jaco ha scritto:La domanda iniziale è: quale nesso, cioè, quale legame c'è tra rugby e provincie?
Beh a questa domanda si potrebbe rispondere brutalmente: lo stesso che c'è per tutti gli sport che non siano il calcio. Il calcio un po' per il suo indiscutibile appeal e un po' per il fatto di essere divenuto prima di tutti gli altri uno sport professionistico (e quindi per il bisogno di visibilità, capitali, sponsor ecc. che gravitano soprattutto attorno alle metropoli) ha fagocitato e soppiantato quasi completamente gli altri sport nelle grandi città e gli altri sport hanno avuto come terreno fertile le parti d'Italia dove il calcio ha attecchito un po' meno. Penso al rugby veneto (e guarda caso anche qui le province meno coinvolte nel rugby sono quelle di Verona e Vicenza dove il calcio ha avuto la miglior tradizione) e abruzzese, ma anche al volley di Modena-Parma-Sassuolo (anche se adesso le ultime due sono cadute in disgrazia), al baseball di Rimini-San Marino, alla pallanuoto delle città di mare (e anche qui Napoli e Genova sono state solo sfiorate dal fenomeno), per non parlare dell'Hockey su ghiaccio ed altri sport ancora.
La domanda successivamente sorta è: giova ancora questa dimensione provinciale al rugby oppure tante grazie a chi finora si è fatto il mazzo tanto e trasferiamo armi e bagagli il rugby nelle metropoli?
Mah, intanto bisognerebbe capire se c'è chi nelle metropoli è veramente interessato a spendere soldi, tempo, risorse ed energie come invece si trova nelle aree in cui è radicato. Precedenti esperienze hanno dimostrato che questo tipo di operazioni non hanno avuto successo. In secondo luogo ci sono dei distinguo da fare perchè la provincia non è tutta uguale. Io parlo per quella che conosco e cioè per il veneto. E' vero, qui non c'è la metropoli propriamente detta, ma il territorio veneto è in realtà una grande città diffusa di oltre 4.000.000 di abitanti. In particolare se vogliamo prendere Treviso come "epicentro" (dato il ruolo "leader" assunto con l'ingresso in Celtic) va detto che la provincia di Treviso conta circa 900.000 persone e che da Venezia-Mirano-San Donà si arriva a Treviso in 30', un'ora se da Padova o da Belluno si vuole andare a vedersi un match della Benetton: in sostanza una "città" di oltre 1.500.000 in cui la mobilità è garantita meglio che a Roma o Milano. Ergo se il problema è il "potenziale pubblico coinvolto" credo che qui questo problema non sussista.
Un'ultima osservazione: prendere i dati di Italia - All Blacks e confrontarli con quelli del campionato di eccellenza è una mistificazione perfino ridicola nella sua grossolanità. Ricordo solo che una settimana dopo l'evento di Milano a Udine in una partita organizzata in fretta e furia dopo la rinuncia di Firenze, con molti veneti che si erano già sobbarcati spese e tempo proprio per l'evento di Milano si è riusciti a raccogliere oltre 35000 spettatori per una partita che (nonostante il Sud Africa campione del mondo) aveva molto meno appeal degli ABs. 80000 (certamente non tutti milanesi o dell'hinterland) vs 35000 (in gran parte triveneti) è già un raffronto più ragionevole. Per contro negli anni '90 quando il Milan di Berlusconi vinceva e giocava divinamente a Milano si vedevano comunque non più di 500 spettatori a gara quando un qualunque derby veneto ne raccoglieva migliaia (ricordo dei San Donà - Treviso che facevano quasi 3000, senza voler toccare le vette dei Padova-Rovigo).
In conclusione: che qualunque attività umana che deve svilupparsi debba coinvolgere il maggior numero di persone, aziende, televisioni, sponsor ecc. ecc. è senz'altro vero, che questo debba avvenire per forza trasferendo squadre, risorse umane e tradizioni nelle metropoli non è assolutamente necessario primo perchè nelle metropoli vive poco più del 10% dell'intera popolazione italiana, secondo perchè se tale processo ci sarà questo dovrà essere comunque graduale e naturale. Le forzature servono solo a sradicare certezze per trapiantarle in terreni che non è detto siano fertili...
Bell’intervento jaco, analitico e strutturato con dati, che mi trova in un pomeriggio di disponibilità.
Colgo l’occasione, quindi, per fare l’ennesimo commento sul tema (oggi sto decisamente monopolizzano il topic

).
Nulla da poter obiettare sulle valutazioni generali, tutte condivisibili, che riguardano, però, una sola area geografica italiana, considerata da te non solo per tua evidente conoscenza, ma perché rappresenta, in effetti, l’eccezione e l’eccellenza tutta italiana del rugby nostrano.
Nel resto d’Italia le cose non stanno proprio in questi termini, purtroppo, e il Triveneto non è l’Italia.
La domanda del topic, volutamente sintetica e, forse, un po’ approssimativa, intenderebbe sollevare il tema: può ancora la provincia accompagnare e, magari, accelerare il processo di sviluppo del rugby a maggiori livelli di eccellenza se non a quelli dei maggiori paesi europei come fatto finora o si necessita di altre e nuove formule?
Nella tua disquisizione tocchi un tema particolarmente delicato ed importante quando sottolinei il fatto che attorno a Treviso, la migliore, senza dubbio, rappresentazione del rugby di eccellenza in Italia, ruota un territorio vasto ed articolato in grado di movimentare risorse finanziarie e mediatiche notevoli ed è proprio questa, a mio avviso , una possibile chiave di svolta che andrebbe esaminata, approfondita.
Nessun dualismo Metropoli vs Provincia, ma, semmai, il passaggio dal Club al Superclub, o Franchigia che si voglia, con il possibile coinvolgimento, con tale processo naturale, anche di eventuali città maggiori, perché no.
Cioè sviluppare le migliore realtà rugbystiche attuali al fine di estendere l’aggregazione territoriale coinvolgendo il territorio limitrofo.
In questo modo, si potrebbe focalizzare attorno alle organizzazioni di successo già esistenti il meglio presente in un’area geografica (opportunità, energie, finanze, pubblico) maggiore, pervenire ad una sintesi delle qualità, quantità disponibili in un territorio aggregato più esteso.
Certo questo comporterebbe il superamento dell’autonomia/individualità di alcuni club/associazioni esistenti anche da tempo, ma attualmente meno fortunate e performanti che nelle nuove organizzazioni potrebbero acquisire ruoli più funzionali, di supporto strategico, magari nell’organizzazione della didattica giovanile o in altre esigenze logistiche che la nuova articolazione organizzativa potrebbe necessitare.
Si pensi ad un rugby di eccellenza fatto di sole franchigie o superclub, poco importa, diciamo 12 squadre, organizzate in un campionate di vertice di 10 team in eccellenza con le prima destinata a passare all’attuale PRO12 sostituendo l’ultima delle due formazioni assegnate l’anno precedente a tale competizione, introducendo ulteriore leva premiante, ora mancante, ad entrambe questi campionati.
I finanziamenti FIR ora destinati alle franchigie, sarebbero, comunque destinati alle due formazioni di PRO12 a seconda dei risultati nelle singole annate e le altre 10 franchigie/superclub potrebbero competere in Amlin Cup con una maggiore forza e sintesi organizzativa .
Ovviamente è solo un’idea!