Per quanto riguarda il penale, riporto una massima della Cassazione del 2004: per la Suprema Corte, il reato sussiste qualora colui che trasmette la in pubblico faccia pagare il pubblico per la visione, o comunque ne tragga profitto: si può difendersi in questo caso eccependo che una Club house faccia pagare le birre consumate solo per rientrare delle spese delle stesse, quindi non ci sia scopo di lucro. In questo caso, il reato di cui all'articolo 171 della Legge 633/41 (si, è proprio una legge del 1941...) non sussiste. Questo esclude il penale, ma non le sanzioni amministrative, ed il diritto di SKY a rivalersi dei danni in sede civile
LS 22 aprile 1941 n. 633 art. 171 L.
In tema di tutela del diritto d'autore, l'uso di una scheda elettronica (smart card) che consente la ricezione dei programmi televisivi "criptati" in un locale dove il pubblico accede a pagamento configura il reato di cui all'art. 171 ter l. 633/1941, se il contratto posto in essere con la società di trasmissione dei programmi preveda l'uso strettamente personale e familiare di tale strumento.
Cassazione penale , sez. III, 07 aprile 2004, n. 23221
Qui c'è il commento alla massima: lo so, è un pò lungo, ma lo posto per chi abbia voglia di leggerlo:
Nota a :
Cassazione penale , 07 Aprile 2004, n. 23221 sez. III
"Taroccare" la smart card è reato: sì, no, forse. Giurisprudenza al bivio
D&G 2004, 28, 18
Aldo Natalini
Magistrato onorario - Avvocato
Una fattispecie prima depenalizzata e poi... ripenalizzata
Usare una smart card che consente la ricezione ad uso domestico dei programmi della pay- tv in un locale ove il pubblico accede a pagamento, configura il reato di cui all'articolo 171ter comma 1 lettera e) della legge 633/1941. Così la Cassazione con la sentenza 23221/2004, depositata il 18 maggio 2004 scorso - e qui pubblicata a p. 22 - secondo la quale "quando il contratto posto in essere con la società di trasmissione dei programmi preveda l'uso strettamente personale e familiare di tale strumento" è da escludersi una qualunque diversa "utilizzazione a fini commerciali".
Il fatto: il reato ex articolo 171 ter comma 1 lettera e)
Legge 633/41
Questi, in sintesi, i fatti. Nel corso di un normale controllo eseguito presso una pizzeria brindisina, la polizia postale constava la presenza di un televisore che trasmetteva una partita di calcio mandata in onda dall'emittente Sky; gli investigatori accertavano, altresì, che la smart card inserita nel decoder connesso all'apparecchio televisivo era abbinata ad un contratto ad esclusivo uso domestico stipulato dal gestore del locale. Rilevato allora come la diffusione dei programmi trasmessi da Sky era stata estesa dall'ambito familiare a quello (ben più vasto e più oneroso) della clientela di quell'esercizio, gli operanti provvedevano a sottoporre a sequestro sia il decoder che la smart card, ritenuti corpo del reato di cui all'articolo 171 ter , comma 1 lettera e) legge 633/41, che punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 2.582 a 25.822 "se il fatto è commesso per uso non personale "chiunque"a fini di lucro [oggi, dopo la legge 128/04: "per trarne profitto", nda] in assenza di accordo con il legittimo distributore, ritrasmette o diffonde con qualsiasi mezzo un servizio criptato ricevuto per mezzo di apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni ad accesso condizionato".
La disposta convalida veniva però successivamente annullata dal Tribunale della libertà di Brindisi, che ordinava la restituzione di quanto sequestrato non ritenendo sussistente il fumus commissi delicti.
Proponeva allora ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi, il quale eccepiva come la diffusione a fini commerciali di trasmissioni criptate, in relazione alle quali l'accordo con il gestore fosse stato di tipo domestico, avesse da sempre integrato, in forza di giurisprudenza consolidata, il contestato reato.
La sentenza 23221/04e il (confuso) quadro normativo di riferimento
Secondo la Terza sezione della Cassazione, il ricorso del rappresentante della pubblica accusa è fondato e va accolto: "è vero - ammettono i giudici supremi - che la materia della diffusione non autorizzata di trasmissioni criptate è stata più volte sottoposta ad interventi normativi non omogenei, la cui successione nel tempo ha ingenerato non pochi problemi esegetici [...] ma è anche vero che la Suprema corte ha sentenziato che, in tema di tutela del diritto d'autore, l'uso di una scheda elettronica (smart card) che consente la ricezione dei programmi televisivi a pagamento in un locale dove, appunto, la gente accede a pagamento, configura il reato di cui all'articolo 171ter della legge 633/41: quando il contratto posto in essere con la società di trasmissione dei programmi preveda l'uso strettamente personale e familiare di tale strumento, con l'implicata esclusione di una qualunque utilizzazione a fini commerciali ( C a s s a z i o n e Sezione terza 3 1 5 7 9 / 0 2 , Martina)".
Tanto basta agli "ermellini" del Palazzaccio per annullare l'ordinanza impugnata e disporre il rinvio al Tribunale di Brindisi per il prosieguo. Ben sussi ste - ad avviso di Piazza Cavour - il reato di cui all'articolo
L'impostazione del problema. Com'è chiaro, la succinta motivazione esibita oggi dalla sentenza 23221/04 non pare idonea ad assorbire i tanti problemi ese getici connessi all'inquadramento normativo delle condotte di abusivo sfruttamento di strumenti elettronici per l'accesso alla pay-tv, siccome afferenti, più in generale, alla mutevole disciplina penal-sanzionatoria sul diritto d'autore, ri petutamente "bersagliata" da rimaneggiamenti legislativi, tutt'altro che coerenti e perspicui (in dottrina, sull'argomento, v. per tutti D. Minotti, Diritto d'autore e disciplina penale dopo la legge 248/00, in A. Sirotti Gaudenzi, Il nuovo diritto d'autore, Rimini, 2002, p. 366 s.; A. Calice-C. Parodi, Un mistero italiano: la normativa sulla tutela delle trasmissioni televisive, in Diritto penale e processo, 2002, p. 637 s.).
La depenalizzazione "accidentale" operata dal D.Lgs
373/00. Per quel che qui rileva, va ricordato come all'indomani delle innovazioni introdotte dalla legge 248/00 (che ha riscritto, inasprendolo, il sistema delle sanzioni penali della vecchia legge 633/41) è subentrata l'"accidentale" depenalizzazione compiuta col D.Lgs 373/00. Tale provvedimento (di attuazione della direttiva 98/84/Ce sulla tutela dei servizi ad accesso condizionato e dei servizi di accesso condizionato) ha assoggettato alla sola sanzione amministrativa la fabbricazione, l'importazione, la distribuzione, la vendita, il noleggio ovvero il possesso (articolo 4 lettera a), così come l'installazione, la ma-utenzione o la sostituzione (articolo 4 lettera b) a fini commerciali per promuoverne la distribuzione e l'uso (articolo 4 lettera c), di apparecchiature o programmi per elaboratori elettronici concepiti od adattati al fine di rendere possibile l'accesso ad un servizio protetto in forma intellegibile senza l'autorizzazione del fornitore del servizio.
La prima giurisprudenza di legittimità dopo il D.Lgs 373/2000. Per effetto dell'entrata in vigore del D.Lgs 373/00, le prime pronunce della Corte di legittimità hanno subito riconosciuto l'avvenuta depenalizzazione di tutte quelle fattispecie "aventi ad oggetto le condotte di acquisizione, installazione o detenzione di apparecchiature e strumenti idonei ad eludere i sistemi di protezione delle trasmissioni televisive in forma codificata, e quindi l'intero settore televisivo", configurate come reato dagli articoli 171ter comma 1 lettere d) ed f), e 171octies (Cassazione Sezione terza 42561/2001, Capra, pubblicata su
www.penale.it, con commento di Lovati e Chiesa). Parimenti, la stessa Terza sezione ha costantemente affermato che "in tema di protezione del diritto di autore, il possesso di materiale utilizzabile per la realizzazione di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato, già penalmente sanzionato dall'articolo 171octies legge 633/41, introdotto dall'articolo 17 della legge 248/2000, non costituisce più reato in quanto vi è continuità normativa con l'illecito sanzionato solo in via amministrativa dagli articoli 1 e 4 del D.Lgs 373/2000" (Cassazione Sezione terza 26149/02; Id., 9 luglio 2002, Guida, in Ced 222126; Sezione seconda, 15 luglio 2002, Bisignani). Tale orientamento è stato poi definitivamente avallato dalle Sezioni unite penali che, chiamate a dirimere le controversie sorte sui rapporti tra l'articolo 171octies e l'articolo 4 D.Lgs 373/2000, hanno optato per la depenalizzazione del primo in ragione della specialità del secondo (Cassazione Sezioni unite 8545/03, Scuncia, in "D&G" n. 11/03, p. 13 s., con commento di E. Rosi, La tutela penale delle Pay- Tv. La legge 2220/03 ha eliminato le incongruenze precedenti, cui si rinvia per approfondimenti).
Il (parziale) ripristino delle sanzioni penali ad opera della legge 22/2003. Con la legge 22/2003, il Parlamento ha, da ultimo, pensato bene di correggere nuovamente "il tiro", inserendo un nuovo periodo alla
fine dell'articolo 6 D.Lgs 373/00 che, in espressa deroga alla regola della prevalenza dell'illecito amministrativo su quello penale enucleata dall'articolo 9 della legge 689/81, ha ripristinano le pene e le altre misure accessorie previste dalla legge sul diritto d'autore. Tuttavia tale aggiunta è stata parziale perché ha riguardato solo "le attività illecite previste agli articoli 171bis e 171octies della legge 633/41", senza ricomprendere, dunque, anche l'articolo 171ter, per il quale le questioni esegetiche inerenti i rapporti con il D.Lgs 373/00 non sono state affatto risolte.
Ed era questo il punctum pruriens che andava affrontato dalla sentenza in commento, la quale, invece, non sembra aver affatto considerato tale questione.
Invero - come hanno osservato incidenter le stesse Sezioni unite (Cassazione Sezione terza 8545/03, cit.) - anche per le fattispecie penali di cui all'articolo 171ter legge 633/41 si pongono problemi di possibile sovrapponibilità con il D.Lgs 373/2000 e quindi di eventuale, temporanea, "depenalizzazione". Infatti, limitatamente alle condotte tipizzate in seno all'articolo 171ter che siano collimanti con quelle considerate dall'articolo 4 D. Lgs 373/03 (e limitatamente ai fatti avvenuti prima dell'entrata in vigore della legge 22/2003), potrebbe profilarsi una soluzione assolutoria non dissimile da quella avanzata all'indomani del decreto di depenalizzazione con riferimento all'articolo 171octies "perché il fatto non è [più] previsto dalla legge come reato".
Il reato ravvisato nella sentenza in commento: l'articolo 171ter comma 1, lettera e), legge 633/41. Incurante di cotante questioni e stratificazioni legislative, il dictum odierno si limita a prendere atto, genericamente, della "non omogeneità" del quadro normativo di riferimento, precipitandosi subito a conformarsi ad un proprio (unico) precedente che sussume la riferita condotta di abusiva trasmissione in pubblico di immagini codificate sotto l'ipotesi (delittuosa - si badi - non "contravvenzionale", come scrive erroneamente la Cassazione) di cui all'articolo 171ter comma 1 lettera e), della legge 633/41.
Con ciò la Corte regolatrice prende le distanze, evidentemente, dalla tesi secondo cui la proiezione in pubblico di programmi criptati destinati contrattualmente solo ad ambiti residenziali sarebbe stata, medio tempore, depenalizzata e trasformata in illecito ammini- strativo per effetto del D. Lgs 373/2000 ed, in particolare, dall'articolo 4 lettera b (in combinato disposto con l'articolo 6), che configura - come detto - quale illecito amministrativo l'installazione a fini commerciali di apparecchiature o programmi per elaboratori elettronici concepiti od adattati al fine di rendere possibile l'accesso abusivo ad un servizio protetto (per questa soluzione, cfr. Corte di appello di Catanzaro, 7 gennaio 2004, in
www.altalex.it: "a seguito della novella di cui al D. Lgs 373/00, la mera trasmissione in pubblico di programmi codificati attraverso l'utilizzazione di abbonamenti ad uso residenziale anche intestati a terzi non costituisce reato, così come l'utilizzazione di una smart card pirata").
Il dato criptico della pronuncia in commento è che non sono esplicitate in parte motiva le argomentazioni che hanno indotto i giudici di legittimità ad addivenire alla rassegnata soluzione. Ne consegue, allora, che per poterne condividere o quantomeno comprenderne gli esiti, dobbiamo cercare - da par nostro - di inserire i "tasselli" mancanti.
Segue: la diversità di contenuto dell'articolo 4, lettera b, D.Lgs
373/2000. L'unica ragione che può aver spinto i giudici di legittimità a ritenere tuttora penalmente rilevante la condotta in argomento è l'aver ritenuto non sovrapponibile il contenuto dell'articolo 171ter comma 1 lettera e) legge 633/41
con quello dell'articolo 4 lettera b D.Lgs 373/00. In effetti, la prima previsione - quella tuttora penalmente rilevante - si riferisce propriamente alla "diffusione" abusiva di un servizio criptato; invece la seconda - quella (dapprima) depenalizzata (e poi ripenalizzata) - riguarda la mera "installazione" a fini commerciali di un dispositivo illecito.
Oltre alla univoca diversità del tenore letterale di queste due norme, l'eterogeneità delle due condotte ivi disciplinate deve aver trovato una significativa conferma - sempre volendo interpretare il pensiero della Cassazione - nella successiva legge 22/2003, che sottopone nuovamente le condotte descritte dal combinato disposto dei menzionati articoli 4 e 6 alle sanzioni penali stabilite (solamente) dagli articoli 171bis e 171octies della legge 633/41.
Se questo è stato il (probabile) ragionamento seguito, sarebbe forse coerente con tali premesse argomentative concludere nel senso della ritenuta autonomia dei reati disciplinati dall'articolo 171ter (compresa l'autonoma fattispecie sub lettera e), che in effetti non sono rimasti interessati al D.Lgs 373/00, né alla no- vella del 2003. Con il che, si appaleserebbe altresì corretta l'odierna qualificazione delle condotte di specie in termini di illecito penale e non di illecito amministrativo (in questo stesso senso, cfr. Tribunale di Siena, 3 marzo 2003, pubblicata su
www.penale.it, con nota critica di L. Tamborini).
La sussunzione della condotta di "uso" del decoder sotto il concetto di "diffusione con qualsiasi mezzo": problemi. Non è dato sapere se le argomentazioni implicitamente seguite dalla Cassazione nella sentenza in commento siano state in effetti queste appena avanzate. Quand'anche così sia stato, resterebbe, tuttavia, un ulteriore problema da risolvere, relativo alla congruità dell'operazione di sussunzione della contestata condotta di abusivo impiego in pubblico di decoder privato sotto l'articolo 171ter comma 1 lettera e) legge 633/41.
Tale norma, infatti, descrive la condotta incriminata attraverso le note modali contrassegnate dai verbi "ritrasmette o diffonde" ("[...] un ser-
vizio criptato [...]"). Nel caso di specie, invece, il possessore di smart card che sia contrattualmente autorizzato alla decodifica (solo) presso la residenza, si limita ad "utilizzare" lo stesso dispositivo (anche) presso un esercizio pubblico. Come è stato di recente osservato a commento di una sentenza di merito conforme, quanto agli esiti, al dictum odierno, "il fatto in esame [...] consiste nel semplice utilizzo della carta presso utenza non autorizzata: si tratta, pertanto, di ricezione (benché non consentita dal contratto di distribuzione) e non di diffusione o ritrasmissione " (così L. Tamborini, nota a Tribunale di Siena, 3 marzo 2003, cit. - corsivi aggiunti). "Diverso sarebbe il giudizio - si prosegue - nel caso di chi, ricevuta la trasmissione presso il domicilio, la diffonde altrove via etere o cavo, vale a dire con qualsiasi mezzo, per usare le parole del legislatore. La ricezione non può essere considerata sinonimo delle altre condotte. Essa, infatti, è minore, avendo la particolarità di attivare non un rapporto trilaterale (concessionario - utenza domiciliare - utenza commerciale) bensì un mero rapporto bilaterale tra concessionario e utilizzatore" (ancora, testualmente, L. Tamborini, cit. - corsivi aggiunti).
Conclusioni: dall'interpretazione estensiva all'analogia in malam partem. In conclusione, anche dando per assodato ciò che nella sentenza 23221/04 non è scritto - e cioè: l'eterogeneità dei contenuti del ravvisato illecito (penale) di cui all'articolo 171ter comma 1 lettera e) legge 633/41 rispetto all'illecito (amministrativo) di cui all'articolo 4 lettera b D.Lgs 373/00 - sussistono fondati dubbi che, ancora una volta, il giudice nomofilattico abbia contrabbandato un'interpretazione analogica in malam partem per interpretazione estensiva. Operazione - si intende - alla quale gli interpreti più smaliziati sono avvezzi, ma - quel che più preoccupa - è che stavolta la si è compiuta dandola persino per scontata. Quasi a dire che, in diritto, la sintesi tacitiana non sempre è una dote degna d'esser praticata.