi, Parma, Rovigo, Rugby Padova, Udinese e due triestine, l'Edera, polisportiva storica che fu anche campione d'Italia nel 1948 con la squadra di hockey a rotelle e da un'altra polisportiva, la Giovinezza, della quale ho già parlato precedentemente, che aggregandosi poi nel 1946 alla Lega Nazionale rappresentò gli italiani più fortemente avversi alla presenza jugoslava nella città giuliana. La presenza di tre società del Friuli Venezia Giulia smentisce le convinzione, forte in molti, che quell'area sia priva di tradizione e di radici rugbistiche, come anche dimostrerà negli anni a venire la presenza in squadre di alto livello e in nazionale di alcuni grandi giocatori friulani, quali ad esempio i fratelli De Anna (senza dimenticare l'epopea in terra di Francia dei fratelli Spanghero, figli di emigrati ed autentiche leggende del rugby d'oltralpe). Purtroppo negli anni cinquanta il rugby sarebbe stato cancellato dal programma delle polisportive triestine e l'Udinese non sarebbe stata in grado di strutturarsi in maniera tale da dare seguito al primo impulso del progetto. L'assenza di società capaci di fungere da riferimento sicuro avrebbe così impedito al Friuli Venezia Giulia di sfruttare l'enorme potenziale umano disponibile (con conseguenti vantaggi per basket e pallamano...) e di creare una cultura rugbistica davvero diffusa e condivisa e non limitata ad enclaves.
Alle semifinali accedono Ginnastica Torino, Rovigo, Amatori Milano e Bologna. Si giocano partite di andata e ritorno e alla finale della Coppa giungono Ginnastica Torino, che elimina Rovigo (10-13 e 9-0) ed Amatori (35-6 e 11-0 rifilati a Bologna). La finale della Coppa Alta Italia registra il netto successo di Milano, che asfalta la Ginnastica per 22-0 e 14-5. Le finali del Campionato centro Sud si articolano grazie ad un gironcino a tre squadre, Rugby Roma, Olympic '44 e Napoli, vinto, come da pronostico, ma non senza qualche sofferenza dalla titolata Rugby Roma. In finale però i capitolini cedono nettamente all'Amatori Milano, che si aggiudica il doppio confronto per 20-0 e 12-3, potendo contare sull'apporto di molti giocatori del gruppo storico (Testoni, Visentin, Centinari II, per citarne solo alcuni) e di qualche nuovo innesto."
"Al nord i quattro gironi della Coppa Alta Italia sono composti da quattro squadre milanesi (l'Amatori aveva infatti iscritto, in due gironi diversi, due formazioni), tre torinesi, il Rugby Genova, due bolognesi, Parma, Rovigo, Rugby Padova, Udinese e due triestine, l'Edera, polisportiva storica che fu anche campione d'Italia nel 1948 con la squadra di hockey a rotelle e da un'altra polisportiva, la Giovinezza, della quale ho già parlato precedentemente, che aggregandosi poi nel 1946 alla Lega Nazionale rappresentò gli italiani più fortemente avversi alla presenza jugoslava nella città giuliana. La presenza di tre società del Friuli Venezia Giulia smentisce le convinzione, forte in molti, che quell'area sia priva di tradizione e di radici rugbistiche, come anche dimostrerà negli anni a venire la presenza in squadre di alto livello e in nazionale di alcuni grandi giocatori friulani, quali ad esempio i fratelli De Anna (senza dimenticare l'epopea in terra di Francia dei fratelli Spanghero, figli di emigrati ed autentiche leggende del rugby d'oltralpe). Purtroppo negli anni cinquanta il rugby sarebbe stato cancellato dal programma delle polisportive triestine e l'Udinese non sarebbe stata in grado di strutturarsi in maniera tale da dare seguito al primo impulso del progetto. L'assenza di società capaci di fungere da riferimento sicuro avrebbe così impedito al Friuli Venezia Giulia di sfruttare l'enorme potenziale umano disponibile (con conseguenti vantaggi per basket e pallamano...) e di creare una cultura rugbistica davvero diffusa e condivisa e non limitata ad enclaves.
Alle semifinali accedono Ginnastica Torino, Rovigo, Amatori Milano e Bologna. Si giocano partite di andata e ritorno e alla finale della Coppa giungono Ginnastica Torino, che elimina Rovigo (10-13 e 9-0) ed Amatori (35-6 e 11-0 rifilati a Bologna). La finale della Coppa Alta Italia registra il netto successo di Milano, che asfalta la Ginnastica per 22-0 e 14-5. Le finali del Campionato centro Sud si articolano grazie ad un gironcino a tre squadre, Rugby Roma, Olympic '44 e Napoli, vinto, come da pronostico, ma non senza qualche sofferenza dalla titolata Rugby Roma. In finale però i capitolini cedono nettamente all'Amatori Milano, che si aggiudica il doppio confronto per 20-0 e 12-3, potendo contare sull'apporto di molti giocatori del gruppo storico (Testoni, Visentin, Centinari II, per citarne solo alcuni) e di qualche nuovo innesto."
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Ancora grazie a GRUN
"La precarietà regna inevitabile sovrana. Racconti picareschi ravviveranno negli anni a venire la memoria di quei giorni. In molte squadre si accolgono come giocatori e dirigenti uomini di buona volontà, che magari non avevano mai visto fino ad allora una palla ovale, poiché dotati di automobile o in grado di portare generi alimentari da mettere a diposizione dei compagni finiti gli allenamenti. Alcuni iniziano a giocare a rugby perché hanno sentito dagli amici che si possono mangiare pane, salumi e formaggio e bere vino dopo le partite... Le foto di squadre dell'epoca evidenziano l'impressionante magrezza di molti giocatori, facendo sorgere spontaneo il dubbio su chi si andasse ad accoccolare in prima linea... Le trasferte, anche se di pochi chilometri, si configurano spesso come odissee contadine, con giocatori, tecnici e dirigenti, costretti a scendere dal treno, sul quale si viaggia in terza classe col conforto delle leggendarie panchette di legno, e fare lunghi tratti a piedi, a causa dell'interruzione delle linee ferroviarie, ancora devastate dai bombardamenti della guerra. Durante queste passeggiate di emergenza molti colgono l'occasione per spogliare gli alberi da frutta trovati sul percorso, col corollario di fantozziane dissenterie pre gara... In altre occasioni si utilizzano, invece che i treni, vecchi camion militari, scoperti e con panchine laterali, che portano a destinazione giocatori inciucchiti dal freddo, dalla fame, dai sobbalzi su strade dissestate e polverose. Nel girone C, quello con le squadre del Friuli Venezia Giulia e il Rugby Padova, molti match saltano perché la squadra in trasferta non ha la possibilità di raggiungere il campo gara. Nel girone D il Parma, nella partita di ritorno col Bologna, abbandona il terreno di gioco per protesta nei confronti delle decisioni arbitrali. Nel Campionato Campano il Napoli è l'unico iscritto e aspetta beckettianamente per mesi un avversario da affrontare... Se Comencini avesse conosciuto il rugby, in quei giorni averbbe ricevuto molti spunti."
"La precarietà regna inevitabile sovrana. Racconti picareschi ravviveranno negli anni a venire la memoria di quei giorni. In molte squadre si accolgono come giocatori e dirigenti uomini di buona volontà, che magari non avevano mai visto fino ad allora una palla ovale, poiché dotati di automobile o in grado di portare generi alimentari da mettere a diposizione dei compagni finiti gli allenamenti. Alcuni iniziano a giocare a rugby perché hanno sentito dagli amici che si possono mangiare pane, salumi e formaggio e bere vino dopo le partite... Le foto di squadre dell'epoca evidenziano l'impressionante magrezza di molti giocatori, facendo sorgere spontaneo il dubbio su chi si andasse ad accoccolare in prima linea... Le trasferte, anche se di pochi chilometri, si configurano spesso come odissee contadine, con giocatori, tecnici e dirigenti, costretti a scendere dal treno, sul quale si viaggia in terza classe col conforto delle leggendarie panchette di legno, e fare lunghi tratti a piedi, a causa dell'interruzione delle linee ferroviarie, ancora devastate dai bombardamenti della guerra. Durante queste passeggiate di emergenza molti colgono l'occasione per spogliare gli alberi da frutta trovati sul percorso, col corollario di fantozziane dissenterie pre gara... In altre occasioni si utilizzano, invece che i treni, vecchi camion militari, scoperti e con panchine laterali, che portano a destinazione giocatori inciucchiti dal freddo, dalla fame, dai sobbalzi su strade dissestate e polverose. Nel girone C, quello con le squadre del Friuli Venezia Giulia e il Rugby Padova, molti match saltano perché la squadra in trasferta non ha la possibilità di raggiungere il campo gara. Nel girone D il Parma, nella partita di ritorno col Bologna, abbandona il terreno di gioco per protesta nei confronti delle decisioni arbitrali. Nel Campionato Campano il Napoli è l'unico iscritto e aspetta beckettianamente per mesi un avversario da affrontare... Se Comencini avesse conosciuto il rugby, in quei giorni averbbe ricevuto molti spunti."
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Sempre da parte di GRUN
"Il campionato 1946/47 si disputa in condizioni più razionali; la ripresa del paese è rapida ed anhe il rugby ne beneficia. Si organizzano due gironi; nell'A ci sono Ginnastica Torino, Parma, Amatori Milano, Rugby Genova e Rugby Milano, anche in quest'ordine nella classifica finale. Il girone B vede la partecipazione di Rovigo, Bologna, Rugby Roma e Giovinezza Trieste. In realtà sarebbe iscritto anche il Rugby Padova, che però si ritira prima ancora che cominci il campionato, per protesta contro la Federazione, rea di aver ratificato il trasferimento di quattro "suoi" giocatori ad altre società. Tre di questi approdano a Rovigo e uno di loro, Piero Stievano, si rivelerà nelle stagioni successive, uno dei tre quarti più talentuosi della storia del rugby italiano. Velocissimo e tecnico, avrà la possibilità di giocare solo otto test con la maglia della nazionale, penalizzato dall'assenza quasi totale di contatti internazionali della quale sarà necessario parlare. Al girone finale arrivano Ginnastica Torino, Bologna, Rovigo e Parma. Lo scorrere dei nomi delle squadre evidenzia che è in atto un rivolgimento epocale, con realtà di provincia sempre più agguerrite e determinate, anche se lo scudetto finisce sulla maglia della Ginnastica Torino, guidata da Vincenzo Bertolotto, forte seconda linea anche della nazionale (sei caps). A testimoniare la crescita esponenziale del fenomeno rugby in quelle piccole città destinate a dominare la scena nei decenni seguenti, c'è l'esame della realtà rodigina, ancora una volta assumibile come paradigma. Oltre alla Rugby Rovigo, sono, nel 1946, affiliate alla Federazione la Laur, il Rhodigium, la Fulgor e gli Esploratori Boys, tutte impegnate nei campionati minori, ma capaci di creare quel sedimento storico e culturale del quale trarrà vantaggio anche la società più importante e rappresentativa."
"Il campionato 1946/47 si disputa in condizioni più razionali; la ripresa del paese è rapida ed anhe il rugby ne beneficia. Si organizzano due gironi; nell'A ci sono Ginnastica Torino, Parma, Amatori Milano, Rugby Genova e Rugby Milano, anche in quest'ordine nella classifica finale. Il girone B vede la partecipazione di Rovigo, Bologna, Rugby Roma e Giovinezza Trieste. In realtà sarebbe iscritto anche il Rugby Padova, che però si ritira prima ancora che cominci il campionato, per protesta contro la Federazione, rea di aver ratificato il trasferimento di quattro "suoi" giocatori ad altre società. Tre di questi approdano a Rovigo e uno di loro, Piero Stievano, si rivelerà nelle stagioni successive, uno dei tre quarti più talentuosi della storia del rugby italiano. Velocissimo e tecnico, avrà la possibilità di giocare solo otto test con la maglia della nazionale, penalizzato dall'assenza quasi totale di contatti internazionali della quale sarà necessario parlare. Al girone finale arrivano Ginnastica Torino, Bologna, Rovigo e Parma. Lo scorrere dei nomi delle squadre evidenzia che è in atto un rivolgimento epocale, con realtà di provincia sempre più agguerrite e determinate, anche se lo scudetto finisce sulla maglia della Ginnastica Torino, guidata da Vincenzo Bertolotto, forte seconda linea anche della nazionale (sei caps). A testimoniare la crescita esponenziale del fenomeno rugby in quelle piccole città destinate a dominare la scena nei decenni seguenti, c'è l'esame della realtà rodigina, ancora una volta assumibile come paradigma. Oltre alla Rugby Rovigo, sono, nel 1946, affiliate alla Federazione la Laur, il Rhodigium, la Fulgor e gli Esploratori Boys, tutte impegnate nei campionati minori, ma capaci di creare quel sedimento storico e culturale del quale trarrà vantaggio anche la società più importante e rappresentativa."
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Ancora da parte di GRUN:
"Finito il campionato 1946/47 va però via da Rovigo il giocatore più rappresentativo, Massimo Battaglini, detto Maci, diminutivo di Maciste, soprannome meritato grazie al suo fisico, all'epoca impressionante. Tanto per fornire un'idea delle "dimensioni" dei giocatori di quel rugby, il peso complessivo del pacchetto di mischia delle nazionali italiane schierate da Saby è inferiore ai 600 kg... Battaglini era stato scoperto dai francesi nell'aprile del 1946, quando il Comité Lyonnais aveva accettato di giocare due partite, una il 24 all'Arena di Milano contro una selezione dell'Italia del nord ovest rafforzata da giocatori romani (vittoria dei francesi per 38-17), l'altra tre giorni dopo a Bologna contro una selezione del nord est, comprendente anche due giocatori romani (vittoria dei lionesi per 21-14 e undici punti, al piede, di Battaglini, che era un ottimo calciatore). Dopo una partita giocata a Parigi contro il Red Star Olympique dall'Amatori Milano, che aveva chiesto il rodigino in prestito, Battaglini viene convinto dal basco Etchebarry, allenatore del Vienne, prima divisione francese, a trasferirsi oltralpe, con la promessa di avere casa e lavoro (autista per una ditta di consegne a domicilio). Maci accetta e si trasferisce, primo di una lunga lista di giocatori italiani, dei quali riparleremo, che avrebbero conosciuto il dispatrio, più per la necessità di trovare un impiego e di sfuggire alla povertà che per desiderio di venire a contatto con realtà rugbisticamente più evolute. Etchebarry rimane colpito dalle qualità atletiche del rodigino, ma anche dalla sua incompletezza tecnica, ancora più sbalorditiva se verificata su un giocatore che era stato campione d'Italia ed aveva vestito la maglia della nazionale. Questo testimonia di quanto ampia si fosse fatta la divaricazione tra il nostro rugby e quello francese. "
"Finito il campionato 1946/47 va però via da Rovigo il giocatore più rappresentativo, Massimo Battaglini, detto Maci, diminutivo di Maciste, soprannome meritato grazie al suo fisico, all'epoca impressionante. Tanto per fornire un'idea delle "dimensioni" dei giocatori di quel rugby, il peso complessivo del pacchetto di mischia delle nazionali italiane schierate da Saby è inferiore ai 600 kg... Battaglini era stato scoperto dai francesi nell'aprile del 1946, quando il Comité Lyonnais aveva accettato di giocare due partite, una il 24 all'Arena di Milano contro una selezione dell'Italia del nord ovest rafforzata da giocatori romani (vittoria dei francesi per 38-17), l'altra tre giorni dopo a Bologna contro una selezione del nord est, comprendente anche due giocatori romani (vittoria dei lionesi per 21-14 e undici punti, al piede, di Battaglini, che era un ottimo calciatore). Dopo una partita giocata a Parigi contro il Red Star Olympique dall'Amatori Milano, che aveva chiesto il rodigino in prestito, Battaglini viene convinto dal basco Etchebarry, allenatore del Vienne, prima divisione francese, a trasferirsi oltralpe, con la promessa di avere casa e lavoro (autista per una ditta di consegne a domicilio). Maci accetta e si trasferisce, primo di una lunga lista di giocatori italiani, dei quali riparleremo, che avrebbero conosciuto il dispatrio, più per la necessità di trovare un impiego e di sfuggire alla povertà che per desiderio di venire a contatto con realtà rugbisticamente più evolute. Etchebarry rimane colpito dalle qualità atletiche del rodigino, ma anche dalla sua incompletezza tecnica, ancora più sbalorditiva se verificata su un giocatore che era stato campione d'Italia ed aveva vestito la maglia della nazionale. Questo testimonia di quanto ampia si fosse fatta la divaricazione tra il nostro rugby e quello francese. "