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voglia di vincere per se stessi e per la nazione che si rappresenta, questo è l\'obiettivo che ha in campo una nazionale.
<BR>se non lo si raggiunge, o c\'è una grossa differenza tecnica, o manca la testa.
<BR>guardando le partite della zurich ho maturato la convinzione che i nostri ce la mettono tutta, e vanno oltre i loro limiti, e tecnicamente sono bravi.
<BR>ma mancano di convinzione nei loro mezzi, per cui vicino all\'area di meta avversaria (e come se ci arriviamo) si sciolgono come neve al sole, invece di insistere anche in dodicesima fase, se necessario.
<BR>probabilmente non sono abituati, ogni giorno, a dover faticare così tanto per raggiungere la meta, per cui in quel momento cedono di testa: confusione, passaggio in avanti, cadono subito sul placcaggio invece di rsistere in piedi.
<BR>il terzo tempo non c\'entra, come non c\'entra la tradizione ed il mito del rugby sport leale etc etc.
<BR>quando si è in campo bisogna dare tutto
<BR>ma quanto è tutto i nostri non lo sanno, o meglio:
<BR>lo scoprono solo su quei campi ed al flaminio.
<BR>bisogna crescere tutti, far divenire i campionati italiani tutti
<BR>più competitivi, dove le dfese ti asfissiano come in zurich, ed allora potremo far sapere quanto sa di sale e quanto e duro salir e scendere l\'altri scale.
<BR>ora lo sappiamo solo noi
<BR>ma ci dobbiamo passare per forza in questa fase.
<BR>speriamo non duri
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<BR> 01-03-2005 alle ore 16:01, martirep wrote:
<BR><!-- BBCode Quote Start --><TABLE BORDER=0 ALIGN=CENTER WIDTH=85%><TR><TD><font size=-1>Quote:</font><HR></TD></TR><TR><TD><FONT SIZE=-1><BLOCKQUOTE>
<BR> 27-02-2005 alle ore 16:35, marcofk wrote:
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<BR>omissis... Ciò che non mi va giù è questa presunzione secondo cui il rugby è diverso da altri sport per cui certe cose non contano quanto in altri sport. Si gioca per vincere. Ci si allena per vincere.....
<BR></BLOCKQUOTE></FONT></TD></TR><TR><TD><HR></TD></TR></TABLE><!-- BBCode Quote End -->
<BR>
<BR>Il discorso di marcofk, pur discutibile, è comunque appasionato e sincero e non merita frecciatine di nessun genere.
<BR>
<BR>Detto questo è proprio sulla parte del discorso che riporto in \"quote\" su cui non sono d\'accordo (su qualche altro punto forse diciamo le stesse cose con parole diverse). Ho visto delle squadre combattere da leoni fino alla fine per la meta della bandiera o per almeno i 3 punti quando la speranza di vittoria era assolutamente nulla ed il punteggio del tipo 60-70-80 a 0. Ho visto anche squadre di mezza classifica scendere in campo contro la capolista SENZA PANCHINA E CON 2 UOMINI IN MENO pur non avendo nessuna speranza di vittoria. Sapevano di perdere, ma volevano comunque dimostrare il loro valore, il loro coraggio e vender cara la pelle. Forse è solo stupido orgoglio o una visione romantica ormai del tutto anacronistica dello sport.... però quando giochi col cuore non perdi mai.
<BR></BLOCKQUOTE></FONT></TD></TR><TR><TD><HR></TD></TR></TABLE><!-- BBCode Quote End -->
<BR>
<BR>Ti dirò: sono d\'accordo in principio con te. La differenza è che oggi mi sembra che di fronte alla \"tradizione\" delle altre squadre del 6N giochiamo in punta di piedi per timore che una nostra vittoria le offenda e rovini la narrativa \"epica\"... non credo che sia una cosa consapevole, più un riflesso condizionato da decenni di celebrazione del \"mito\" del 6N (5N prima che ci entrassimo noi), a sua volta creato dal fatto che non abbiamo mai avuto la possibilità di vederlo dal punto di vista delle altre squadre (che hanno una visione meno \"romantica\", ma che ci mettono dentro il cuore tanto quanto se non più di noi perchè per loro ogni sconfitta brucia di più.
<BR>
<BR>Poi, questa è solo la mia impressione.
"It ain't over till the fat man spins!" - David Gower, 2005
Un solo intervento, per quanto riguarda l\'organizzazione sportiva.
<BR>Nell\'anno di grazia 1996 - non un secolo fa - dai Giochi Olimpici di Atlanta la Gran Bretagna tornò con numero 1 (una) medaglia d\'oro, quella del canottaggio con i baronetti Pinsent e Redgrave nel quattro senza. Per chi non lo ricorda, ad Atlanta la povera Italietta che butta i soldi dalla finestra e non investe nello sport conquistò 13 ori, 10 argenti e 12 bronzi.
<BR>Insomma, hanno capito pure loro che c\'era da lavorare seriamente, al di là della tradizione, dello sport scolastico e di tutti i talenti che gli arrivavano dalle provincie dellex Impero britannico, Africa, Asia e Caraibi compresi. Ed infatti sono riusciti a risollevarsi negli ultimi anni, ma sempre dietro al nostro CONI dalle casse dissanguate.
<BR>Non sputiamoci sempre addosso.
Un altro piccolo episodio, per capire con chi abbiamo a che fare: non perchè non dobbiamo ascoltare critiche e consigli, ma perchè è molto facile per la cricca fare le pulci ai \"soliti italiani\" (mi sembra quel bellissimo promo degli astronauti su Sky, con il tizio che dice schifato: \"Italians ...\").
<BR>Nel 1981 arrivò alla presidenza della Iaaf, la federazione mondiale di atletica, il vituperato Primo Nebiolo. A quel tempo la Iaaf, che aveva avuto alla sua guida per 30 anni un nobile inglese (Lord Burghley), era allocata in due stanzette di una casetta con giardino, in un ridente quartiere residenziale londinese. Aveva n. 3 (tre) impiegati a contratto e un bilancio annuale di circa 80 (ottanta) milioni delle lirette di allora.
<BR>Il nuovo presidente fu festeggiato (era una cosa che amava ricordare spesso) con un succulento banchetto a base di acqua minerale e tramezzini.
<BR>Tutto il mondo anglosassone fece per 30 anni la guerra al \"mafioso\" Primo Nebiolo: e sì, perchè era stato eletto con i voti non delle grandi potenze tradizionali, ma dei piccoli (spesso neanche tanto) e poveri (tantissimo) stati emergenti.
<BR>Non sto a raccontarvi tutti i particolari della vicenda ma, quando Nebiolo morì nel novembre \'99, la Iaaf era diventata una federazione con sede in un elegante palazzo monegasco a Montecarlo, decine di impiegati e professionisti a contratto, un bilancio di centinaia di miliardi di lirette (svalutate, ma sempre tante). E l\'atletica, da sport degli snob dilettanti e degli studenti di college, ricchi di famiglia, era diventato lo sport più praticato del globo, con estesi programmi di sviluppo in ogni angolo del mondo: le federazioni affiliate - diceva Nebiolo - erano più dei Paesi dell\'ONU e si votava per testa (non come oggi nell\'IRB, dove i voti della cricca valgono doppio).
<BR>Ora sono passati 5 anni, la Iaaf è tornata nelle mani della cricca anglo-sassone, e l\'atletica appare uno sport in via di estinzione.
<BR>Questo per dire che saremo pure i \"soliti italiani\" (\"Italians ...\"), ma ci penserei due volte prima di tornare indietro sul progetto Sei Nazioni, perchè magari poi nasce un Nebiolo del rugby che potrebbe tornare utile anche alla suddetta cricca.
Caro Half. Non conosco personalmente Nebiolo la sua vicenda. Però sono certo che l\'Italia è sicuramente piena di persone che sanno il fatto loro e che si danno da fare bene. Bisogna metterli nelle condizioni di operare.
<BR>Il problema è: a chi può interessare che una persona operi bene, magari calpestando privilegi di persone più potenti di lui?
<BR>
<BR>G.
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<BR> 02-03-2005 alle ore 08:47, madameweb wrote:
<BR>per marcofk
<BR>
<BR>Quando te ne vai dall\' inghilterra?
<BR>
<BR></BLOCKQUOTE></FONT></TD></TR><TR><TD><HR></TD></TR></TABLE><!-- BBCode Quote End -->
<BR>
<BR>E\' una domanda o un\'invito (o un\'esortazione)? Sabato 5 Marzo saranno 7 anni esatti che ci sto... spero di non superare di molto i dieci... Il mio 35mo compleanno cade esattamente 10 anni e 5 mesi dopo il mio arrivo. Un biglietto di sola andata per nuova destinazione mi sembra il modo migliore di celebrare l\'evento...
"It ain't over till the fat man spins!" - David Gower, 2005
Halfback, la mia non era tanto una critica rivolta ai \"soliti italiani\", ma una constatazione su un ambiente in particolare. Proprio perchè abbiamo avuto ed abbiamo tuttora successo in ambiti dove fino a poco prima \"non ci filavano una lira\", come si dice nel Brindisino, ritengo che cercare alibi per la mancanza di successo in un particolare ambito sia sciocco. Le capacità le abbiamo ed il successo non ci è mai mancato quando c\'è stata la volontà di ottenerlo davvero (e non solo a parole): volevo solo far notare come ci fosse un contrasto marcato fra uno sport come il rugby che richiede un\'enorme volontà, determinazione e spirito di sacrificio ed un ambiente attorno ad esso dove la ricerca di scuse e giustificazioni per il fallimento sembra più importante della ricerca del successo. Rimediare a questa situazione non significa, a mio avviso, tradire i valori del rugby, bensì esaltarli. Si renda pure onore all\'avversario nel terzo tempo se ci ha battuto e si rispetti la storia e gloria dei giganti di questo sport, ma la si pianti di pensare \"quest\'anno possiamo vincere una o due partite\" o \"quegli altri hanno il rugby nel sangue\". Debelliamo la cultura degli alibi e ripristiniamo i valori fondamentali di uno sport da uomini veri.
"It ain't over till the fat man spins!" - David Gower, 2005