Che bello che è stato, ieri!
Era la mia prima volta, su un campo di un torneo ufficiale della Federazione.
E' stato bello preparare la partita: Pinghial che ci ha consegnato i borsoni nello spogliatoio, la sera prima, con una cerimonia quasi ufficiale.
La consegna delle maglie fucsia con scritto "Ce l'hai con me?", cerimonia meno ufficiale.
La pilona che mi deve correre dietro per chiedermi se avevo comprato l'olio canforato: e poi, a cosa cacchio serve, l'olio canforato?
Francia-Nuova Zelanda vista in un affollatissimo pub di Modena, la mia prima volta al pub con una bottiglietta d'acqua naturale invece di una pinta di Harp.. (

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La vigilia, con letti improvvisati sparsi per l’appartamento.
La domenica mattina, all’alba, quando in giro non c’è quasi nessuno a parte macchine piene di gente con la stessa tuta. Di diversi colori, magari.. ma sono manciate di tute tutte uguali, ai banconi dei bar, col caffè fumante davanti e uno sguardo di muta solidarietà tra gli sport e tra quelli che sacrificano una bella dormita alla domenica mattina.
Lo stereo spara “Vado al massimo”, proprio quando vediamo la prima indicazione per il Battaglini.
Gli spogliatoi sono perfetti: lindi, luccicanti, con un cortese omaggio di prodotti cosmetici sulle panchine, per ricordarci che siamo rugbiste, sì, ma anche che siaaaaamoooodooonneeee, come cantava Sabrina Salerno un miliardo di anni fa (e mi guardavo con tenerezza, questa bustina di decongestionante per il contorno occhi agli estratti di mandorla, stamattina, mentre allo specchio contemplavo la mia bellissima palpebra viola... mah, dubito che il decongestionante funzioni anche coi lividi). Nulla a che vedere con il disastro che avremmo lasciato alle spalle dopo la battaglia, dopo aver raccolto le calze e le maglie nelle cassette, dopo aver raccolto asciugamani, barattoli di olio canforato (ah, ora ho capito a cosa serve l’olio canforato), e bende, fasce, nastro adesivo.
Come se le panchine conservassero il ricordo di quell’invasione colorata.
E in mezzo?
In mezzo c’è stato un universo intero.
Il fischio di inizio, che cancella in un attimo tutto quello che sta fuori dal campo.
Lo schianto tremendo di quella tranquilla ragazza che conosci per essere una tipa tranquilla, quasi timida, che si avventa su una gigantessa grande il doppio di lei.
Sedute sul prato con Paolini che chiacchierava con noi, con quella specie di gatto peloso che copre il microfono.
Abbraccio la Cicera ancora prima di presentarci.
Il campo aperto che ti si spalanca davanti quando infili un corridoio, e lo spazio che si allarga, e la corsa che non finisce più fino alla meta: ti vengono in mente tutte le puntate di Holly e Benji che hai visto da piccola, e quel maledetto campo da gioco che si deformava fino ad espandersi all’orizzonte.
Mauro che urla dall’altra parte del campo.
Le inglesi che hanno fatto la “ola” quando ci hanno chiamato per ritirare la nostra prima coppa (quattordicesime!). Lorenzo che passa la fila per il terzo tempo, dicendo: “Fatemi passare: sono incinta!”.
Gli abbracci, tra di noi. Tantissimi. La sensazione confortante di riconoscere quella maglia e quei visi in mezzo ad una marea di tante altre maglie e tanti altri visi.
Tornare a casa e rivedere i pali del NOSTRO campo fa strano parecchio: a tutti quelli che ci chiedono com’è andata, cosa dobbiamo rispondere?
Come si fa a spiegare?
I pensieri saltano fuori solo alla sera, insieme alle botte.
Di giorno le prendi, e di sera ti saltano fuori.
Non faccio in tempo a finire il ragionamento che apro gli occhi, ed è già mattina.