Visto che ora sembra che si torni sul ragionamento, ragioniamo.
Come ho già osservato, innanzitutto la premessa è sbagliata: la nazionale italiana del rugby vince. Forse non quanto vorremmo tutti, ma vince.
Tu non consideri il ranking mondiale, però questo è talmente buono che per esempio la sconfitta con l'Australia ha variato i due punteggi delle squadre nazionali in modo infinitesimale, segnalando che la loro forza relativa era stata valutata correttamente e che non è variata (se non impecettibilmente) in seguito all'incontro.
Tra l'inizio e la fine dell'ultimo Sei Nazioni il ranking dell'Italia è leggermente aumentato, segno che le distanze verso le altre nazionali del Sei Nazioni si sono ridotte (troppo poco, secondo molti) ma si sono ridotte.
(Il discorso sarebbe anche qui molto lungo sulla bontà del ranking, e sulle dinamiche che si riescono a cogliere attraverso questo sistema).
La mia prima osservazione era appunto che la tua premessa era sbagliata.
---
Citavi poi alcune possibili soluzioni:
SPQR ha scritto:Fintanto che la Federazione non riuscirà a creare un torneo nazionale competitivo, con l'ingaggio di campioni (sottolineo campioni, non falliti che non trovano spazio nei campionati seri) che possono arricchire e dare valore aggiunto al torneo, allora anche la Nazionale non vincerà mai un fico secco.
Per prima cosa il bilancio della FIR è quasi interamente costituito dagli incassi diretti ed indiretti del Sei Nazioni (aspetto commerciale).
Se l'Italia uscisse spontaneamente dal Sei Nazioni, o se vi fosse allontanata (come mi è sembrato che tu argomentassi) non vi sarebbero soldi per alcuna attività di rilievo.
Rimaniamo però alla tua ipotesi: contratti centralizzati o FIR come club che partecipa ad un campionato?
Caso 1
I contratti centralizzati (tipo cricket in England) avrebbero ragione d'essere se si mettessero sotto contratto giocatori italiani.
Il bilancio FIR (che è dello stesso ordine di grandezza di quello delle principali squadre di club inglesi e/o francesi) consentirebbe quindi unicamente di riportare in patria i giocatori della nazionale che attualmente sono ingaggiati all'estero e di "spalmarli" nelle varie squadre del Super 10.
Questo suggerimento mi sembra una chiara involuzione tecnico-tattica: ci sarebbe meno spazio per i giovani italiani, i giocatori di maggiore livello giocherebbero in un campionato di minore spessore rispetto a quello in cui si trovano adesso e crescerebbero di meno.
Non mi sembra una buona soluzione.
Caso 2
La FIR fonda un club e che fa?
Si iscrive al Super 14 francese o alla Celtic League, non vedo altre alternative (sempre che ci accettino).
Con un bilancio simile a quello dei migliori club, potrebbe avere un parco giocatori del livello dello Stade Francais e quindi combattere per i primi 4-6 posti del campionato francese.
Non rimarrebbero soldi per nessun'altra attività: niente soldi per il rugby giovanile, per gli impianti, per la medicina sportiva, per i corsi allenatori, ecc.
Mi sembra una pessima soluzione.
---
Un altro concetto che mi è piaciuto poco è quello di "svolta": nella maggior parte degli sport se non si costruisce a poco a poco, non si va da nessuna parte.
Quando l'Italia ha avuto il suo decennio d'oro si giocava sostanzialmente un altro sport, in Italia semi-professionista, in altri paesi molto più dilettantistico.
Il passo in avanti che l'Italia ha allora politicamente ottenuto è stato quello di entrare nel Sei Nazioni dal punto di vista economico-sportivo, e di diventare membro effettivo degli organi di governo del rugby mondiale dal punto di vista politico.
Quando quella stessa Italia ha giocato nel Sei Nazioni (e non test match importanti, ma non validi per la classifica di un torneo ufficiale) è stata quasi sempre sonoramente randellata.
(Peraltro molto meno sonoramente di quanto lo fu la Francia quando -illo tempore- entrò nel Cinque Nazioni).
In un rugby che in questi ultimi anni è cresciuto enormemente dal punto di vista fisico, tecnico e tattico, l'Italia ha saputo non perdere il passo delle squadre migliori, ed anzi ha leggermente ridotto via via le distanze, pur con risorse economiche decisamente inferiori.
Non credo che esistano "svolte", ma percorsi in salita per lo sviluppo, e che la FIR li abbia intrapresi da tempo.
Erano i migliori?
Sono stati intrapresi con sufficiente decisione?
Gli obiettivi di medio lungo-periodo sono sempre stati chiari per tutte le componenti del rugby?
---
Un altro punto che non tocchi è il rapporto tra FIR e club.
Sono gli imprenditori che mancano nel rugby italiano o è la FIR che manca?
Quale delle due componenti ha la "vista più corta"?