OT: L'antica Alleanza Rugby Atletica
Moderatore: Emy77
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halfback
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Intanto diamo a Flavia Severin quello che le compete. Che, cioè, non solo è pilone della nazionale - anche se nel 6N a Roma l'ho vista giocare 2^ linea - ma è stata anche nazionale di lancio del peso U18 e U20: ha un personale non lontano dai 14 metri, che per un'atleta juniores "non interamente specializzata" è decisamente interessante.
Visto che in altra sede ho parlato di Elio De Anna, non so se Willimoski si riferisse a lui quando scrive:
"Anche D'anna in quegli anni arrivò al rugby dall'atletica".
E' verissimo che De Anna era decatleta del Cus Ferrara durante i suoi anni universitari (quasi 6000 punti con la vecchia tabella 1964) e al contempo aveva discrete doti di velocità: faceva 10.7 sui 100m.
Passò al rugby solo a 20 anni, perchè i ferraresi dovevano andare a giocare a Rovigo e, in difficoltà con gli infortuni, schierarono Elio come centro. Nella mezz'ora di treno che c'è da Ferrara a Rovigo, l'allenatore gli spiegò in fretta il succo delle regole e - quando entrò in campo per la sua prima partita - il futuro capitano della Nazionale sapeva solo che "il rugby è un gioco nel quale bisogna andare avanti passando la palla indietro".
Comunque, nei paesi anglosassoni e del SH, è assolutamente normale che si faccia atletica e rugby contemporaneamente, anche ad alto livello.
Casi abbastanza recenti nell'Irlanda: Costello è stato primatista irlandese di lancio del peso (e 10° ai Mondiali juniores del'88) e un pilone degli anni '80/'90 che forse ricorderete, Gary Halpin, partecipò nel martello ai Mondiali di Roma '87.
Forse gli appassionati aquilani ricorderanno il sudafricano Visagie, che durante la sua militanza in neroverde gareggiò spesso anche in Italia nel disco con la maglia della Pol. L'Aquila '80.
Da noi, a parte la vicenda del discobolo Marco Brandizzi - recentemente scomparso, ex Cus Roma - ho notato che soprattutto i preparatori atletici passano al rugby con frequenza: non so, Stefano Rasori (Capitolina e Nazionali giovanili, già sprinter da 10.3) o Giovanni Sanguin (Calvisano, ex martellista azzurro), oltre al già ricordato caso di Gianfranco Beda, che ancora allena l'attuale campione italiano dell'asta Giorgio Piantella.
Comunque è storia antica: nell'articolo di Cimbrico è ricordato anche il principe Obolenskiy - che in un altro thread ho definito "il primo equiparato" della storia del rugby - e il prinicipe russo correva le 100 yards in 9.8 in un'epoca in cui le piste migliori erano in terra rossa o in carbonella (come correre i 100m in 10.6/10.7).
Visto che in altra sede ho parlato di Elio De Anna, non so se Willimoski si riferisse a lui quando scrive:
"Anche D'anna in quegli anni arrivò al rugby dall'atletica".
E' verissimo che De Anna era decatleta del Cus Ferrara durante i suoi anni universitari (quasi 6000 punti con la vecchia tabella 1964) e al contempo aveva discrete doti di velocità: faceva 10.7 sui 100m.
Passò al rugby solo a 20 anni, perchè i ferraresi dovevano andare a giocare a Rovigo e, in difficoltà con gli infortuni, schierarono Elio come centro. Nella mezz'ora di treno che c'è da Ferrara a Rovigo, l'allenatore gli spiegò in fretta il succo delle regole e - quando entrò in campo per la sua prima partita - il futuro capitano della Nazionale sapeva solo che "il rugby è un gioco nel quale bisogna andare avanti passando la palla indietro".
Comunque, nei paesi anglosassoni e del SH, è assolutamente normale che si faccia atletica e rugby contemporaneamente, anche ad alto livello.
Casi abbastanza recenti nell'Irlanda: Costello è stato primatista irlandese di lancio del peso (e 10° ai Mondiali juniores del'88) e un pilone degli anni '80/'90 che forse ricorderete, Gary Halpin, partecipò nel martello ai Mondiali di Roma '87.
Forse gli appassionati aquilani ricorderanno il sudafricano Visagie, che durante la sua militanza in neroverde gareggiò spesso anche in Italia nel disco con la maglia della Pol. L'Aquila '80.
Da noi, a parte la vicenda del discobolo Marco Brandizzi - recentemente scomparso, ex Cus Roma - ho notato che soprattutto i preparatori atletici passano al rugby con frequenza: non so, Stefano Rasori (Capitolina e Nazionali giovanili, già sprinter da 10.3) o Giovanni Sanguin (Calvisano, ex martellista azzurro), oltre al già ricordato caso di Gianfranco Beda, che ancora allena l'attuale campione italiano dell'asta Giorgio Piantella.
Comunque è storia antica: nell'articolo di Cimbrico è ricordato anche il principe Obolenskiy - che in un altro thread ho definito "il primo equiparato" della storia del rugby - e il prinicipe russo correva le 100 yards in 9.8 in un'epoca in cui le piste migliori erano in terra rossa o in carbonella (come correre i 100m in 10.6/10.7).
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GRUN
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Mi permetto una piccola integrazione all'intervento, che denota molta competenza, di halfback: Victor Costello nel 1992 ha partecipato alle Olimpiadi di Barcellona, gareggiando appunto nel lancio del peso e venendo eliminato nelle qualificazioni (aveva un personale inferiore ai 19 metri e con quelle misure non poteva competere con gli altri colossi della specialità). Coronato il suo sogno di partecipare ad un Olimpiade, abbandonò l'atletica perché, come dichiarò in un'intervista, aveva constatato che per raggiungere i massimi livelli nel lancio del peso bisognava fare ricorso a pratiche dopanti. Riprese così a giocare a rugby, già praticato a lvello scolastico, nel 1993 con la maglia di Connacht, poi passò nel 1996 ai London Irish ed infine ritornò a giocare in Irlanda con Leinster, totalizzando 127 partite ufficiali e 14 mete con quella maglia. E' stato 39 nazionale irlandese.
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GRUN
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Marcello Fiasconaro, al quale si è fatto riferimento in questo 3D, ritornò al rugby dopo i campionati europei del 1974, che si disputarono a Roma. Fiasconaro arrivò all'appuntamento già sfibrato da quei problemi ai tendini che lo avrebbero costretto all'abbandono, Malgrado una preparazione molto precaria e dolori lancinanti, riuscì ad approdare alla finale, che fu di un livello incredibilmente alto. Partì fortissimo, cercando di fare gara sul ritmo, lui che non aveva uno sprint finale brillantissimo. Tirò un primo giro super veloce, fungendo però in pratica da lepre per gli altri. L'Olimpico, incredulo, si esaltò e accompagnò Fiasconaro con un ruggito indimenticabile, superiore anche a quello emesso per la vittoria di Mennea sui 200 metri. Fiasconaro, probabilmente esaltato dall'atmosfera, rimase in testa fino ai seicento, poi, alla penultima curva, iniziò il calvario. Superato dai migliori, che erano ottocentisti di grande classe, come i tempi finali avrebbero confermato, trascorse i venticinque secondi più tristi della sua vita di sportivo, capendo che stavano frantumandosi tutti i suoi sogni. Lo stadio piombò in un silenzio subitaneo e depresso, mentre lo jugoslavo Luciano Susanj, col formidabile tempo di 1.44.1 andava a precedere il giovane, e destinato a future immensità, Steve Ovett ed il finlandese Taskinen. Fiasconaro, con un soprassalto di orgoglio, posso dirlo?, rugbistico, zoppicando ed ansimando, rifiutò la carità dell'ultimo posto, e chiuse sesto. Dopo qualche secondo di smarrimento, col ragazzone nato in Sudafrica piegato in due dal dolore, dalla fatica e dalla consapevolezza che era il suo ultimo ballo, gli spettatori partirono con un applauso lungo e commovente. Avevano capito il dramma sportivo di Fiasconaro ed avevano apprezzato la sua dignità. Così tornò al rugby, antico amore, trasferendosi a Milano. Non era, a dire la verità, un grande giocatore; schierato prevalntemente centro, mancava di quell'esplosività capace di fare la differenza. Ma chi lo ha conosciuto lo descrive come una persona squisita, uno magnifico compagno di squadra che si faceva perdonare volentieri eventuali carenze tecniche.
- jaco
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Ricordo una partita di Fiasconaro a San Donà e posso dire, a conferma di quanto dice GRUN, che il Fisconaro atleta immenso poco aveva a che fare con il rugbysta non proprio straordinario: se palla in mano aveva certo qualche dote ragguardevole, in fase difensiva deficitava parecchio. Il pubblico lo beccava un po' perchè era di quelli (almeno nella partita che ho visto io) che usciva dal campo dopo gli 80' praticamente con la maglia pulita...
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JPR
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riccio
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Che bello leggere quello che hai scritto. Fiasconaro era uno sportivo vero uno di quelli che prende e comincia a correre, che differenza con gli sportivi di oggi creati in laboratorio, tutti programmazione e analisi. Uno che peraltro stabilisce il record di imbattibilità di un record. Incarnava la vera essenza dello sport, quella ormai perduta.GRUN ha scritto:Marcello Fiasconaro, al quale si è fatto riferimento in questo 3D, ritornò al rugby dopo i campionati europei del 1974, che si disputarono a Roma. Fiasconaro arrivò all'appuntamento già sfibrato da quei problemi ai tendini che lo avrebbero costretto all'abbandono, Malgrado una preparazione molto precaria e dolori lancinanti, riuscì ad approdare alla finale, che fu di un livello incredibilmente alto. Partì fortissimo, cercando di fare gara sul ritmo, lui che non aveva uno sprint finale brillantissimo. Tirò un primo giro super veloce, fungendo però in pratica da lepre per gli altri. L'Olimpico, incredulo, si esaltò e accompagnò Fiasconaro con un ruggito indimenticabile, superiore anche a quello emesso per la vittoria di Mennea sui 200 metri. Fiasconaro, probabilmente esaltato dall'atmosfera, rimase in testa fino ai seicento, poi, alla penultima curva, iniziò il calvario. Superato dai migliori, che erano ottocentisti di grande classe, come i tempi finali avrebbero confermato, trascorse i venticinque secondi più tristi della sua vita di sportivo, capendo che stavano frantumandosi tutti i suoi sogni. Lo stadio piombò in un silenzio subitaneo e depresso, mentre lo jugoslavo Luciano Susanj, col formidabile tempo di 1.44.1 andava a precedere il giovane, e destinato a future immensità, Steve Ovett ed il finlandese Taskinen. Fiasconaro, con un soprassalto di orgoglio, posso dirlo?, rugbistico, zoppicando ed ansimando, rifiutò la carità dell'ultimo posto, e chiuse sesto. Dopo qualche secondo di smarrimento, col ragazzone nato in Sudafrica piegato in due dal dolore, dalla fatica e dalla consapevolezza che era il suo ultimo ballo, gli spettatori partirono con un applauso lungo e commovente. Avevano capito il dramma sportivo di Fiasconaro ed avevano apprezzato la sua dignità. Così tornò al rugby, antico amore, trasferendosi a Milano. Non era, a dire la verità, un grande giocatore; schierato prevalntemente centro, mancava di quell'esplosività capace di fare la differenza. Ma chi lo ha conosciuto lo descrive come una persona squisita, uno magnifico compagno di squadra che si faceva perdonare volentieri eventuali carenze tecniche.
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halfback
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Vedo che anche Grun conserva un commosso ricordo del Fiasconaro atleta: non sono invece stato fortunato come Jaco, che l'ha addirittura visto di persona sul campo da rugby.
Per accreditare la figura di grandissimo atleta di March, vorrei ricordare che agli Europei di Helsinki '71 - suo vero esordio in maglia azzurra - Fiasconaro venne battuto nella finale dei 400m per soli 4/100 dallo scozzese David Jenkins (45.45 contro 45.49), allora presentato come outsider, ma poi atleta di vertice per diverse stagioni. Solo che, qualche anno più tardi, Jenkins venne arrestato come trafficante internazionale di prodotti dopanti tra l'Europa e gli Stati Uniti: per dire che qualche dubbio sugli improvvisi progressi dello scozzese forse erano più che legittimi.
Grun fa un toccante e coinvolgente racconto della finale europea degli 800m a Roma '74, con quel doloroso rettilineo finale di Fiasconaro, sostenuto solo dall'orgoglio: ma vorrei ricordare, sotto un profilo più tecnico, che l'impresa del primato mondiale di Milano, nel giugno '73, è veramente una di quelle vicende che fanno ancora epoca. Allora non era ancora ufficializzato il ruolo delle "lepri" nel mezzofondo, benchè gli organizzatori di meeting ne ingaggiassero di ben mimetizzate con sotterfugi vari: ma all'Arena Civica si disputava un incontro internazionale Italia-Cecoslovacchia, ovviamente senza partecipazione di lepri, nè vere nè presunte. E Fiasconaro costruì quel record da 1'43"7 (tuttora primato italiano, nonostante Andrea Longo) correndo da solo in testa dall'inizio alla fine: lo slovacco (allora anche "ceco") Jozef Plachy, che pure era un ottimo specialista, lo vide solo alla partenza e all'arrivo e - nonsotante tutto - chiuse in 1'45"9, tempo di tutto rispetto per quegli anni.
Da ultimo vorrei riconoscere, nella vicenda Fiasconaro, i meriti e la lungimiranza di uno straordinario dirigente sportivo italiano come Primo Nebiolo: poichè anche nell'atletica, come nel rugby, è sempre esistita la "cricca" di estrazione britannica, nei 20 anni della sua dirigenza internazionale la fronda d'Oltremanica lo chiamò con gli epiteti più infamanti, da "mafioso" a "delinquente". Voglio solo ricordare che Nebiolo introdusse il suffragio universale nelle assemblee internazionali della Iaaf (celebre la sua battuta: "Malta conta come gli Stati Uniti ...") e questa apertura democratica bruciava molto agli aristocratici snob che avevano governato l'atletica in precedenza: se fosse stato per loro, i negri dovevano ancora stare a pulire i cessi della federazione internazionale, non a misurarsi su una pista. Salvo i figli del Commonwealth, visto che erano quelli che portavano record e medaglie per la gloria della Corona ...
Per accreditare la figura di grandissimo atleta di March, vorrei ricordare che agli Europei di Helsinki '71 - suo vero esordio in maglia azzurra - Fiasconaro venne battuto nella finale dei 400m per soli 4/100 dallo scozzese David Jenkins (45.45 contro 45.49), allora presentato come outsider, ma poi atleta di vertice per diverse stagioni. Solo che, qualche anno più tardi, Jenkins venne arrestato come trafficante internazionale di prodotti dopanti tra l'Europa e gli Stati Uniti: per dire che qualche dubbio sugli improvvisi progressi dello scozzese forse erano più che legittimi.
Grun fa un toccante e coinvolgente racconto della finale europea degli 800m a Roma '74, con quel doloroso rettilineo finale di Fiasconaro, sostenuto solo dall'orgoglio: ma vorrei ricordare, sotto un profilo più tecnico, che l'impresa del primato mondiale di Milano, nel giugno '73, è veramente una di quelle vicende che fanno ancora epoca. Allora non era ancora ufficializzato il ruolo delle "lepri" nel mezzofondo, benchè gli organizzatori di meeting ne ingaggiassero di ben mimetizzate con sotterfugi vari: ma all'Arena Civica si disputava un incontro internazionale Italia-Cecoslovacchia, ovviamente senza partecipazione di lepri, nè vere nè presunte. E Fiasconaro costruì quel record da 1'43"7 (tuttora primato italiano, nonostante Andrea Longo) correndo da solo in testa dall'inizio alla fine: lo slovacco (allora anche "ceco") Jozef Plachy, che pure era un ottimo specialista, lo vide solo alla partenza e all'arrivo e - nonsotante tutto - chiuse in 1'45"9, tempo di tutto rispetto per quegli anni.
Da ultimo vorrei riconoscere, nella vicenda Fiasconaro, i meriti e la lungimiranza di uno straordinario dirigente sportivo italiano come Primo Nebiolo: poichè anche nell'atletica, come nel rugby, è sempre esistita la "cricca" di estrazione britannica, nei 20 anni della sua dirigenza internazionale la fronda d'Oltremanica lo chiamò con gli epiteti più infamanti, da "mafioso" a "delinquente". Voglio solo ricordare che Nebiolo introdusse il suffragio universale nelle assemblee internazionali della Iaaf (celebre la sua battuta: "Malta conta come gli Stati Uniti ...") e questa apertura democratica bruciava molto agli aristocratici snob che avevano governato l'atletica in precedenza: se fosse stato per loro, i negri dovevano ancora stare a pulire i cessi della federazione internazionale, non a misurarsi su una pista. Salvo i figli del Commonwealth, visto che erano quelli che portavano record e medaglie per la gloria della Corona ...