L\'ERBA DEL GIURATI
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billingham
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rèbbisti lombardi, compratevi la Repubblica di oggi: nelle pagine finali (La Repubblica - Milano) c\'è un racconto, molto bello, dedicato al rugby, e al Giurati, il mitico campo di Milano...l\'autore è Ettore Maria Negro (qualcuno ne sa qualcosa in più?) ed è corredato di foto di un ovale conteso da un po\' di mani in una touche, del bordocampo del Giurati e di Masi placcato da Stephen Jones...
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<BR>il racconto è davvero carino, ed è tutta una pagina dedicata al rèbi...mica poco, no?
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Invece di farmi un busto ed esporlo a Murrayfield, mi impaglieranno e mi appenderanno in una taverna (Roy Laidlaw)
Er tacce è robbba da froci (Jimmy Er Fregna)
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- fiore
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Anche se non c\'entra molto col rabbit, leggetevi Legno d\'Ulivo l\'ultima (e unica) fatica letteraria del Camilleri delle Murge.
<BR>Ho avuto l\'onore di giocare col Cannonatore con la maglia All Bluff... sigh...la mia ultima partita semi-ufficiale...
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L\'ERBA DEL GIURIATI
<BR>
<BR>Per me, che avevo ancora negli occhi i campi di terra battuta del mio assetato Salento, l\'erba del Giuriati, calpestata dai ragazzi che quella sera di autunno inoltrato si stavano allenando, emanava una fragranza che aveva un sapore mistico. Me ne stavo ai bordi del campo, a guardarli correre su e giù lungo la linea di touche, quando ad un tratto mi capitò di alzare lo sguardo oltre le loro scarpe, oltre le maglie da allenamento onorate da buchi, rammendi e fango, ormai ben annidato nella trama del tessuto; oltre gli sbuffi dei respiri vigorosi che salivano nell\'aria gelida; e li vidi. I pali, talmente alti che a seguirne con gli occhi l\'impeto verso il cielo buio, ti veniva male al collo. Austeri e consapevoli guardiani della linea di meta, così diversi dai miseri pali di appena tre metri e quaranta che avevamo piantato nel campo pietroso di San Cesario, a pochi chilometri da Lecce. L\'Antoniu, allora, leggendo il mio sguardo di delusione mi assicurò: \"Sono regolamentari. Te parene curti, solo perchè quelli che si vedono in televisione sono longhi longhi, lunghissimi\".
<BR>Così mi aveva accolto il Giuriati la prima volta. Il rugby avevo cominciato a praticarlo per caso pochi anni prima, nel Salento. Presa la laurea a Milano, ero tornato nel Sud con le illusioni tipiche dei miei ventitrè anni. Una sera, in un locale dove si serviva vino e suonavano il jazz, avevo conosciuto un amico della mia ragazza-della-settimana, il quale, fissandomi con quello sguardo che avrei imparato a riconoscere sui campi da gioco (non mi faccio mettere sotto), mi chiese: \"Ti piacerebbe giocare a rugby? Stiamo costituendo una nuova squadra\". Mi sarebbe piaciuto, certo. E così mi trovai ad inseguire una palla ovale su campi in terra battuta insidiati da pietre nascoste che spuntavano traditrici ad ogni placcaggio, a celebrare il rito che rende quindici compagni uniti e saldi, e ad imparare i rudimenti della regola dell\'unico ordine cavalleresco che esista ancora: quando l\'arbitro fischia, ti schieri indietro dieci metri, subito, senza fiatare; se giochi scorrettamente, aspettati di ricevere un pugno in faccia, e poi non ti lamentare; quando cadi per terra, o ti rialzi subito o vuol dire che devi uscire in barella, non lasci mai i compagni soli.
<BR>Durò poco, meno di due anni. Esigenze di lavoro mi riportarono a Milano. Durante l\'Università mi ero accontentato di vivere in quella fetta di città che va da piazza Sant\'Ambrogio sino a corso di Porta Romana, con pochi punti di riferimento: l\'Università Cattolica, il collegio universitario in via Mercalli, il Bar Quadronno, e la Libreria Porta Romana. Ma quando tornai, avevo bisogno d\'altro. Dopo avere appreso i rudimenti del rugby dovevo cercarmi un campo da gioco. Mi indicarono il Giuriati. La prima volta, quando ci arrivai dopo essermi perso nel reticolo di strade di Città Studi e vidi l\'erba, e quei pali così alti, provai quello che deve provare uno scrittore (uno vero), quando gli annunciano che ha vinto il Nobel. Quella volta, tuttavia, non riuscii a calpestare l\'erba del Giuriati. Quella sera parlai con due o tre persone, mi diedero le informazioni che avevo chiesto: ma dopo pochi giorni cominciai a lavorare, e tempo per gli allenamenti non ne ho più avuto. E poi avevo appena conosciuto una ragazza, e finito di lavorare correvo da lei. Per cui, il Giuriati tornò ad essere un\'idea persa nella nebbia. Ma il rugby, come passione, non mi abbandonò. Perchè quando lo conosci, ti entra nell\'anima e non ti lascia più. Nel frattempo, la ragazza che avevo conosciuto tornando a Milano divenne mia moglie, e mi diede tre figli. Fu proprio grazie alla mia primogenita, che aveva sfogliato l\'album delle fotografie che ritraevano papà con la maglia del San Cesario sotto i piccoli pali, che il caso mi offrì una nuova opportunità.
<BR>La piccola pettegola riferì orgogliosa a una sua maestra della scuola materna il fatto che papà, quando guarda la televisione, guarda il rabbit. E rimarcò che aveva rifiutato la palla (sferica) che le aveva regalato la nonna, perchè in questa casa si gioca solo a rabbit. La maestra sapeva benissimo cos\'era il rabbit. Anche a casa sua, sventurata, si praticava soltanto quel gioco. Ma suo padre non era uno qualunque: era o\'Profeta, terza linea ala della Partenope, la squadra di Napoli che nel 1965 e nel 1966 fu Campione d\'Italia. La terza linea è un ruolo che richiede velocità e potenza: gazzella e rinoceronte ad un tempo, una lama d\'acciaio nei fianchi degli avversari. O\'Profeta tutte queste cose le portava negli occhi. Lo conobbi all\'inizio dell\'estate, e la voglia di tornare a giocare - mai sopita - rialzò la testa. O\'Profeta, che aveva questo soprannome perchè quando giocava aveva l\'aspetto ieratico che gli donavano capelli lunghi e baffi spioventi, aveva allenato le giovanili della gloriosa Amatori Milano. Conosceva tutti e mi portò ad assistere ad alcuni tornei, a feste organizzate alla fine del campionato. Mi rituffai così nello spirito del terzo tempo: dopo i due tempi regolamentari di una partita, la tradizione impone che i giocatori delle due squadre si uniscano in un convivio, pane, salame e birra per le squadre di serie C, smoking e ristorante a stelle multiple per il Sei Nazioni. Un mio amico diceva: \"Dopo che vi siete menati di santa ragione fate baldoria tutti insieme?\". Che ci volete fare? E\' lo spirito del rabbit, come dicono le mie figlie; della palla con le punte, come dice il mio ultimo nato, che mi fa invidia perchè a cinque anni conosce già l\'erba del Giuriati.
<BR>Fu quindi grazie a o\'Profeta che trovai una squadra con cui tornare ad allenarmi. E come succede nel rugby, quei compagni, nella vita, si sarebbero rivelati più che amici. Ebbi dunque la mia occasione: con le tempie già incanutite, entrai in campo da esordiente. Cominciò la partita, e sedere in panchina non mi dava nessun problema. Semmai, qualche problema lo ebbi all\'inizio del secondo tempo, quando l\'allenatore mi disse: \"Scaldati\". Lingua mortal non dice quel ch\'io sentiva in seno. Entrai in campo, e dopo pochi minuti la palla mi arrivò, dopo breve volo, tra le mani. Abbassai la testa, la strinsi al petto, e corsi in avanti. Gli avversari, le facce feroci, si mossero contro di me, ma sapevo che i miei compagni erano al mio fianco. Andai avanti, pestando sui piedi, respirando a bocca aperta, e un attimo prima dell\'impatto con l\'avversario che allargava le braccia per placcarmi portai la palla sul fianco destro, e con la spalla sinistra cozzai contro il suo sterno. Un altro avversario sopraggiunse e chiuse fra le sue braccia le mie gambe. Mentre cadevo sollevai la palla e la passai al compagno che mi era a fianco. E dato che le mani mi erano servite ad eseguire il passaggio, andrai a sbattere con la faccia per terra, a bocca aperta. Sentii un dolore al naso, alla fronte, ed in bocca il sapore acre dell\'erba. Ma non me ne fotteva più di tanto: finalmente, era l\'erba del Giuriati.
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<BR>Per me, che avevo ancora negli occhi i campi di terra battuta del mio assetato Salento, l\'erba del Giuriati, calpestata dai ragazzi che quella sera di autunno inoltrato si stavano allenando, emanava una fragranza che aveva un sapore mistico. Me ne stavo ai bordi del campo, a guardarli correre su e giù lungo la linea di touche, quando ad un tratto mi capitò di alzare lo sguardo oltre le loro scarpe, oltre le maglie da allenamento onorate da buchi, rammendi e fango, ormai ben annidato nella trama del tessuto; oltre gli sbuffi dei respiri vigorosi che salivano nell\'aria gelida; e li vidi. I pali, talmente alti che a seguirne con gli occhi l\'impeto verso il cielo buio, ti veniva male al collo. Austeri e consapevoli guardiani della linea di meta, così diversi dai miseri pali di appena tre metri e quaranta che avevamo piantato nel campo pietroso di San Cesario, a pochi chilometri da Lecce. L\'Antoniu, allora, leggendo il mio sguardo di delusione mi assicurò: \"Sono regolamentari. Te parene curti, solo perchè quelli che si vedono in televisione sono longhi longhi, lunghissimi\".
<BR>Così mi aveva accolto il Giuriati la prima volta. Il rugby avevo cominciato a praticarlo per caso pochi anni prima, nel Salento. Presa la laurea a Milano, ero tornato nel Sud con le illusioni tipiche dei miei ventitrè anni. Una sera, in un locale dove si serviva vino e suonavano il jazz, avevo conosciuto un amico della mia ragazza-della-settimana, il quale, fissandomi con quello sguardo che avrei imparato a riconoscere sui campi da gioco (non mi faccio mettere sotto), mi chiese: \"Ti piacerebbe giocare a rugby? Stiamo costituendo una nuova squadra\". Mi sarebbe piaciuto, certo. E così mi trovai ad inseguire una palla ovale su campi in terra battuta insidiati da pietre nascoste che spuntavano traditrici ad ogni placcaggio, a celebrare il rito che rende quindici compagni uniti e saldi, e ad imparare i rudimenti della regola dell\'unico ordine cavalleresco che esista ancora: quando l\'arbitro fischia, ti schieri indietro dieci metri, subito, senza fiatare; se giochi scorrettamente, aspettati di ricevere un pugno in faccia, e poi non ti lamentare; quando cadi per terra, o ti rialzi subito o vuol dire che devi uscire in barella, non lasci mai i compagni soli.
<BR>Durò poco, meno di due anni. Esigenze di lavoro mi riportarono a Milano. Durante l\'Università mi ero accontentato di vivere in quella fetta di città che va da piazza Sant\'Ambrogio sino a corso di Porta Romana, con pochi punti di riferimento: l\'Università Cattolica, il collegio universitario in via Mercalli, il Bar Quadronno, e la Libreria Porta Romana. Ma quando tornai, avevo bisogno d\'altro. Dopo avere appreso i rudimenti del rugby dovevo cercarmi un campo da gioco. Mi indicarono il Giuriati. La prima volta, quando ci arrivai dopo essermi perso nel reticolo di strade di Città Studi e vidi l\'erba, e quei pali così alti, provai quello che deve provare uno scrittore (uno vero), quando gli annunciano che ha vinto il Nobel. Quella volta, tuttavia, non riuscii a calpestare l\'erba del Giuriati. Quella sera parlai con due o tre persone, mi diedero le informazioni che avevo chiesto: ma dopo pochi giorni cominciai a lavorare, e tempo per gli allenamenti non ne ho più avuto. E poi avevo appena conosciuto una ragazza, e finito di lavorare correvo da lei. Per cui, il Giuriati tornò ad essere un\'idea persa nella nebbia. Ma il rugby, come passione, non mi abbandonò. Perchè quando lo conosci, ti entra nell\'anima e non ti lascia più. Nel frattempo, la ragazza che avevo conosciuto tornando a Milano divenne mia moglie, e mi diede tre figli. Fu proprio grazie alla mia primogenita, che aveva sfogliato l\'album delle fotografie che ritraevano papà con la maglia del San Cesario sotto i piccoli pali, che il caso mi offrì una nuova opportunità.
<BR>La piccola pettegola riferì orgogliosa a una sua maestra della scuola materna il fatto che papà, quando guarda la televisione, guarda il rabbit. E rimarcò che aveva rifiutato la palla (sferica) che le aveva regalato la nonna, perchè in questa casa si gioca solo a rabbit. La maestra sapeva benissimo cos\'era il rabbit. Anche a casa sua, sventurata, si praticava soltanto quel gioco. Ma suo padre non era uno qualunque: era o\'Profeta, terza linea ala della Partenope, la squadra di Napoli che nel 1965 e nel 1966 fu Campione d\'Italia. La terza linea è un ruolo che richiede velocità e potenza: gazzella e rinoceronte ad un tempo, una lama d\'acciaio nei fianchi degli avversari. O\'Profeta tutte queste cose le portava negli occhi. Lo conobbi all\'inizio dell\'estate, e la voglia di tornare a giocare - mai sopita - rialzò la testa. O\'Profeta, che aveva questo soprannome perchè quando giocava aveva l\'aspetto ieratico che gli donavano capelli lunghi e baffi spioventi, aveva allenato le giovanili della gloriosa Amatori Milano. Conosceva tutti e mi portò ad assistere ad alcuni tornei, a feste organizzate alla fine del campionato. Mi rituffai così nello spirito del terzo tempo: dopo i due tempi regolamentari di una partita, la tradizione impone che i giocatori delle due squadre si uniscano in un convivio, pane, salame e birra per le squadre di serie C, smoking e ristorante a stelle multiple per il Sei Nazioni. Un mio amico diceva: \"Dopo che vi siete menati di santa ragione fate baldoria tutti insieme?\". Che ci volete fare? E\' lo spirito del rabbit, come dicono le mie figlie; della palla con le punte, come dice il mio ultimo nato, che mi fa invidia perchè a cinque anni conosce già l\'erba del Giuriati.
<BR>Fu quindi grazie a o\'Profeta che trovai una squadra con cui tornare ad allenarmi. E come succede nel rugby, quei compagni, nella vita, si sarebbero rivelati più che amici. Ebbi dunque la mia occasione: con le tempie già incanutite, entrai in campo da esordiente. Cominciò la partita, e sedere in panchina non mi dava nessun problema. Semmai, qualche problema lo ebbi all\'inizio del secondo tempo, quando l\'allenatore mi disse: \"Scaldati\". Lingua mortal non dice quel ch\'io sentiva in seno. Entrai in campo, e dopo pochi minuti la palla mi arrivò, dopo breve volo, tra le mani. Abbassai la testa, la strinsi al petto, e corsi in avanti. Gli avversari, le facce feroci, si mossero contro di me, ma sapevo che i miei compagni erano al mio fianco. Andai avanti, pestando sui piedi, respirando a bocca aperta, e un attimo prima dell\'impatto con l\'avversario che allargava le braccia per placcarmi portai la palla sul fianco destro, e con la spalla sinistra cozzai contro il suo sterno. Un altro avversario sopraggiunse e chiuse fra le sue braccia le mie gambe. Mentre cadevo sollevai la palla e la passai al compagno che mi era a fianco. E dato che le mani mi erano servite ad eseguire il passaggio, andrai a sbattere con la faccia per terra, a bocca aperta. Sentii un dolore al naso, alla fronte, ed in bocca il sapore acre dell\'erba. Ma non me ne fotteva più di tanto: finalmente, era l\'erba del Giuriati.
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<BR> 03-08-2005 alle ore 12:14, THAKER wrote:
<BR>Bravissimo e sbattilo pure in home page tra gli articoli, dabbravo!
<BR></BLOCKQUOTE></FONT></TD></TR><TR><TD><HR></TD></TR></TABLE><!-- BBCode Quote End -->
<BR>
<BR>fatto
<BR> 03-08-2005 alle ore 12:14, THAKER wrote:
<BR>Bravissimo e sbattilo pure in home page tra gli articoli, dabbravo!
<BR></BLOCKQUOTE></FONT></TD></TR><TR><TD><HR></TD></TR></TABLE><!-- BBCode Quote End -->
<BR>
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<BR> 15-08-2005 alle ore 18:24, BERGHEN wrote:
<BR>penotti alti un metro!
<BR></BLOCKQUOTE></FONT></TD></TR><TR><TD><HR></TD></TR></TABLE><!-- BBCode Quote End -->
<BR>
<BR>
cosa alto un metro?
<BR>
<BR><!-- BBCode Quote Start --><TABLE BORDER=0 ALIGN=CENTER WIDTH=85%><TR><TD><font size=-1>Quote:</font><HR></TD></TR><TR><TD><FONT SIZE=-1><BLOCKQUOTE>
<BR>per chi non mastica il venexian, \"pelle d\'oca a go go\"
<BR></BLOCKQUOTE></FONT></TD></TR><TR><TD><HR></TD></TR></TABLE><!-- BBCode Quote End -->
<BR>
<BR>aaaaah....pheew![Mr. Green :-]](./images/smilies/icon_mrgreen.gif)
<BR> 15-08-2005 alle ore 18:24, BERGHEN wrote:
<BR>penotti alti un metro!
<BR></BLOCKQUOTE></FONT></TD></TR><TR><TD><HR></TD></TR></TABLE><!-- BBCode Quote End -->
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<BR><!-- BBCode Quote Start --><TABLE BORDER=0 ALIGN=CENTER WIDTH=85%><TR><TD><font size=-1>Quote:</font><HR></TD></TR><TR><TD><FONT SIZE=-1><BLOCKQUOTE>
<BR>per chi non mastica il venexian, \"pelle d\'oca a go go\"
<BR></BLOCKQUOTE></FONT></TD></TR><TR><TD><HR></TD></TR></TABLE><!-- BBCode Quote End -->
<BR>
<BR>aaaaah....pheew
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