TRIBUNA SPORTIVA ENEL & RUGBY

Tutto ciò che è inerente al Rugby, ma non rientra nelle altre categorie.

Moderatore: Emy77

THAKER
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AL PUB DELLO SPORT
<BR>I tempi cambiano e sull’altare degli affari si sacrificano perfino solide tradizioni
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<BR>C’era una volta il bar dello sport: un’istituzione, nell’Italia dei mille paesi. Come il duomo, la villa comunale o il municipio, ogni cittadina, ogni piccolo borgo, ogni minuscola frazione ne aveva uno. Era una legge non scritta del costume nazionale: non sarebbe stata vera Italia, senza un posto come quello. Al “Bar sport” ci si ritrovava per disquisire di calcio, ma spesso si finiva per accapigliarsi su beghe rionali o su temi di politica spicciola. I più placidi, si concedevano una mano di scopone sfumettando una Nazionale senza filtro. Nel bar dell’Italia pallonara, refugium peccatorum del Paese coi pantaloni, avvenivano strane e insospettate metamorfosi. A casa non si lasciava solo la moglie, ma anche un abito sociale, un modo d’essere, o meglio, d’apparire.
<BR>
<BR>Tutti conoscevano tutti e tutti varcavano la soglia con la medesima, innocente aspirazione: liberarsi di ogni inibizione, tra una risata e un bicchiere di vino. Era un momento catartico insostituibile nelle dinamiche collettive e familiari. Un angolo di mondo in cui nessuna donna s’azzardava a metter piede, ché l’avrebbe fatto a suo rischio e pericolo. Così, il bar sport diventava un ammortizzatore sociale, un luogo in cui le tensioni si scioglievano in un digestivo. Esso stesso, anzi, digestivo delle ansie quotidiane. Tutto questo, fino a un po’ di anni fa. Fino a quando, cioè, i calciatori non sono diventati miti immateriali, immortalati da mille telecamere nella loro dinamica fissità di semidei, sospesi in un mondo di plastica in cui un impiegato, un operaio, un uomo qualunque non può mai riconoscersi. Il calcio ora si guarda in salotto e il bar dello sport è un monumento alla memoria.
<BR>
<BR>In compenso, però, a Napoli nasce il pub dello sport, e non è un caso che a realizzarlo siano dei rugbisti, quelli della Partenope. Gente tra la gente, che rincorre una palla ovale solo in nome di una grande passione. Al posto del vino c’è la birra, ma lo spirito è quello. Solo che al pub la rivalità svanisce in un calice pieno: secondo un’antica tradizione del rugby, i padroni di casa invitano gli ospiti nella loro dimora per giocare quello che in gergo si chiama terzo tempo. Una partita dopo la partita, dalla quale tutti escono vincitori. Il calcio degli stravizi è lontano da qui, e al vecchio bar dello sport lo sanno bene. A proposito: chissà se lì dentro c’è ancora qualcuno.
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<BR>
<BR>Davide Cerbone
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COSTRUENDO IL MITO DAL NULLA
<BR>Come in due anni l\'Amatori Catania è arrivata ai play-off scudetto
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<BR>Come si fa a costruire il mito dal nulla? Be’, proprio dal nulla no. In questo caso, c’era molto poco su cui costruire. Una squadretta che vivacchiava da un po’ in Serie B, un pubblico poco interessato, le istituzioni lontane. Metti il ritorno di Benito Paolone, che della squadra era stato anche giocatore molti anni addietro, come presidente e principale finanziatore, l’arrivo di tanti giovani motivati, il rinnovato interesse da parte degli sponsor e può ricominciare la scalata verso la vetta.
<BR>
<BR>Con due promozioni consecutive, l’Amatori Catania rugby è approdato al Super 10 e oggi rappresenta la quarta forza del campionato italiano. Un sogno, se si pensa che quasi tutti i nuovi giocatori sono stati acquistati a scatola chiusa e che si sono rivelati quasi tutti capaci di grandi imprese, come la vittoria sul Ghial Calvisano futuro campione d’Italia, o l’appassionante andata della semifinale scudetto in casa, quando il Benetton Treviso perse il punto di bonus proprio all’ultimo secondo per una prodezza della stellina nascente Irwing. Ed è un sogno se si pensa anche che il pubblico rossazzurro è il più folto di tutto il Super 10 registrando la media di ben seimila spettatori a partita: il campo di Santa Maria Goretti registra sempre il pienone grazie anche all’ingresso libero!
<BR>
<BR>Il futuro di questa squadra è sicuramente ancora più roseo. Malgrado le sicure partenze di tanti rugbisti verso i grandi squadroni del nord, la società cercherà di continuare sulla linea verde per valorizzare ancora tanti ragazzi e la rinascita del settore giovanile aiuterà tantissimo la creazione della squadra del futuro.
<BR>
<BR>
<BR>Roberto Quartarone
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TRE METE SOPRA IL CIELO
<BR>Dopo anni di finali perse, il Calvisano trionfa nel campionato di rugby
<BR>
<BR>Finalmente scudetto! In queste due eloquenti parole è racchiuso un campionario di sogni, speranze e ambizioni finalmente soddisfatto e tramutato in realtà. Dopo una serie incredibile di finali perse il Ghial Rugby Calvisano ha potuto festeggiare lo scudetto. Sostenuti da un paese intero, trasferitosi in massa a Treviso per l’occasione, i ragazzi della squadra bresciana hanno lottato col cuore, vincendo la sfida coi rivali, ma soprattuto quella contro se stessi.
<BR>
<BR>Ancora il Benetton come avversario, ancora Treviso come teatro della sfida finale, tutto sembrava lasciar presagire un\'altra delusione per gli atleti del Ghial. E’ cambiato il nome della squadra (fino all’anno scorso Fly Flot) ma soprattutto è cambiato l’epilogo finale, stavolta Calvisano può festeggiare il meritato titolo. La società corona il suo sogno, dimostrando che alla spesso alla lunga i progetti seri, l’umiltà e la dedizione al lavoro pagano. Il successo è frutto di un entusiasmo incredibile, che si respira nell’aria a Calvisano, che si percepisce anche solo passando per le strade di questo paesino, alzando la testa, guardando le bandiere che capeggiano sui davanzali di tutte le finestre.
<BR>
<BR>Molti degli abitanti di questo paese potranno raccontare una giornata storica ai nipotini, mostrando orogogliosi la maglia celebrativa con la scritta “Io c’ero”. Come gli anni scorsi del resto, quando si potevano sentire i cori dei supporter di Calvisano urlare ironici e comunque orgogliosi della loro squadra: “Non vinciamo mai”. Beh ora la storia è cambiata, la ruota è girata e Calvisano e lì, nella leggenda, tre mete sopra il cielo.
<BR>
<BR>
<BR>Roberto Moscarella
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LANSDOWNE ROAD
<BR>Il grande tempio del rugby
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<BR>Il rugby in Irlanda è qualcosa di più di un semplice sport. È un evento che riesce ad andare oltre le lotte politiche e religiose. E’ l’unica disciplina che riesce incredibilmente a legare insieme il Sud cattolico al Nord protestante. E così quando gioca la nazionale viene suonato anche l’antico inno gaelico oltre a quello dell’Eire. E le insanabili fratture vengono così magicamente dimenticate. Il rugby in Irlanda è passione pura perfettamente inscritta nel cosiddetto fighting spirit di questo popolo.
<BR>
<BR>Gli appassionati dicono che rende più breve l’inverno, poiché tutte le volte che i verdi irlandesi giocano c’è aria di festa primaverile, anche se spesso da quelle parti Giove Pluvio fa i capricci. Il rugby nasce nel Trinity College, università fondata dalla Regina Elisabetta I, ma ha il suo tempio nel leggendario stadio di Dublino, il Lansdowne Road. Prima partita Leinster-Ulster, nel 1876. Sotto la tribuna principale passa oggi il trenino metropolitano, il DART. Molti anni fa era a vapore e gli intonaci delle gradinate sono tutt’ora crepati dal passaggio delle locomotive.
<BR>
<BR>C’è n’è poco di cemento a Lansdowne e fino ad oggi quando entravano in campo i guerrieri irlandesi potevi sentire il caratteristico e unico suono prodotto dallo sbattere i piedi sulle assi di legno da parte di tutti gli spettatori. Per questioni di sicurezza, dopo l’ultimo Sei Nazioni, sono iniziati i lavori di ristrutturazione che dovranno smantellare la vecchia struttura per trasfromarlo un impianto all’avanguardia. Qualcuno ha protestato ma sembra che l’ammodernamento sia davvero necessario.
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<BR>Speriamo che quell’atmosfera magica che sino ad oggi ha saputo trasmettere a tutti coloro che hanno avuto il privilegio di entrarvi o anche solo vederlo dall’esterno, non si perda completamente. Mi sentirò comunque fortunato un giorno a poter dire “io c’ero” ,quando esisteva l’ultimo stadio romantico d’Europa.
<BR>
<BR>
<BR>Giuseppe Ciliberto
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LA PROMESSA DI LOMU
<BR>Nel 2003 Jonah Lomu dichiarava il suo ritiro. Il cinque giugno scorso ha mantenuto la parola
<BR>
<BR>Nella savana il leone prima di saltare addosso alla sua preda si nasconde nella selva e poi sferra il suo attacco. Il rinoceronte invece carica a viso aperto la sua vittima, ad ogni suo passo la terra trema, rimbomba e la povera vittima rimane immobilizzata dalla paura. La stessa cosa accadeva quando Jonah Lomu durante le partite di rugby, si lanciava verso la metà avversaria. I poveri sventurati che si trovavano sulla sua strada, erano letteralmente buttati all’aria da quest’omone di un metro e novantasei centimetri per un peso di 125 kg.
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<BR>Un rinoceronte umano capace di correre i cento metri in dieci secondi e otto centesimi. Lomu nasce a Toga nel 1975 e subito si trasferisce con la famiglia ad Auckland, in Nuova Zelanda. La mamma lo alleva a pollo fritto e radici di taro. A scuola Jonah è campione scolastico d’ogni specialità dell’atletica: dai cento metri fino al lancio del giavellotto. Esordisce giovanissimo nella nazionale neozelandese di rugby contro i francesi perdendo 22 a 8, ma la batosta non lo scalfisce. Il mondo sportivo si accorge di lui nel 1995 durante la coppa del mondo di rugby. In semifinale si affrontano Inghilterra e Nuova Zelanda. I leoni inglesi sono travolti da Lomu che mette a segno quattro mete.
<BR>
<BR>Il mondo del rugby s’inchina subito di fronte al suo nuovo re. Nessuno fino allora aveva pensato che nel rugby, sport di squadra per antonomasia, un singolo giocatore avrebbe potuto decidere le sorti di un incontro. In agguato, a fermarlo, c’era la malattia: una rara forma di nefrite che lo costringe alla dialisi e gli rende sempre più difficile il gioco ad alti livelli. Due anni di stop agonistico ne mettono seriamente a rischio la carriera. Nel 99 ai mondiali riconquista il palcoscenico che ha abbandonato. Il problema fisico esiste sempre e la dialisi debilita anche il più celebre fra i giganti maori. A giugno 2003 la resa.
<BR>
<BR>Lomu dichiara il suo ritiro per affrontare le cure, ma assicura che alla fine sarebbe tornato a correre su un campo di rugby. Jonah ha mantenuto la parola, a quasi un anno di distanza dal trapianto di rene il cinque giugno ha calcato il campo di Twickenham di fronte a 45 mila persone per la partita d’addio di Martin Johnson. Non importa se la sua partita è durata solo un tempo, quello che importa che Jonah Lomu ha mantenuto la promessa.
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<BR>Ciro Florio
<BR><!-- BBCode Start --><IMG SRC="http://www.starship.org.nz/images/F_Lomu_1_340x234.jpg"><!-- BBCode End --><!-- BBCode Start --><IMG SRC="http://news.bbc.co.uk/olmedia/830000/im ... omu300.jpg"><!-- BBCode End -->
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IL PICCOLO EROE DI MURRAYFIELD
<BR>Ale Troncon, guerriero d’altri tempi
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<BR>Il cardo è un piccolo fiore, viola e spinosissimo, aspro, solitario. Impossibile vederne uno in un vaso, in una bella casa di città. I cardi crescono tra i rovi, lontani dal mondo, orgogliosi della loro eterna solitudine. Il cardo vive e muore sempre lì, lottando contro una natura impossibile. Al freddo, lassù. Il cardo è il fiore della Scozia. No, il cardo è la Scozia. Gli scozzesi sono tipi impraticabili e sono orgogliosi di questo. E c’è un postaccio, ad Edimburgo, dove è bellissimo esserci. Bellissimo, sì, ma non se hai una maglia con dei numeri sulla schiena e stai per scendere in campo contro quindici uomini in maglia blu.
<BR>
<BR>Sul petto portano un cardo, quei quindici uomini. Nel cuore la voglia matta di strapparti tutto, caviglie comprese, pur di prendere un pallone dalla forma strana e portarlo con sé. Fino alla fine del campo. Fino alla linea di meta. Benvenuti a Murrayfield. Suona a Murrayfield, in certi pomeriggi d’inverno, una nenia dolcissima. Flower of Scotland è un avvertimento, un segnale che non puoi non ascoltare. Quel giorno anche Alessandro Troncon sentì scorrere nel suo sangue un fremito, quando le cornamuse intonarono quella nenia. Era il 2003, torneo delle 6 nazioni, Scozia-Italia.
<BR>
<BR>Battaglia per evitare il cucchiaio di legno. Troncon è il mediano di mischia, il numero 9, quello basso e cattivo, il pirata che si getta nelle ruck per recuperare il pallone e rigiocarlo. Uno duro, insomma. Non si può perdere tempo, il tempo su un campo di rugby è troppo veloce. Siamo sotto di 5, si può fare ancora. Si deve fare. Gli scozzesi ribattono alla maniera antica. Gioco sporco, sudore ed esperienza. In una parola, picchiano come fabbri. Ma con cavalleria. Questo è rugby, signori. Il pallone è azzurro, mancano due minuti. Fallo scozzese. Mischia per noi. Troncon ha il pallone e sta per introdurlo. Ma…Matthew Phillips, il nostro terza-centro, è in piedi ma sanguina. Deve uscire, non si può giocare con una ferita. Ma Matthew è troppo importante per noi, troppissimo.
<BR>
<BR>Troncon lo sa. Va da Matthew, lo vuole in quella mischia, in fondo, a spingere come sempre. E poi, un gesto indimenticabile. Troncon prende un lembo della propria maglia e strofina la fonte di Matthew per togliere via il sangue. Matthew torna al suo posto, non è ancora finita. Torna in fondo a spingere, come sempre. Due minuti dopo è finita. Cucchiaio di legno per noi. Succede. Non importa.
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<BR>
<BR>Cosimo Cito
<BR><!-- BBCode Start --><IMG SRC="http://http://www.scrum.com/6nations/20 ... roncon.jpg"><!-- BBCode End -->
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DUE ANIME, UNA SOLA SQUADRA
<BR>L’esempio del rugby irlandese
<BR>
<BR>Là dove la politica divide, lo sport riesce ad unire. E quando la religione ed un odio secolare mettono in contrasto fratelli e sorelle, quando vengono messi di fronte persone dello stesso popolo, della medesima terra e dall’identico sangue, lo sport può sanare le divisioni e portare un grande messaggio di pace e tolleranza. Esemplare quanto assolutamente isolato è il caso della nazionale di rugby irlandese. L’unica, tra le discipline praticate nel paese di Joyce, che accomuna l’Eire e l’Irlanda del Nord, Dublino e Belfast.
<BR>
<BR>Proprio il rugby, nato e cresciuto nel Regno Unito, adorato quanto e più del calcio in Italia. Il palmares poi è di tutto prestigio, con 16 tornei “Sei Nazioni” vinti, e sei “Triple crown”, ovvero l’ambitissimo trofeo assegnato alla squadra britannica che riesce ad imporsi su Scozia, Inghilterra e Galles. La nazionale irlandese è tra le più forti con la palla ovale, sin dal lontano 1879, anno in cui vengono fuse le due federazioni, anche se i primi copiosi successi arrivano nel dopoguerra, a partire dalla prima vittoria nell’allora “Cinque Nazioni” nel 1948.
<BR>
<BR>Teatro delle gesta irlandesi è il “Landsdowne Road” di Dublino, celebre per essere il più antico stadio del mondo, oltre che per il suo ineguagliabile fascino. Qui la compagine in maglia verde si batte sotto l’unica bandiera di S.Patrizio, e fa dimenticare per ottanta minuti ogni due settimane la dolorosa separazione tra l’Eire e l’Ulster, incitata dalle note dell\'\'Ireland’s Call”, un’emozionante inno scritto appositamente dieci anni fa. Quale effetto sonoro da accompagnare alle toccanti parole della canzone, si aggiunge il coro, che ripete ogni volta, ad una tonalità più alta: “Schierati insieme, spalla contro spalla, noi risponderemo alla chiamata dell’Irlanda”.
<BR>
<BR>Di colpo i contrasti vengono dimenticati, e si lotta uniti per un unico obbiettivo: rendere più grande e gloriosa l’Irlanda, terra di poeti,scrittori,patrioti, e di un connubio speciale tra forze opposte, che si stringono insieme grazie all’immenso potere unificante dello sport.
<BR>
<BR>
<BR>Alessio Calfapietra
<BR><!-- BBCode Start --><IMG SRC="http://www.fotosports.it/images/2005020 ... B003CP.jpg"><!-- BBCode End -->
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IL TERZO TEMPO
<BR>Un avvenimento unico nel suo genere
<BR>
<BR>A volte può capitare di accendere la televisione ed assistere ad una partita di rugby. Lo spettatore viene colpito dalla grande mole degli atleti. Colpiscono anche i modi maschi e irruenti con i quali essi si affrontano: si spingono, si placcano a velocità devastanti, lottano senza darsi tregua per conquistare e mantenere un pallone dalla strana forma ovale.
<BR>
<BR>Ma la lotta viene esaltata al momento di conquistare la meta cioè il punto, perchè il giocatore in attacco sguscia come una anguilla tra gli avversari che con modi rudi e pesanti cercano di fermarlo. Vedi tutti questo e ti viene da pensare se questa aggressività avrà un seguito a fine partita, magari immaginandoti una specie di megarissa. Ma ti sbagli, perchè, se dovessimo citare un esempio di lealtà sportiva non potremmo non sottolineare un episodio che, per chi non segue da vicino il rugby, suscita curiosità, interesse e perchè no, ammirazione.
<BR>
<BR>Ovviamente stiamo parlando del cosidetto “terzo tempo” che non è un ulteriore appendice di una gara di rugby, ma più semplicemente consiste nell’uscita collettiva delle due squadre dopo il match per andare a bere una birra assieme. Questa pratica resa ormai universale tra i rugbysti, possiamo affermare che nobilita molto uno sport comunque maschio, ma già al contempo davvero signorile e corretto. La signorilità di questo sport parte da molto lontano, come lontane e nobili sono le sue origini (essendo nato nel 1846 in Inghilterra nel college dal medesimo nome).
<BR>
<BR>Anche i tifosi che vanno a vedere la partita allo stadio ne vengono contagiati; infatti essi qualunque sia il risultato lo accettano con grande sportività; lì non esiste un settore ospiti e non c’è un vero e proprio dispiegamento di forza pubblica atto ad evitare eventuali incidenti, perchè i supporters non sono mai dei facinorosi mischiati o prestati al tifo. Inoltre non capita quasi mai di vedere un giocatore lamentarsi con un arbitro per un fallo o un intervento ritenuto troppo duro ai suoi danni; probabilmente perchè tutti sono entrati nell’ottica che lo sport è questo e non esiste premeditazione nei contatti in campo fra i giocatori.
<BR>
<BR>Concludiamo dicendo: prendiamo esempio da questi “giganti buoni” del rugby e istituiamo il terzo tempo anche negli altri sport, per darvi un tocco di amicizia e di cordialità.
<BR>
<BR>
<BR>Calogero Fazio
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L´ESEMPIO NAMAU
<BR>Il Rugby come esperienza di vita
<BR>
<BR>La squadra di rugby Namau nasce nel 2004 grazie all\'iniziativa di alcuni giocatori e alla richiesta di altri. Definirla semplicemente una squadra e’ riduttivo, Namau infatti e’ un´associazione con scopi e finalità ben precise. Priorità del progetto e’ la formazione individuale e sportiva del giocatore: il rugby e’ lo sport collettivo per eccellenza, richiede oltre a doti fisiche anche virtù morali ed etiche come la lealtà e lo spirito di sacrificio, ma soprattutto, la fiducia in se stessi.
<BR>
<BR>È un gioco completo perché come sport di squadra coinvolge corpo e spirito, insegna non solo la destrezza finalizzata a superare l\'avversario in quanto ostacolo, ma anche la cooperazione, la disciplina, il rigore nell\'azione; il raggiungimento di uno stato di equilibrio fisico e morale dipende dalla consapevolezza delle azioni, dalla conoscenza dei propri limiti e delle proprie attitudini: quel qualcosa in più che, se generato e indotto nei modi giusti, regala ad uno sport la possibilità di divenire opportunità, stile di vita, socializzazione.
<BR>
<BR>È su questi presupposti che l´associazione si prefigura anche l´obiettivo di coinvolgere il maggior numero possibile di figure, istituzionali e private, affinché sia consentito agli amanti del rugby di poter disporre degli strumenti necessari a garantire un adeguato sviluppo, che salvaguardi sport e praticanti dallo sfrenato e dequalificante monopolio che spesso spadroneggia a scapito delle buone intenzioni. I vari protagonisti del mondo del rugby sono i giocatori, le associazioni sportive, le società, le leghe, le federazioni, i comitati: e’ da queste figure che dipende il buon esito e lo sfruttamento di tutte le opportunità in esso racchiuse.
<BR>
<BR>Fondatore e presidente della Namau è Giorgio De Angelis, giocatore romano, che grazie all’aiuto di alcuni \"colleghi\" rugbisti, provenienti da varie società, e’ riuscito a conferire alla squadra una filosofia ambiziosa, innovativa e altamente partecipativa; attualmente prima in classifica nel proprio girone di serie C, dalla quale per regolamento federale e’ dovuta ripartire, si prepara alle fase finale per la promozione in B. Na-Mau significa Nanni e Maurizio: giocatori ed amici fuori e dentro il campo, hanno dedicato al rugby gran parte della loro breve vita, grazie ad esso, hanno potuto e saputo trarre i principi che ora i suoi compagni della Namau vogliono veicolare come esempio di vita.
<BR>
<BR>
<BR>Francesca Di Rocco
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LE METE DEL \"CHE\"
<BR>L\'incontro e la passione per il rugby del giovane Ernesto Guevara
<BR>
<BR>
<BR>Gli amici del piccolo Ernesto praticavano uno sport straniero venuto dall’Inghilterra, il rugby. Un giorno Ernesto si presenta da loro, a Rio Primero, e chiede ad Alberto, mediano di mischia e capitano della squadra del Platense, di iniziarlo a questo sport. Alberto squadra il bimbo mingherlino, dalle guance scavate. “Tu vorresti giocare a rugby? Ti romperai le ossa….” Ma Ernesto non si arrese prese la palla sotto braccio e dimostrò quanto valeva correndo rapido e leggero, rialzandosi ancora più ostinato ogni volta che veniva placcato. Passò l’esame e da quel momento il suo sport divenne il rugby.
<BR>
<BR>Come soprannome da rugbista scelse “Fuser”, acronimo di Furibondo della Serna, non era uno scattista ma aveva un placcaggio devastante, che fece di lui un’ala di tutto rispetto. A volte doveva abbandonare il campo, colto da una crisi d’asma. Un compagno si tiene sempre pronto ad accorrere con un flacone di Ventolin in soccorso dell’adolescente che rischia di soffocare. Un giorno i suoi genitori lo costringeranno ad abbandonare il S.I.C. di Buenos Aires, dov’era stato ingaggiato. Ma Ernesto firmerà di nascosto un contratto con l’Atalaye, dove continuerà a giocare all’insaputa dei suoi. Il rugby, sport d’abnegazione, forza e coraggio, si adatta alla perfezione al suo carattere ed al suo gusto per la sfida. Dirà più tardi: il rugby mi ha aiutato ad affrontare i combattimenti più duri nella Sierra Maestra.
<BR>
<BR>
<BR>
<BR>Pompeo Polito
<BR><!-- BBCode Start --><IMG SRC="http://www.wesclark.com/rrr/che_guevara.jpg"><!-- BBCode End --><!-- BBCode Start --><IMG SRC="http://www.mibsasquerido.com.ar/Assets/ ... habano.jpg"><!-- BBCode End -->
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IL RUGBY: LA SALVEZZA DI LOMU
<BR>Quando l’incontro con lo sport può cambiare la vita
<BR>
<BR>Quella che sto per raccontare è una storia che sembra estrapolata dalle pagine di un romanzo. E’, invece, la vita di un uomo che ha avuto la fortuna di incontrare uno sport e di innamorarsene: sto parlando di Jonah Lomu e del rugby. Lomu è il rugbysta più famoso del mondo, della Nazionale di rugby più forte del mondo: la Neozelandese, nota come gli “All Blacks”. La vita di questo campione è stata, a dir poco, difficile. Nato ad Auckland, ebbe un’infanzia molto infelice: suo padre, alcolizzato, lo percuoteva duramente, spesso con un cavo elettrico.
<BR>
<BR>Fino a quando, un giorno, il giovane Lomu gettò il padre in terra. Cacciato di casa, iniziò anche Jonah a bere, a picchiare, a rubare. Ma gli sforzi della madre e l’amore per la “palla ovale” lo salvarono da una vita che sarebbe stata segnata, quasi sicuramente, dalla prigione o peggio. In seguito all’omicidio di suo zio, fatto a pezzi con un machete in un centro commerciale, venne mandato in un’ università, dove la disciplina e i valori ferrei erano al primo posto. E dove si giocava a rugby. L’ultimo anno di scuola diventò capitano della squadra e solo un anno dopo conquistò il ruolo di ala sinistra con la divisa nera degli “All Blacks”.
<BR>
<BR>I suoi risultati sportivi sono stati notevoli, soprattutto se si considera il fatto che ha giocato la maggior parte delle partite con un serio handicap di salute: una malattia al rene, la Sindrome Nefrotica, che l’ha colpito proprio all’apice della sua carriera. Le sue prestazioni sono state incredibili nelle stagioni del 1995 e del 1999 (anni delle 2 Coppe del mondo disputate), con una presenza fisica mai raggiunta prima. Rimasto agli “All Blacks” fino al 2002, giocò 73 partite, realizzando 37 mete e 185 punti. Ma non finisce qui: ha annunciato il suo ritorno il prossimo 4 giugno.
<BR>
<BR>Dopo il trapianto di rene dell’estate scorsa, ha una gran voglia di dimostrare che è ancora uno dei più grandi interpreti della storia del rugby e che “anche un trapiantato può avere una vita normale e tornare allo sport attivo”. Che bello vedere una persona che, dopo aver subito tanta violenza, si dedica con così tanta passione ad uno sport pulito, sportivo e leale qual è il rugby. “Nello sport non conta solo vincere in campo, tante vittorie sono più belle quando vengono conquistate fuori: e Lomu ne è la dimostrazione”: parole del Presidente del Coni Petrucci qualche mese fa.
<BR>
<BR>
<BR>Ilaria Dioguardi
<BR><!-- BBCode Start --><IMG SRC="http://www.jonahlomu.com/images/lomu_talk.jpg"><!-- BBCode End -->
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UNA META IN PARADISO
<BR>Ivan Francescato: una vita per il rugby
<BR>
<BR>Il rugby, dicono i vecchi giocatori (li riconosci dalle orecchie che sembrano fiori di zucca), ce l’hai nel sangue. Si tramanda di padre in figlio, si trasmette tra fratelli, unisce nipoti e cugini. Il rugby, dicono i vecchi giocatori (li riconosci dalle cicatrici a forma di cerniera lampo), ce l’hai addosso: quel profumo di terra e fango, quell’orgoglio di lividi e croste, quel senso dello stare insieme, bere insieme, giocare insieme. Squadra unita: tutti insieme. Mischia compatta: giù, insieme. Prima linea: braccia che si intrecciano, insieme.
<BR>
<BR>Il rugby, dicono i vecchi giocatori (li riconosci anche dai cognomi che sovente danno di bosco e di stalla: Spaccamonti, Scanavacca,Torchio, Troncon) è come una guerra, ma di trincea, quando in genere le munizioni sono finite da un pezzo e la conquista del terreno, metro dopo metro, si fa sulla propria pelle, all’arma bianca. Per tutto questo, dicono i vecchi giocatori (li riconosci anche quando sono in giacca e cravatta: infagottati), i rugbisti non muoiono mai, al massimo passano la palla. Il 19 Gennaio 1999 Ivan Francescato non è morto: ha solo passato la palla. Perché Ivan era uno di quelli che non perdeva mai l’ovale, lo teneva sempre vivo, e se era affossato in una mischia, lo tirava fuori e lo giocava, via, di nuovo dentro, oppure al largo verso l’ala, o ancora dietro, in sostegno, o in un soffio, verso la bandierina o in mezzo ai pali. Ivan Francescato, ultimo di 6 fratelli, tutti rugbisti, tutti tre-quarti centro.
<BR>
<BR>Ivan, “Tarzan” da ragazzino, quando si divertiva a scalare muri, cancellate, alberi. Ivan “Il Selvaggio”, per una timidezza naturale combattuta con l’esuberanza e la spavalderia, ed un riserbo che era soprattutto ritrosia a mettersi in mostra. Ivan il “Terribile”, sul campo, con il Benetton Treviso e la Nazionale, per quello scatto repentino con cui bruciava gli avversari, quell’ardore che lo portava a placcare le seconde linee, quei guizzi imperiosi che sfruttò presto trasformandosi in centro dopo aver lasciato la maglia n.9 all’amico Troncon.
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<BR>Sono passati sei anni ma Ivan non è morto, adesso sarà con i Barbarians, o con gli All Blacks, o su un qualsiasi campetto di terra, i capelli al vento, i calzettoni abbassati, le cicatrici come cerniere lampo, un pallone bislungo che ha appena passato, e due pali alti che- basta crederci- portano in paradiso.
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<BR>Donato Biancofiore
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THAKER
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Messaggio da THAKER »

VÀ DOVE TI PORTA L\'OVALE
<BR>La poetica storia della nazionale di Niue
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<BR>Negli ultimi giorni si è sentito molto parlare di uno sport solitamente poco seguito in Italia, patria di calciofili: il rugby. Come molti sanno infatti è da poco terminato il “sei nazioni”, il più importante torneo per nazionali, al quale partecipa anche l’Italia, sparring partner ( e purtroppo molto spesso vittima designata) dei mostri sacri di questo sport. Ma in pochi sanno che esistono anche competizioni minori e squadre certamente meno forti, ma parimenti meritevoli per impegno e dedizione.
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<BR>Tra queste vi è la squadra della piccola isola di Niue, in Oceania, 1000 abitanti e una passione smisurata per il rugby, che ha portato alla fondazione di una squadra “a sette” (pochi sanno che di questo sport esiste anche una versione ridotta) che partecipa alle competizioni più importanti, scontrandosi con le nazionali più forti, che hanno un parco di potenziali giocatori molto più ampio; basti pensare al fatto che in Nuova Zelanda o nell’isola di Samoa praticamente tutti i bambini vengono avviati alla pratica di questo nobile sport. Pur tra mille difficoltà, prime fra tutte la mancanza di campi da gioco e la difficoltà a reperire sponsor per il sostenimento delle inevitabili spese di gestione, la nazionale di Niue è riuscita a allestire una squadra competitiva, in grado addirittura di vincere nel 2003 a Manchester i “Comowelt Game”, battendo il Giappone.
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<BR>Ma il successo principale di questa squadra è l’esser riuscita a coinvolgere e appassionare un intero popolo, distogliendone in parte l’attenzione dalle tragedie presenti e passate (l’isola è stata letteralmente sconvolta un anno fa da un violento ciclone). Quando la nazionale gioca, il piccolo stadio della capitale (1500 posti) si riempie e si anima a festa, accompagnando con tifo incessante l’azione degli atleti in campo. Addirittura tutti gli emigrati all’estero tornano in patria per vivere una vera e propria festa nazionale, un rito impedibile, una questione di cuore. E allora via ad un vero spettacolo di folklore e passione, via alla sfida sportiva, giocata sempre con lealtà e sportività, con l’orgoglio patriottico che non scade mai nel disprezzo per la squadra avversaria.
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<BR>E’ bello pensare che in tutto questo c’è anche un po’ d’Italia; l’attuale c.t. di Niue infatti è Rick Takelagi, che in passato contribuì in maniera importante a creare dal nulla la squadra del Viadana, oggi una delle più forti in assoluto.
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<BR>Roberto Moscarella
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giemme
Messaggi: 28
Iscritto il: 27 giu 2005, 0:00

Messaggio da giemme »

thaker ma ke fai tu la notte???
<BR>bellissimi articoli. e foto
<BR>p.s. approfitto di voi esperti naviganti per inviare un messaggio nella palla da rugby: se qualcuno riesce a parlare con francia lo saluta x me??? grazie mille. ;-) ;-)
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