Grazie per l'intervento pacato e coinvolgente, almeno così mi è parso.sandrobandito ha scritto:Caro Calep, ho letto con attenzione tutto quello che è stato scritto, in particolare da te, sull'argomento.
Già dopo aver letto il topic ho avuto il dubbio di aver capito di cosa si volesse parlare, ma il modo in cui hai posto delle domande mi ha fatto presumere che avesse a che fare con l'evoluzione di questo sport. Dopo esser intervenuto ho valutato le tue risposte, a me e a quanti esponevano ragionamenti e congetture circa cosa è giusto e cosa no.
Dalle tue ultime esternazioni però, colgo un paio di problemi in ordine alla comunicazione dovuti ad almeno due fatti:
- sport, attività agonistica, professionismo applicato allo sport, non sembra essere concetti percepiti con convenzioni condivise dagli interlocutori, ciò pregiudica un dialogo costruttivo;
- non ho trovato nelle tue opinioni delle posizioni chiare in merito a obiettivi e soluzioni, spesso invece paragoni inquietanti e critiche poco costruttive alle proposte altrui.
A questo punto mi sento di dare un pò di ordine a quanto ho intuito nonostante tutto, ma magari te lo scrivo un'altra volta. Tu intanto prova a scrivere in maniera più esplicita che vorresti vedere il rugby in televisione come il calcio, e lobotomizzare generazioni di ragazzini facendogli credere che l'aspetto ludico è legato più al gioco che allo sport...
Mi inviti ad essere più chiaro. Pur pensando di essermi già espresso, cercherò di essere più esplicito.
Ovviamente, avevo anche prima di aprire il topic le mie idee in merito, ma mi chiedevo come la pensassero altri.
In sintesi e senza che qualcuno si offenda, credo che la Provincia abbia salvato il rugby in Italia. Senza le tante società e club nati nel dopoguerra e successivamente nell'Italia di provincia dove la guerra non aveva prodotto quei drammi sul tessuto sociale delle grandi città che spostavano attenzioni in altre direzioni, forse il rugby si sarebbe dissolto. Nella provincia italiana il rugby, sport di combattimento ed ispirato ad una sana etica sociale, ha trovato il veicolo della rivalsa sulle grandi città, le metropoli, riorganizzandosi e trovando una seconda giovinezza. Qui sono diventate adulte molte società nate prima della guerra e ne sono sorte nuove costituendo per i successivi 50 anni la colonna vertebrale del movimento.
Con l'arrivo del professionismo l’assetto del rugby, non solo nazionale, è mutato con effetti diversi da paese a paese, creando minori criticità, forse, dove il rugby aveva una struttura ed una tradizione già consolidata come nell’area anglosassone, piuttosto che in Francia..
In Italia è emersa, con tutta la sua evidenza, la difficoltà di reperire le risorse finanziarie ed economiche adeguate per sostenere un assetto rugbystico professionistico. Per alcuni anni proprio nella provincia il movimento ha spesso trovato il conforto della piccola e media industria, del terziario e dei contoterzisti che proprio nella provincia hanno trovato spesso la residenza ideale per le proprie attività.
Ora sappiamo quale sia la situazione economica mondiale e nazionale, il tessuto industriale italiano è in sofferenza da qualche anno, i produttori conto terzi si spostano verso altri paesi pressati dalla globalizzazione incalzante, i grandi gruppi dismettono e le forme di finanziamento per lo sport, inevitabilmente, regrediscono.
In questo conteso l’enfasi assunta sempre più dalla televisione, a torto o a ragione, nella quotidianità delle famiglie, si è dimostrato un possibile efficace veicolo di sponsorship per molti sport che sui diritti televisivi hanno costruito buona parte della propria attuale saluta economica.
Per sfruttare questa leva è necessario, inevitabilmente, del successo sportivo, del campione, dell’evento da poter vendere a milioni di spettatori disposti, quindi, a pagare canoni ed abbonamenti pur di assistere all’avvenimento eclatante.
Come può il rugby entrare in questa spirale economico finanziaria che, non credo, si possa permettere di snobbare?
Due settimane fa SKY che solitamente trasmette la partita di HC della sola franchigia italiana che gioca in casa, decise di trasmettere le partite di entrambe le squadre, Aironi e Treviso. Dopo la strapazzata di Clermont, nell’ultimo turno di HC, SKY ha trasmesso solo Treviso, casualità?
Come potrebbero pensare di entrare in questo giro virtuoso le squadre che partecipano all’Amlin Cup perdendo sempre e comunque con qualunque formazione incontrino?
Ecco che sorge la domanda, può ancora la provincia, da sola, consentire al rugby professionistico di far lievitare ulteriormente il proprio livello, la qualità delle proprie performance per poter aspirare ad entrare nel gotha dello sponsorship televisivo o servono altre formule, è auspicabile che rientrino nel rugby di eccellenza le grandi città, sarebbe opportuno ottimizzare le sinergie di molti club facendoli confluire in uniche franchigie territoriali?
Insomma, quale percorso è auspicabile possa intraprendere il rugby italiano per crescere ulteriormente?
In merito, posto il link di un interessante recente intervista a un grande uomo del rugby italiano.
Ad maiora
http://ilgrillotalpa.com/2012/01/18/mil ... r-uscirne/