L'Economist e la situazione del rugby italiano
Moderatore: Emy77
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Luqa-bis
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
beh sai, Garryowen, c'è sempre qualcuno che cita la pallacorda o il pallone al bracciale dimenticando che sono precedenti al rugby... potevi aver praticato forse anche la palla al maglio in gioventù.
Per tornare su quanto espresso da Giuseppone64
ma il problema per il rugby o per lo sport italiano?
Perchè (sempre modello lista della spesa):
1. chi stila la graduatoria Global Sport Index dichiara d iaver rilevato che:
a) il 34% dei successi sportivi dipende dal numero di abitanti (e quindi se vogliamo 1/3 dell fortune di una disciplina dipende dal n praticanti)
b) il 17% dal livello economico del paese (GDP) e quindi, se vogliamo circa 1/6 dei successi dipende dal giro economico che is ha in quella disciplina
2. A livello sportivo, restiamo uno dei paesi tra i primi 10 al mondo, il che per quello che vale economicamente , politicamente, anagraficamente l'Italia non èmalaccio (vista la crisi demografica, di ssistema ed economica)
3. Il rugby... torniamo al punto 1-
3a) numeri - 75/80mila praticanti - per confronto Galles 70mila, Scozia 100mila, Argentina 125mila, Irlanda 125mila, e via su.
3b) giro d'affari - nazionale 75 mila/partita 6N, 40mila /TM - Pro12 2000-3000/partita - Eccellenza 500/partita - il rapporto con gli altri paesi europei è 1:10 o meno.
Pur in presenza di una crescita la pratica sportiva, discreta sino ai 15 anni , poi cala drasticamente nel periodo 15-25 (studio?, lavoro? tuberi&legumi ?)
e resta mediocre se non per attività individuali o altri sport di squadra.
Comunque: saremo scarsi, saremo indegni del 6N, saremo no buoni per il rugby...
ma che l'Economist senta la necessità di dedicarci uno studio... immagino il Sole24 ore che si dedica alla mancata competitività della pallanuoto/pallavolo/pallacanestro britannica.
Per tornare su quanto espresso da Giuseppone64
ma il problema per il rugby o per lo sport italiano?
Perchè (sempre modello lista della spesa):
1. chi stila la graduatoria Global Sport Index dichiara d iaver rilevato che:
a) il 34% dei successi sportivi dipende dal numero di abitanti (e quindi se vogliamo 1/3 dell fortune di una disciplina dipende dal n praticanti)
b) il 17% dal livello economico del paese (GDP) e quindi, se vogliamo circa 1/6 dei successi dipende dal giro economico che is ha in quella disciplina
2. A livello sportivo, restiamo uno dei paesi tra i primi 10 al mondo, il che per quello che vale economicamente , politicamente, anagraficamente l'Italia non èmalaccio (vista la crisi demografica, di ssistema ed economica)
3. Il rugby... torniamo al punto 1-
3a) numeri - 75/80mila praticanti - per confronto Galles 70mila, Scozia 100mila, Argentina 125mila, Irlanda 125mila, e via su.
3b) giro d'affari - nazionale 75 mila/partita 6N, 40mila /TM - Pro12 2000-3000/partita - Eccellenza 500/partita - il rapporto con gli altri paesi europei è 1:10 o meno.
Pur in presenza di una crescita la pratica sportiva, discreta sino ai 15 anni , poi cala drasticamente nel periodo 15-25 (studio?, lavoro? tuberi&legumi ?)
e resta mediocre se non per attività individuali o altri sport di squadra.
Comunque: saremo scarsi, saremo indegni del 6N, saremo no buoni per il rugby...
ma che l'Economist senta la necessità di dedicarci uno studio... immagino il Sole24 ore che si dedica alla mancata competitività della pallanuoto/pallavolo/pallacanestro britannica.
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Garryowen
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
Sì, infatti dicevo che la conclusione dell'articolo non dice nulla di nuovo. L'elemento che mi ha incuriosito è l'elenco dei fattori per i quali secondo l'Economist il rugby italiano avrebbe un terreno favorevolissimo per svilupparsi, mentre io sono sempre stato convinto che l'Italia per il rugby fosse un terreno arido, anzi, carsico.giuseppone64 ha scritto:in molti qua pensiamo che il problema sia la formazione giovanile, poi con diverse argomentazioni ma più o meno...
Non cita il vero ostacolo allo sviluppo del rugby, vale a dire la mancanza di questo sport nelle scuole, ma del resto è un handicap che in Italia hanno tutti gli sport, anche quelli in cui eccelliamo
"C'è solo una cosa al mondo meglio del rugby. Parlare di rugby"
(parafrasi da G.G. Marquez)
http://www.walesonline.co.uk/sport/rugby/rugby-news/how-much-funding-welsh-rugby-12405682 A imperitura memoria
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zappatalpa
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
Infatti si chiama The Economist e non The Sportsman.
Sono convinto che la strada intrapresa é buona e la federazione é tra le piú attive e propositive, e a differenza delle altre, anche moderna.
Basta vedere il sito e la comunicazione della FIR, é anni luce avanti a tutte le altre.
Gli sponsor che ha la nazionale gli altri se li sognano.
Fosse metá dei club (quelli che si pensano professionisti, eh, mica gli altri!) intraprendente un decimo della FIR di Dondi, adesso non avremmo un massimo campionato semiamatoriale con partite che durano 40 minuti effettivi e con alcune squadre senza sponsor principale! Ognuno si dovrebbe guardare piú in casa propria..
Sono convinto che la strada intrapresa é buona e la federazione é tra le piú attive e propositive, e a differenza delle altre, anche moderna.
Basta vedere il sito e la comunicazione della FIR, é anni luce avanti a tutte le altre.
Gli sponsor che ha la nazionale gli altri se li sognano.
Fosse metá dei club (quelli che si pensano professionisti, eh, mica gli altri!) intraprendente un decimo della FIR di Dondi, adesso non avremmo un massimo campionato semiamatoriale con partite che durano 40 minuti effettivi e con alcune squadre senza sponsor principale! Ognuno si dovrebbe guardare piú in casa propria..
Ho incontrato uno come Zappatalpa stamani alle 5.00 quando entravo a lavorare e ero a far colazione in uno dei pochi bar notturni
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salfaby
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
Forse la spiegazione risiede soprattutto nel fattore casualità, mi spiego, è vero che i fattori indicati dall'economist servono a creare un movimento di buon livello - e infatti l'Italia è stabilmente tra le prime 10 - 12 nazionali al mondo, ma il successo finale (podio o almeno SF alla RWC, vittorie nel 6N) è dato da una certa casualità, chiamatela come volete, dove non intendo dire che basta che ti vada di c**o e vinci (cosa che per altro in vari sport è anche capitata - giusto per fare un paio di esempi la Danimarca agli Europei di calcio 1992, le vittorie di Andres Gomez al RG e di Petr Korda agli AUS OPEN), ma ci sono sport in cui le cose riescono meglio a determinate popolazioni (esempio le isolane nel Rugby, ma anche lo sprint caraibico) e sport in cui riescono altre, l'Olanda nel calcio e nel Volley, sicuramente avere una buona base di praticanti e di sovvenzioni aiuta, ma l'ultimo passo, quello che da buon livello porta a vincente è frutto di una serie di combinazioni astrali impossibili da programmare.
La Francia ha 10 giocatori tra i primi 100 al mondo nel tennis, ma non vince un GS dal 1983, la Svizzera ne ha avuto uno solo per lungo tempo ma che giocatore! Se ci sono paesi particolarmente versati per gli sport di squadra (Italia, ma anche Argentina, Serbia, Olanda) e altri praticamente nulli pur in presenza di fattori di crescita ben sviluppati (su tutte direi propio la Gran Bretagna anche se lì va considerato il fatto che gli sport olimpici di squadra praticamente non se li fila nessuno), probabilmente ci deve essere un legame con le specificità dei vari popoli.
La Francia ha 10 giocatori tra i primi 100 al mondo nel tennis, ma non vince un GS dal 1983, la Svizzera ne ha avuto uno solo per lungo tempo ma che giocatore! Se ci sono paesi particolarmente versati per gli sport di squadra (Italia, ma anche Argentina, Serbia, Olanda) e altri praticamente nulli pur in presenza di fattori di crescita ben sviluppati (su tutte direi propio la Gran Bretagna anche se lì va considerato il fatto che gli sport olimpici di squadra praticamente non se li fila nessuno), probabilmente ci deve essere un legame con le specificità dei vari popoli.
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Garryowen
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
Ma loro discutono il fatto che dovremmo essere più in alto del 12esimo posto.salfaby ha scritto:Forse la spiegazione risiede soprattutto nel fattore casualità, mi spiego, è vero che i fattori indicati dall'economist servono a creare un movimento di buon livello - e infatti l'Italia è stabilmente tra le prime 10 - 12 nazionali al mondo...
Dodicesimo posto (ma gli azzurri quadricampioni del mondo di calcio sono addirittura quindicesimi...) e soprattutto l'Economist sottolinea che abbiamo davanti a noi nel ranking alcune nazionali Tier 2
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salfaby
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
Diciamo che probabilmente essendo il rugby uno sport meno praticato a livello globale è forse più "facile" scalare il ranking rispetto ad altri, cioè detta terra terra il 12° posto nel rugby vale forse il 25° di calcio o volley, però bisogna anche pesare il valore del ranking, non credo che l'Italia valga il 12° posto in assoluto, con le isolane, il Giappone o la Scozia le differenze di valore sono minime, diciamo che tolte le prime 8, con alcune delle quali comunque la distanza non è abissale, l'Italia è in una fascia che va dal 9° al 15° posto stabilmente, che poi si possa cercare di intervenire per diminuire il gap magari lavorando meglio sul settore giovanile (ammetto di essere piuttosto a digiuno in materia) è certamente vero ma il salto di qualità per poter battere gli AB quello te lo può far fare solo il buon Dio o il caso (a seconda delle rispettive idee in materia), scegliendo di far nascere due tre fuoriclasse e una generazione di campioncini in un posto piuttosto che in un altro, in fin dei conti Sir Clive Woodward è stato un grande allenatore, il movimento inglese lavora è sano e rigoglioso, ma la squadra del 2003 ve la ricordate? E come detto in un'altra sezione del forum di Wilko ce n'è stato solo uno!Garryowen ha scritto:Ma loro discutono il fatto che dovremmo essere più in alto del 12esimo posto.
Dodicesimo posto (ma gli azzurri quadricampioni del mondo di calcio sono addirittura quindicesimi...) e soprattutto l'Economist sottolinea che abbiamo davanti a noi nel ranking alcune nazionali Tier 2
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Luqa-bis
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
Nel nostro caso specifico ci sono alcuni fattori numerici interessanti.
Se si osservano i dati che l'ex IRB pubblicava e si fanno un po' di calcoli si notano alcune cose:
Densità di giocatori giovanili (solo settore maschile)
eccezion fatta per i 3 arciupelaghi mela/polinesiani, si osserva che laddove il rugby è educazione scolastica (ENG, NZL, IRL) si hanno attorno ai 1000 liceali praticanti ogni 100 mila abitanti
valore che si dimezza in Galles e Scozia, e che scende sotto i 100 nel continente.
La stessa Francia ha una densistà di pratica giovanile sotto i 100 atleti/100mila ab.
Noi navighiamo attorno ai 25-30.
Questo partendo da una divulgazione infantile (U13) che è 5 volte maggiore per i francesi, 40 volte per sbiffe, trifogli e kiwi.
Questo è il primo fattore- numeri bassi ma in un contesto di paese numeroso e con tradizioni ridotte nella disciplina- il che secondo me si porta dietro :
- meno interesse mediatico e popolare - meno soldi
- meno esperienza e conoscenza- minori capacità formative
Densità giocatori seniores (ancora solo settore maschile)
1) Qui la passione popolare supera la determinazione istituzionale: se nel periodo scolastico il sistema "sbiffe" fa vedere l'impronta del suo schema formativo, quando si passa all'età adulta e la pratica diventa scelta individuale i coefficienti cambiano.
E allora ecco che il Galles supera anche la Nuova Zelanda, e l'Irlanda , tutte attorno ai 600 atleti /100mila abitanti, pur restando sotto al fenomeno Figi/Samoa/Tonga dove si sta sopra i 1000 atleti/100mila ab
E noi? Ancora sui 30 atleti per 100mila ab- la metà del Giappone, 1/6 della Francia, 1/8 dell'Inghilterra, 1/20 del Galles e delle NZL.
Quindi, siccome pratica significa diffusione, conoscenza, apprezzamento, pubblico specie per le discipline meno mediatiche
pubblico identitario (famiglie, praticanti, amici, ex praticanti) in proporzione.
Densità societaria
E qui pesa per l'Italia l'effetto campanile: apparentemente abbiamo poche società rispetto alle Unions e ai francesi, ma queste società hanno mediamente meno della metà degli atleti dei club francesi e meno di 1/3 di quelli celtici a livello seniores.
A livello giovanile? 20 atleti contro i 60 gallesi e francesi, gli oltre 200 irlandesi, i 300 inglesi.
Forse uno dei problemi è il nanismo societario?
Se si osservano i dati che l'ex IRB pubblicava e si fanno un po' di calcoli si notano alcune cose:
Densità di giocatori giovanili (solo settore maschile)
eccezion fatta per i 3 arciupelaghi mela/polinesiani, si osserva che laddove il rugby è educazione scolastica (ENG, NZL, IRL) si hanno attorno ai 1000 liceali praticanti ogni 100 mila abitanti
valore che si dimezza in Galles e Scozia, e che scende sotto i 100 nel continente.
La stessa Francia ha una densistà di pratica giovanile sotto i 100 atleti/100mila ab.
Noi navighiamo attorno ai 25-30.
Questo partendo da una divulgazione infantile (U13) che è 5 volte maggiore per i francesi, 40 volte per sbiffe, trifogli e kiwi.
Questo è il primo fattore- numeri bassi ma in un contesto di paese numeroso e con tradizioni ridotte nella disciplina- il che secondo me si porta dietro :
- meno interesse mediatico e popolare - meno soldi
- meno esperienza e conoscenza- minori capacità formative
Densità giocatori seniores (ancora solo settore maschile)
1) Qui la passione popolare supera la determinazione istituzionale: se nel periodo scolastico il sistema "sbiffe" fa vedere l'impronta del suo schema formativo, quando si passa all'età adulta e la pratica diventa scelta individuale i coefficienti cambiano.
E allora ecco che il Galles supera anche la Nuova Zelanda, e l'Irlanda , tutte attorno ai 600 atleti /100mila abitanti, pur restando sotto al fenomeno Figi/Samoa/Tonga dove si sta sopra i 1000 atleti/100mila ab
E noi? Ancora sui 30 atleti per 100mila ab- la metà del Giappone, 1/6 della Francia, 1/8 dell'Inghilterra, 1/20 del Galles e delle NZL.
Quindi, siccome pratica significa diffusione, conoscenza, apprezzamento, pubblico specie per le discipline meno mediatiche
pubblico identitario (famiglie, praticanti, amici, ex praticanti) in proporzione.
Densità societaria
E qui pesa per l'Italia l'effetto campanile: apparentemente abbiamo poche società rispetto alle Unions e ai francesi, ma queste società hanno mediamente meno della metà degli atleti dei club francesi e meno di 1/3 di quelli celtici a livello seniores.
A livello giovanile? 20 atleti contro i 60 gallesi e francesi, gli oltre 200 irlandesi, i 300 inglesi.
Forse uno dei problemi è il nanismo societario?
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salfaby
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
Però se si parte dal presupposto che maggiore è la base di praticanti e maggiore la possibilità di ricavarne buoni giocatori i dati percentuali non dovrebbero avere peso, alla fine ci sono comunque più praticanti in Italia che in Galles, non direi con gli stessi risultati...Luqa-bis ha scritto:E noi? Ancora sui 30 atleti per 100mila ab- la metà del Giappone, 1/6 della Francia, 1/8 dell'Inghilterra, 1/20 del Galles e delle NZL.
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Luqa-bis
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
E invece non concordo.
Italia e Galles hanno lo stesso ordine di grandezza di tesserati juniores, ma lì i gallesi hanno sicuramente maggiore competenza formativa e hanno i giovani distribuiti in un area come la Lombardia (hc efa il 25 % dei tesserati italiani).
Stessi numeri, ma migliore formazione e maggiori possibilità di confronto tra i migliori per vicinanza gegografica.
Segmento seniores
Il Galles dovrebbe avere oltre 20mila tesserati seniores, noi oltre 15mila.
Posto che da loro la maggiore densità porta a maggiore passione e attenzione (pensiamo ad numero di praticanto 4 volte il Veneto)
Il Galles è avvantaggiato rispetto all'Italia dai numeri, dalla tradizione dall'esperienza formativa, dalla concentrazione delle risorse.
La cosa buffa che noto è questa:
secondo i dati che ho trovato, grosso modo ogni 5000 tesserati seniores si può avere una squadra di livello medio alto (per inGlesi e Francesi infatti il campionato di II serie, Chiampionship e ProD2 sono ben competitivi)
Irlanda 25000 seniores - 4 franchigie
galles 22000 seniores - 4 franchigie
Scozia 11000 seniores - 2 franchigie.
Italia 17000 Seniores... ci sarebbe posto per la terza.... eheheh
Italia e Galles hanno lo stesso ordine di grandezza di tesserati juniores, ma lì i gallesi hanno sicuramente maggiore competenza formativa e hanno i giovani distribuiti in un area come la Lombardia (hc efa il 25 % dei tesserati italiani).
Stessi numeri, ma migliore formazione e maggiori possibilità di confronto tra i migliori per vicinanza gegografica.
Segmento seniores
Il Galles dovrebbe avere oltre 20mila tesserati seniores, noi oltre 15mila.
Posto che da loro la maggiore densità porta a maggiore passione e attenzione (pensiamo ad numero di praticanto 4 volte il Veneto)
Il Galles è avvantaggiato rispetto all'Italia dai numeri, dalla tradizione dall'esperienza formativa, dalla concentrazione delle risorse.
La cosa buffa che noto è questa:
secondo i dati che ho trovato, grosso modo ogni 5000 tesserati seniores si può avere una squadra di livello medio alto (per inGlesi e Francesi infatti il campionato di II serie, Chiampionship e ProD2 sono ben competitivi)
Irlanda 25000 seniores - 4 franchigie
galles 22000 seniores - 4 franchigie
Scozia 11000 seniores - 2 franchigie.
Italia 17000 Seniores... ci sarebbe posto per la terza.... eheheh
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salfaby
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
In realtà, credo, sei d'accordo con me, nel senso che non è la percentuale di praticanti a fare la differenza ma come vengono "allevati", l'unico fattore in cui incide la percentuale è la concentrazione delle risorse, ma gli altri fattori che elenchi (tra cui è assolutamente preponderante per me la passione intesa come competenza) sono indipendenti dalla percentuale di praticanti.
Chiaramente sono opinioni a ruota libera eh!
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zappatalpa
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
Grazie, questa é un analisi secondo me 100x piú interessante dell'Economist, che guarda caso ha portato sfiga ogni volta che parla dell'italia (le volate a BerlusconiLuqa-bis ha scritto: Se si osservano i dati che l'ex IRB pubblicava e si fanno un po' di calcoli si notano alcune cose:
Intanto, per restare in tema, anche il Sole24ore ha scoperto il rugby, con tanto di sezione extra per il 6N
Ho incontrato uno come Zappatalpa stamani alle 5.00 quando entravo a lavorare e ero a far colazione in uno dei pochi bar notturni
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speartakle
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
Non è una questione di mera quantità ma anche di qualità, vi faccio uj esempio:
faccio/ho fatto l'edufatore minirugby u12, scommetto che se prendessi i pari età della società di calcio del mio paese e li allenassi fino a fine anno a giocare a rugby, e poi facessi la partita tra la u12 di rugby e quella del calcio secondo me vincerebbe la seconda.
Ciò non toglie che con il materiale umano di cui disponiamo potremmo fare meglio di ciò che facciamo ora se la federazione e i club decidessero di mettere in primo piano la qualità della formazione.
faccio/ho fatto l'edufatore minirugby u12, scommetto che se prendessi i pari età della società di calcio del mio paese e li allenassi fino a fine anno a giocare a rugby, e poi facessi la partita tra la u12 di rugby e quella del calcio secondo me vincerebbe la seconda.
Ciò non toglie che con il materiale umano di cui disponiamo potremmo fare meglio di ciò che facciamo ora se la federazione e i club decidessero di mettere in primo piano la qualità della formazione.
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Luqa-bis
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
Per rispondere
@ Selfaby
@ Speartackle
Attenzione, in certi casi la quantità comporta qualità.
Checché se ne dica, celtici, anglosassoni, transalpini e italiani non differiscono molto dal punto di vista fisico (e in fondo nemmeno genetico visto che siamo in maggioranza aplogruppo R1B). Certo, potrebbero esserci uno o due anni di sviluppo fisico differenziato ,a rientrano nella comune alea anche all'interno della stessa popolazione
Persino le mappe semiserie sulle dimensioni virili indicano che le differenza sono scarse e più ampie all'interno di una popolazione che tra le medie delle popolazioni.
Quindi si parte da una base genetica equiparabile ("praticamente pari" che non è pari ma giùdilì)
Ma se ad accedere ad un determinato sport sono 1000 studenti maschi delle medie ogni 100mila abitanti, vista la natalità media con quello sport si confronta almeno il 40% delle classi interessate
se a praticare quello sport sono almeno 1000 studenti maschi liceali su 100mila abitanti, significa che a giocarlo sono almeno il 20-25% delle classi d'età coinvolte.
Se invece che 1000 sono 50, venti volte meno, si scende sotto il 2%.
Come si fa ad essere certi che quel 2% sia di base "pari o superiore" al miglior decimo della selezione sul 20-25% ?
@ Selfaby
@ Speartackle
Attenzione, in certi casi la quantità comporta qualità.
Checché se ne dica, celtici, anglosassoni, transalpini e italiani non differiscono molto dal punto di vista fisico (e in fondo nemmeno genetico visto che siamo in maggioranza aplogruppo R1B). Certo, potrebbero esserci uno o due anni di sviluppo fisico differenziato ,a rientrano nella comune alea anche all'interno della stessa popolazione
Persino le mappe semiserie sulle dimensioni virili indicano che le differenza sono scarse e più ampie all'interno di una popolazione che tra le medie delle popolazioni.
Quindi si parte da una base genetica equiparabile ("praticamente pari" che non è pari ma giùdilì)
Ma se ad accedere ad un determinato sport sono 1000 studenti maschi delle medie ogni 100mila abitanti, vista la natalità media con quello sport si confronta almeno il 40% delle classi interessate
se a praticare quello sport sono almeno 1000 studenti maschi liceali su 100mila abitanti, significa che a giocarlo sono almeno il 20-25% delle classi d'età coinvolte.
Se invece che 1000 sono 50, venti volte meno, si scende sotto il 2%.
Come si fa ad essere certi che quel 2% sia di base "pari o superiore" al miglior decimo della selezione sul 20-25% ?
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salfaby
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
Non è che mi riferissi a differenze "genetiche" più che altro al contorno ambientale, non so nel rugby, ma, tanto per fare un esempio, dalle mie parti i peggiori nemici dei ragazzini che cominciano a praticare sport sono i genitori degli stessi, non ho idea di cosa succede in altre nazioni e, francamente spero non sia così. Poi che la concentrazione aiuti a selezionare il miglior materiale umano credo che sia certamente vero però va considerato anche il fatto che in Italia non è che il rugby sia diffuso così capillarmente come altrove, voglio dire, è vero che percentualmente in Italia ci sono meno praticanti, ma penso, non ho dati al riguardo, che ci siano la maggior parte dei praticanti è concentrata comunque in territori ben precisi, come il Veneto.
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zappatalpa
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Re: L'Economist e la situazione del rugby italiano
e anche oggi ho imparato una cosa nuovaLuqa-bis ha scritto:aplogruppo R1B
Ho incontrato uno come Zappatalpa stamani alle 5.00 quando entravo a lavorare e ero a far colazione in uno dei pochi bar notturni